Dettaglio Legge Regionale

Disciplina dell’oleoturismo e dell’ospitalità agrituristica. Modifiche alla l.r. 30/2003. (24-5-2022)
Toscana
Legge n.15 del 24-5-2022
n.26 del 3-6-2022
Politiche infrastrutturali
14-7-2022 / Impugnata
La legge regionale, che reca una disciplina dell’oleoturismo e dell’ospitalità agrituristica, presenta profili di illegittimità costituzionale, con riferimento alla disposizioni contenute nell’articolo 7, comma 1, che, per le motivazioni che di seguito si illustrano, risulta lesivo dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali statali in materia di governo del territorio stabiliti dall’articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 - come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968 - e dall’articolo 3 della legge 10 febbraio 2006, n. 96; dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, poiché incide sulla pianificazione paesaggistica, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, e dell’articolo 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007), in considerazione dell’abbassamento del livello della tutela del paesaggio; infine, del principio di leale collaborazione, in considerazione della violazione dell’impegno assunto dalla Regione con il Piano di indirizzo territoriale a consentire l’edificazione di nuovi volumi in zona agricola in casi eccezionali e residuali. In particolare:
- L’articolo 7, al comma 1, prevede una modifica della legge regionale 23 giugno 2003, n. 30, recante “Disciplina delle attività agrituristiche, delle fattorie didattiche, dell’enoturismo e dell’oleoturismo in Toscana”, mediante l’introduzione, all’articolo 17, rubricato “Immobili destinati all’attività agrituristica”, comma 1, lett. c), di un nuovo numero 3-bis, volto a consentire l’utilizzo, ai fini dello svolgimento dell’attività agrituristica, “dei trasferimenti di volumetrie disciplinati all’articolo 71, comma 2, e all’articolo 72, comma 1, lettera a), della L.R. 65/2014, all’interno del medesimo territorio comunale o all'interno della proprietà aziendale la cui superficie sia senza soluzione di continuità e ricada parzialmente in territori di comuni confinanti, a condizione che si configurino come uno dei seguenti interventi: a) interventi di addizione volumetrica; b) interventi di trasferimento del volume in prossimità di edifici esistenti e qualora questo non comporti la necessità di realizzare opere di urbanizzazione primaria;”. Per effetto della novella in commento, l’articolo 17, comma 1, lettera c), della legge regionale 23 giugno 2003, n. 30 risulta così modificato: “1. Possono essere utilizzati per l’attività agrituristica: “c) salvo i limiti e le condizioni previsti dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, i volumi derivanti da: “3-bis) trasferimenti di volumetrie disciplinati all’articolo 71, comma 2, e all’articolo 72, comma 1, lettera a), della L.R. 65/2014, all’interno del medesimo territorio comunale o all'interno della proprietà aziendale la cui superficie sia senza soluzione di continuità e ricada parzialmente in territori di comuni confinanti, a condizione che si configurino come uno dei seguenti interventi: a) interventi di addizione volumetrica; b) interventi di trasferimento del volume in prossimità di edifici esistenti e qualora questo non comporti la necessità di realizzare opere di urbanizzazione primaria;”. A tale riguardo, si osserva preliminarmente che la novella in esame è volta a consentire trasferimenti di volumetria in zona agricola e, conseguentemente, nuove edificazioni finalizzate all’attività agrituristica, nonostante l’attività edificatoria in zone agricole sia soggetta a stringenti e particolari limitazioni volte frenare la tendenza all’urbanesimo, come prescrive l’articolo 1 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. Legge Urbanistica). La stessa legge, inoltre, all’articolo 41-quinquies, commi ottavo e nono, e per le finalità sopra richiamate, prevede che: “[8.] In tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. [9.] I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi dall’entrata in vigore della medesima”. In attuazione della predetta disposizione, il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, ha individuato, all’articolo 2, lettera e), tra le “zone di territorio omogenee”, anche “le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone”. Il D.M. n. 1444 del 1968 definisce non solo i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (art. 3 e 5) fissando le quantità minime di queste ultime, ma anche i limiti inderogabili di densità edilizia (art. 7), di altezza degli edifici (art. 8) e di distanza tra i fabbricati (art. 9) che vanno rispettati per le diverse zone territoriali omogenee. In particolare, per quanto attiene alle zone agricole, per tutelare il paesaggio e l’ambiente e per controllare la densità edilizia, è prevista la sostanziale inedificabilità. Anche nei limitati casi in cui è ammessa l’attività edificatoria nelle zone agricole, la stessa è estremamente ridotta ed è stabilito un limite massimo e inderogabile con indice di edificabilità a fini di insediamento residenziale pari a 0,03 metri cubi per metro quadro (cfr. articolo 7, n. 4), del d.m. n. 1444 del 1968). Sul punto, e sulla scorta delle stesse finalità di salvaguardia delle zone agricole, occorre anche tenere presente che l’articolo 3 della legge 10 febbraio 2006, n. 96, recante “Disciplina dell’agriturismo” prevede quanto segue: “1. Possono essere utilizzati per attività agrituristiche gli edifici o parte di essi già esistenti nel fondo. 2. Le regioni disciplinano gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche, nonché delle caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi. 3. I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali”.
