Dettaglio Legge Regionale

Legge elettorale. (27-3-2009)
Campania
Legge n.4 del 27-3-2009
n.23 del 14-4-2009
Politiche ordinamentali e statuti
21-5-2009 / Impugnata
La legge n.4/2009 della regione Campania intende disciplinare, in maniera organica e a "regime", il sistema di elezione del Consiglio e del Presidente della Giunta regionale, così esercitando una competenza legislativa attribuita alle regioni dall'articolo 122, comma 1, della Costituzione. Il sistema di elezione del Presidente e dei consiglieri è oggetto di competenza legislativa concorrente tra lo Stato e la regione. Infatti, il Parlamento ha adottato in questo senso la legge n. 165/2004, che detta i principi fondamentali della materia.

Occorre osservare che la regione Campania, pur avendo già approvato il nuovo statuto, in prima ed in seconda lettura (pubblicato sul BUR n. 13 del 26/2/2009 ), ai sensi dell'articolo 123 Cost. - senza che il Consiglio dei Ministri del 27 marzo 2009 abbia sollevato questione di legittimità costituzionale - non lo ha ancora promulgato, in quanto in attesa del decorso dei termini (tre mesi dalla pubblicazione) per l'eventuale richiesta del referendum confermativo.
La legge in esame, prevedendo che i candidati alla presidenza non sono più i capilista delle liste regionali (come imposto dalle norme transitorie di cui all'art. 5 della legge cost. n. 1/1999), in quanto gli articoli 2 e 3 della legge in esame, invece, dispongono l'obbligo di collegamento tra i candidati alla presidenza e le liste provinciali o coalizioni di liste provinciali e prevedendo una disciplina del premio di maggioranza (art. 6) diversa rispetto alla legislazione statale vigente, detta norme che intervengono sul “sistema elettorale” organicamente inteso, non limitandosi ad incidere su “aspetti di dettaglio”, gli unici per i quali la Corte Costituzionale ha ammesso l’esercizio della potestà legislativa regionale prima dell’entrata in vigore dei nuovi Statuti, non essendo, peraltro, prevista nella legge regionale in esame alcuna disposizione transitoria che differisca l'applicabilità della legge medesima all'entrata in vigore dello Statuto.
Con la sentenza n. 196/2003, infatti, la Corte Costituzionale ha precisato che le regioni, in assenza dei nuovi statuti, possono modificare la disciplina statale vigente in aspetti di dettaglio. Infatti, afferma la Corte che, fino all'entrata in vigore dei nuovi statuti regionali (oltre che delle nuove leggi elettorali regionali), l'articolo 5 della legge costituzionale n.1/1999 detta direttamente la disciplina dell'elezione del Presidente regionale, stabilendo che essa sia contestuale al rinnovo del Consiglio e che si effettui "con le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali, così indirettamente in qualche misura "irrigidite" in via transitoria" anche "dal fatto che la nuova disciplina statutaria, cui è demandata la definizione della forma di governo regionale, condiziona inevitabilmente, in parte, il sistema elettorale per l'elezione del Consiglio. In pratica, ciò comporta che siano esigui gli spazi entro cui può intervenire il legislatore regionale in tema di elezione del Consiglio, prima dell'approvazione del nuovo statuto" (sent. n. 196/2003). Pertanto, la legge elettorale regionale può modificare, "in aspetti di dettaglio, la disciplina delle leggi statali vigenti, per tutto quanto non è direttamente o indirettamente implicato dal citato art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, in attesa del nuovo statuto, e così per quanto riguarda competenze e modalità procedurali."

Per questi motivi, le suddette disposizioni, e quelle ad esse connesse, sono costituzionalmente illegittime, in quanto contrastanti con l’art. 5 della legge cost. n. 1/1999 e con quanto stabilito dalla Corte Cost. con la sent. n. 196/2003.

Inoltre, l'articolo 4, recante disposizioni in materia di "scheda elettorale" prevede che l'elettore possa esprimere uno o due voti di preferenza per candidati compresi nella stessa lista. Il comma 3 del medesimo articolo prevedendo che "Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l'altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l'annullamento della seconda preferenza", presenta profili di illegittimità costituzionale.

In primo luogo, deve osservarsi che tale disposizione stabilisce un vincolo all'esercizio del voto e all'esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibili presenti nelle liste elettorali. Tale vincolo negativo opera nella vera e propria fase della competizione elettorale, incidendo su di essa. La scelta degli elettori tra le liste e fra i candidati, e l'elezione di questi, sono assolutamente condizionate dal sesso dei candidati: tanto più, in quanto, nel caso di specie, l'elettore può esprimere uno o due voti di preferenza, creando così delle menomazioni nella parità di chances fra i candidati della stessa lista.

Tale disposizione si pone in contrasto con gli articoli 3, primo comma, 48 e 51, primo e secondo comma, della Costituzione per le seguenti motivazioni.

Il principio di uguaglianza secondo cui "tutti sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" (art. 3, primo comma Cost.) si pone prima di tutto come regola di irrilevanza giuridica del sesso e delle altre diversità ivi contemplate.
Tale regola è, a sua volta ribadita, in materia di elettorato passivo, dall'articolo 51, primo comma, Cost.: "tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge"; eguaglianza che non può avere significato diverso da quello dell'indifferenza del sesso ai fini considerati; inoltre, il comma 2, prevede che "a tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini". Pertanto, tali disposizioni garantiscono l'assoluta uguaglianza fra i due sessi nella possibilità di accedere alle cariche pubbbliche elettive, nel senso che l'appartenenza all'uno o all'altro sesso non può mai essere assunta come requisito di eleggibilità e candidabilità. Infatti, la possibilità di essere eletto non è che la condizione pregiudiziale per beneficiare in concreto del diritto di elettorato passivo sancito dal richiamato articolo 51. La promozione delle pari opportunità nell'accesso alle cariche pubbliche di cui al citato art. 51, comma 1, non può tradursi nella lesione irreversibile di una forma di esercizio del diritto di voto (cfr. sentenze Corte Costituzionale n. 422/95 e n. 49/2003).
Circa poi l'annullamento della seconda preferenza qualora non sia stata espressa su un candidato di genere diverso dalla prima, peraltro senza copertura costituzionale, colpisce in modo irragionevole l'esercizio del diritto di voto.
La disposizione contrasta, altresì, con le previsioni contenute nell'articolo 117, comma 7 Cost., che stabilisce come doverosa l'azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni, riferendola specificamente alla legislazione elettorale.
Tale disposizione, infatti, si pone in contrasto con il diritto all'elettorato attivo, sancito dall'articolo 48 della Costituzione, che stabilisce che " il voto è personale ed eguale, libero e segreto" e che " Il diritto di voto non può essere limitato, se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge".


Per i suesposti motivi si ritiene che la legge regionale debba essere impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale

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