Dettaglio Legge Regionale

Intervento correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante norme sul governo del territorio. (3-2-2021)
Sicilia
Legge n.2 del 3-2-2021
n.6 del 12-2-2021
Politiche infrastrutturali
13-4-2021 / Impugnata
La legge regionale, che reca un intervento correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante norme sul governo del territorio, è censurabile in quanto eccede dalle competenze statutarie della Regione Siciliana con riferimento alla disposizione contenuta nell’articolo 12 che sostituisce l’articolo 37 della legge regionale n. 19 del 2020.
Si deve fin da subito rilevare che, benché la Regione Siciliana abbia competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. n), dello Statuto di autonomia, nonché di urbanistica, ai sensi della lett. f), del medesimo art. 14, tale competenza si esplica pur sempre “nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali, deliberate dalla Costituente del popolo italiano”.
Con il d.P.R. 30 agosto 1975, n. 637 sono state dettate le “Norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia di tutela del paesaggio e di antichità e belle arti”, ai sensi delle quali “L’amministrazione regionale esercita nel territorio della regione tutte le attribuzioni delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato in materia di antichità, opere artistiche e musei, nonché di tutela del paesaggio” (cfr. art. 1). A tal fine viene precisato che tutti gli atti previsti da ogni disposizione concernente le predette materie (a eccezione delle licenze di esportazione) sono adottati dall’amministrazione regionale.
Nonostante alla Regione Siciliana sia stato riconosciuto un particolare grado di autonomia in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, non vi è dubbio alcuno che la legislazione regionale trovi un preciso limite nelle previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, qualificabili come “norme di grande riforma economico-sociale”, che si impongono anche alle Autonomie speciali (Corte cost., sentenza n. 238 del 2013).
Le materie dell’ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettera l) e dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m) restano, inoltre, integralmente sottratte alla potestà legislativa regionale, la quale deve comunque essere esercitata nel rispetto dei principi posti dagli articoli 3 e 9 della Costituzione.

L’articolo 12 della legge regionale in esame sostituisce integralmente l’articolo 37 della legge regionale n. 19 del 2020, disposizione che, con particolare riferimento ai commi 3, 4, 5, 6 lettere c) e d), 7, 8 e 9, è stata oggetto di impugnativa di fronte alla Corte Costituzionale deliberata dal Consiglio dei Ministri dello scorso 18 ottobre 2020. Tali disposizioni, con la novella legislativa in esame, risultano ora abrogate.

Si premette, per meglio definire le censure che si formulano nei confronti dell’art. 12 della legge regionale in esame, che – indipendentemente dall’eventuale imposizione di vincoli paesaggistici puntuali, mediante appositi provvedimenti amministrativi – i boschi e le foreste sono soggetti, su tutto il territorio nazionale, a tutela ope legis.
Come è noto, l’art. 1 del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. legge Galasso), ha modificato l’art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, sottoponendo a tutela paesaggistica, tra l’altro, “i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento”.
Il suddetto vincolo è stato poi mutuato dall’art. 146 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 ed è attualmente contenuto all’art. 142, comma 1, lett. g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
In questo quadro, occorre ancora rilevare che la Regione Siciliana si è dotata da tempo di una disciplina di tutela dei boschi, sin da epoca anteriore alla c.d. legge Galasso, e – successivamente a quest’ultima legge – ha provveduto a declinare la normativa statale in funzione delle specificità regionali.
In particolare, con la legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 (“Provvedimenti per lo sviluppo del turismo in Sicilia”) sono state dettate, all’art. 15, disposizioni volte a evitare una eccessiva pressione edificatoria sul territorio, stabilendo – per quanto qui rileva – che “Ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni: (…) e) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 200 dal limite dei boschi, delle fasce forestali e dai confini dei parchi archeologici”.
Dopo l’entrata in vigore della c.d. legge Galasso, ulteriori disposizioni in materia di tutela dei boschi e delle fasce forestali sono state dettate con l’emanazione della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 (“Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione”), recante, all’art. 10, norme in materia di “attività edilizie”.
In particolare, vanno qui richiamate le previsioni dei commi 1-3 del predetto art. 10, ove si prevede che:
“1. Sono vietate nuove costruzioni all'interno dei boschi e delle fasce forestali ed entro una zona di rispetto di 50 metri dal limite esterno dei medesimi.
2. Per i boschi di superficie superiore ai 10 ettari la fascia di rispetto di cui al comma 1 è elevata a 200 metri.
3. Nei boschi di superficie compresa tra 1 e 10 ettari la fascia di rispetto di cui ai precedenti commi è così determinata: da 1,01 a 2 ettari metri 75; da 2,01 a 5 ettari metri 100; da 5,01 a 10 ettari metri 150.”.
I successivi commi recano alcune modulazioni dei predetti divieti, peraltro sancendone comunque l’inderogabilità all’interno delle riserve naturali (comma 7).
Il comma 11 completa, infine, il sistema di tutela, stabilendo che “Le zone di rispetto di cui ai commi da 1 a 3 sono in ogni caso sottoposte di diritto a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497”.
La Regione, nell’esercizio della propria potestà esclusiva in materia di paesaggio, ha quindi stabilito appositi presìdi di tutela dei boschi e delle foreste, operando secondo due direttrici, e in particolare:
(i) ha declinato il vincolo paesaggistico ex lege sui boschi e sulle foreste introdotto con la c.d. legge Galasso in funzione delle specificità regionali, estendendolo alle zone di rispetto dei boschi specificamente individuate (art. 10, comma 11, della legge regionale n. 16 del 1996);
(ii) ha stabilito un’apposita disciplina legislativa di tutela del paesaggio boschivo, prevedendo il divieto assoluto di edificazione nei boschi, nelle fasce boscate e nelle relative zone di rispetto (art. 10, commi 1, 2 e 3 della legge regionale n. 16 del 1996, con le precisazioni e le modulazioni di cui ai successivi commi) e stabilendo, inoltre, che nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale dovesse essere previsto l’arretramento delle costruzioni di almeno 200 metri dal limite dei boschi e delle fasce forestali (art. 15, comma 1, lett. e), della legge regionale n. 78 del 1976).