In estrema sintesi, la disciplina statale stabilisce: (i) che l’esercizio dell’agriturismo debba avvenire in edifici già esistenti sul fondo, eventualmente oggetto di interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, e che non sia invece consentita, a tal fine, la realizzazione di interventi di nuova costruzione; (ii) che i locali utilizzati ad uso agrituristico siano assimilabili a ogni effetto alle abitazioni rurali e, quindi, i relativi volumi debbano essere presi in considerazione ai fini del calcolo delle potenzialità edificatorie, nel rispetto dell’indice volumetrico di cui al richiamato articolo 7, n. 4), del d.m. n. 1444 del 1968.
Deve, altresì, tenersi presente che la legge regionale n. 30 del 2003 non riproduce il richiamato articolo 3, comma 3, della legge n. 96 del 2006, ove si prevede che “I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali”, ma stabilisce soltanto, all’articolo 17, comma 2, che “L’attività agrituristica può essere svolta sia in edifici con destinazione d’uso a fini agricoli che in edifici classificati come civile abitazione”. Ne deriva che i trasferimenti di volumetria in zona agricola previsti dalla legge regionale non risultano soggetti al limite di volumetria stabilito per le edificazioni residenziali in zona agricola, previsto dall’articolo 7, n. 4), del d.m. n. 1444 del 1968 e operante anche ai fini della destinazione ad agriturismo, in virtù dell’articolo 3, comma 3, della legge. n. 96 del 2006. A ciò si aggiunga inoltre che la disciplina del vigente Piano di indirizzo territoriale con valenza paesaggistica della Toscana, frutto di intesa con lo Stato, stabilisce, quale obiettivo dell’invariante strutturale “I caratteri morfotipologici dei paesaggi rurali” relative al paesaggio rurale, “il contenimento di ulteriori consumi di suolo rurale” (articolo 11 della Disciplina del PIT). In base alla suddetta previsione, rispondente all’obiettivo europeo di azzeramento del consumo di suolo entro il 2050, l’edificazione di nuovi volumi in zona agricola dovrebbe avere carattere eccezionale e residuale, risultando giustificata soltanto in presenza di esigenze che non possono essere soddisfatte diversamente.
La disciplina regionale all’esame, nel consentire i trasferimenti di volumetrie solo per gli immobili appartenenti al patrimonio rurale esistente, pone effettivamente anche precisi limiti che dovrebbero tutelare il territorio rurale, prevedendo che i trasferimenti, fermi restando i limiti e le condizioni previsti dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, possano essere effettuati solo all’interno del medesimo territorio comunale o all’interno della proprietà aziendale la cui superficie sia senza soluzione di continuità e ricada parzialmente in territori di comuni confinanti, a condizione che si configurino come uno dei seguenti interventi: a) interventi di addizione volumetrica; b) interventi di trasferimento del volume in prossimità di edifici esistenti e qualora questo non comporti la necessità di realizzare opere di urbanizzazione primaria.
La disposizione regionale in esame risulta, tuttavia, lesiva dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, che impone il rispetto dei limiti inderogabili di densità edilizia previsti per le diverse zone del territorio comunale, come declinati per le zone agricole nell’ambito del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, il quale fissa un indice di edificabilità, disponendo che, all’interno di questi ambiti, è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di mc 0,03 per metro quadro, e con l’articolo 3 della legge n. 96 del 2006. In contrasto con la ratio della prescrizione contenuta nel d.m. 1444 del 1968, la disciplina regionale determina, infatti, il rischio di una indiscriminata proliferazione di volumetrie nelle aree agricole. Il predetto decreto ministeriale, nel prescrivere la suddivisione del territorio comunale in zone territoriali omogenee, persegue lo scopo di garantirne un assetto ordinato. I limiti così imposti hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale, come peraltro chiarito dalla Corte costituzionale, la quale ha statuito espressamente che “[…] i limiti fissati dal D.M. n. 1444 del 1968, che trova il proprio fondamento nell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della L. 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale (ad esempio, sentenza n. 232 del 2005) […] costituendo essi principi fondamentali della materia, in particolare come limiti massimi di densità edilizia a tutela del “primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano” (Corte cost., sent. 20 ottobre 2020, n. 217). Nel momento in cui, dunque, il legislatore regionale introduce - arbitrariamente - deroghe a tali limiti, consentendo trasferimenti di volumetria in zona agricola, ammette interventi che possono potenzialmente cagionare effetti gravemente pregiudizievoli per il territorio, in quanto idonei a determinare un aggravio del carico urbanistico nelle aree interessate e, come già segnalato, la proliferazione di volumetrie nelle aree agricole, con esiti arbitrari e irragionevoli. Dal punto di vista della normativa urbanistica la delocalizzazione è da considerarsi una nuova costruzione, e, anche a prescindere da tale qualificazione , lo spostamento di volumetrie edilizie entro lotti a destinazione agricola, senza il rispetto del limite volumetrico stabilito dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968, determina di per sé la violazione della lettera e della ratio della disciplina concernente l’edificazione in zona agricola, la quale è diretta a contenere non solo la quantità totale dei volumi edilizi realizzabili nelle zone agricole, ma anche la loro concentrazione sul singolo lotto, proprio allo scopo di evitare la creazione di veri e propri insediamenti urbani in zona agricola. Al riguardo, dal momento che la legge regionale n. 30 del 2003 non riproduce l’articolo 3, comma 3, della legge n. 96 del 2006, ove si prevede che “I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali”, ma stabilisce soltanto, all’articolo 17, comma 2, che “L’attività agrituristica può essere svolta sia in edifici con destinazione d’uso a fini agricoli che in edifici classificati come civile abitazione”, i trasferimenti di volumetria in zona agricola previsti dalla legge regionale in esame sono palesemente sottratti al limite di volumetria stabilito per le edificazioni residenziali in zona agricola, previsto dall’articolo 7, n. 4), del d.m. n. 1444 del 1968 e operante anche ai fini della destinazione ad agriturismo, in virtù dell’articolo 3, comma 3, della legge. n. 96 del 2006. Ne deriva pertanto, il contrasto della legge regionale in esame con l’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, così come declinato per le zone agricole dall’articolo 7, n. 4 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, nonché con l’articolo 3 della legge n. 96 del 2006 e quindi la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. , con riferimento alla materia "governo del territorio", della quale le predette disposizioni statali costituiscono principi fondamentali vincolanti per le Regioni .
Si rammenta che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 96 del 2012, dopo aver precisato che l'art. 3, co. 1, della legge n. 96 del 2006 "che contiene, come sarà specificato in seguito, un principio fondamentale nella materia «governo del territorio» - attribuita dal terzo comma dell'art. 117 Cost. alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni - limita l 'utilizzabilità degli edifici per attività agrituristiche a quelli «già esistenti» sul fondo...", ha avuto modo di affermare che "...3.2. - La norma statale sopra citata si limita all'enunciazione di un principio, destinato a trovare specifiche attuazioni nelle legislazioni delle diverse Regioni, in conformità alle caratteristiche morfologiche, storiche e culturali di ciascuna di esse. Tale principio pone un limite rigoroso, escludendo che possano essere destinati ad attività agrituristiche edifici costruiti ad hoc, non «già esistenti sul fondo» prima dell'inizio delle attività medesime. Si vuole in sostanza prevenire il sorgere ed il moltiplicarsi di attività puramente turistiche, che finiscano con il prevalere su quelle agricole, in violazione della norma codicistica prima citata e con l'effetto pratico di uno snaturamento del territorio, usufruendo peraltro delle agevolazioni fiscali previste per le vere e proprie attività ricettive connesse al prevalente esercizio dell'impresa agricola...” Si evidenzia dunque che le previsioni regionali censurate si pongono al di fuori dell'ambito di legittimo intervento del legislatore regionale che la Consulta ha individuato nella determinazione delle modalità concrete per attuare il principio fondamentale posto dalla disciplina statale.

- La disposizione regionale in commento si pone, altresì, in contrasto con l’articolo 117, comma secondo, lettera s), Cost., poiché incide sulla pianificazione paesaggistica, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, attuata dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in quanto non risponde alla finalità indicata dal Pianto di indirizzo territoriale della Regione Toscana (PIT). Inoltre, l’abbassamento del livello della tutela determinato dall’articolo 7, comma 1 della legge regionale in oggetto comporta la violazione anche dell’art. 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007). Difatti, nonostante l’impegno espressamente previsto nel Piano di indirizzo territoriale con valenza paesaggistica, frutto di intesa con lo Stato, l’edificazione di nuovi volumi in zona agricola avrebbe dovuto avere carattere eccezionale e residuale, risultando giustificata soltanto in presenza di esigenze che non possono essere soddisfatte diversamente. La norma regionale, al contrario, comporta la delocalizzazione - proprio in zona agricola - di volumi originariamente esistenti in altre porzioni del territorio comunale o anche dal territorio di altri comuni, e ciò sulla base di una scelta dell’imprenditore agrituristico, senza che emergano elementi atti a dimostrare l’assoluta necessarietà di tali ulteriori volumi edilizi. Al riguardo, si evidenzia come il limite massimo - e inderogabile - di edificabilità in zona agricola rappresenta principio informatore del d.m. n. 1444 del 1968, ed è da intendersi riferito al singolo lotto, non già alla zona agricola interamente considerata. Né vale obiettare che i volumi oggetto del trasferimento, avendo a oggetto immobili già esistenti sul fondo e destinati comunque allo svolgimento delle attività agricole rientrerebbero fra quelli già ammessi nella zona agricola in considerazione. Invero, seguendo tale errata ricostruzione, si giungerebbe alla conclusione di dover ritenere ammissibile la concentrazione su un unico lotto di volumi provenienti da altri lotti, in modo tale da creare un vero e proprio insediamento abitativo e, per l’effetto, una lottizzazione, com’è noto vietata in zona agricola. Così facendo si vanifica lo scopo stesso della pianificazione paesaggistica, che tende a valutare le trasformazioni del territorio non in modo parcellizzato, ma nell’ambito di una considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al piano paesaggistico. Nel caso in esame, la Regione manifestamente elude il principio posto dal piano, il quale attribuisce carattere eccezionale e residuale all’edificazione in zona agricola. Sul punto si segnala che una recente sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge regionale - peraltro di una Regione a statuto speciale- che, nel consentire la proroga di disposizioni in deroga alla pianificazione urbanistica, ammetteva reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio edilizio esistente, isolatamente considerati e svincolati da una organica disciplina del governo del territorio cosi trascurando l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio, proprio della pianificazione urbanistica, e così danneggiando il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale (Corte cost., sent. 28 gennaio 2022, n. 24).
- La disciplina regionale contestata si pone altresì in contrasto col principio di leale collaborazione cui si informano le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio e determina una lesione della sfera di competenza statale in materia di tutela del paesaggio, in considerazione della violazione del richiamato impegno, assunto dalla Regione, a consentire l’edificazione di nuovi volumi in zona agricola in casi eccezionali e residuali.

Alla luce di quanto finora argomentato, l’articolo 7, comma 1 della legge regionale in oggetto risulta lesivo dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali statali in materia di governo del territorio stabiliti dall’articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 - come attuato mediante il decreto ministeriale n. 1444 del 1968 - e dall’articolo 3 della legge 10 febbraio 2006, n. 96; dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, poiché incide sulla pianificazione paesaggistica, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, e dell’articolo 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007), in considerazione dell’abbassamento del livello della tutela del paesaggio; infine, del principio di leale collaborazione, in considerazione della violazione dell’impegno assunto dalla Regione con il Piano di indirizzo territoriale a consentire l’edificazione di nuovi volumi in zona agricola in casi eccezionali e residuali.

Per questi motivi la legge regionale, limitatamente alla disposizione sopra indicata, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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