In questo contesto si inquadrano le disposizioni normative introdotte dall’art. 37 della legge regionale n. 19 del 2020, poi integralmente sostituito ad opera dell’art. 12 della legge regionale in esame.
Il predetto art. 37, nella formulazione originaria, dedicava ai boschi e le foreste gli ultimi 3 commi (commi 10, 11 e 12) del seguente tenore:
“10. I boschi e foreste, come definiti dal decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 e successive modificazioni e dalla legge regionale 6 aprile 1996 n. 16 e successive modificazioni, sono considerati risorsa strategica regionale, ai fini della salvaguardia naturalistica e paesaggistica, della difesa dei suoli e della tutela idrogeologica.
11. I terreni coperti da boschi e foreste non possono esser oggetto di mutamento di destinazione d’uso e in sede di pianificazione paesaggistica e urbanistica sono tutelati con specifiche disposizioni di salvaguardia e di conservazione, con previsioni di interventi di rinaturalizzazione in caso di degrado.
12. In materia di fasce di rispetto, si applica il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 e successive modificazioni”.
Nel corso dell’istruttoria svolta dal Governo sulla legge regionale n. 19 del 2020, ai fini dell’articolo 127 della Costituzione, era stato segnalato alla Regione Siciliana, tra l’altro, che il comma 12 dell’articolo 37 richiamava , in tema di fasce di rispetto, la normativa nazionale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34, che tuttavia non le prevede, mentre apposite fasce di rispetto, sottoposte a vincolo paesaggistico ope legis e nelle quali sono vietate attività edilizie sono invece previste dalla normativa regionale di cui alla legge n. 16 del 1996 (art. 10, commi 1 e 11). Il richiamo al Testo unico Foreste appariva quindi non corretto e anche fuorviante, in quanto in contrasto con la richiamata normativa regionale di tutela.
In sede, inoltre, di interlocuzione sulla legge regionale n. 19 del 2020, al fine di apportare modifiche alle norme oggetto di censure da parte del Governo, la Regione Siciliana si era impegnata a sostituire integralmente l’art. 37 censurato con un nuovo articolato, il quale sarebbe stato dedicato unicamente agli interventi produttivi nel verde agricolo, e avrebbe dovuto essere quindi composto di soli tre commi, che corrispondono ai primi tre commi del nuovo art. 37 novellato con l’art. 12 in esame. Le previsioni dell’originario comma 12 dell’art. 37 non erano state quindi oggetto di impugnazione innanzi alla Corte costituzionale.
Tuttavia, con l’art. 12 della legge regionale in esame, oltre a sostituire l’originario l’art. 37 con un nuovo articolo composto dai primi tre commi, come concordato, la Regione ha introdotto anche tre ulteriori commi in materia di boschi e foreste (commi 4, 5, e 6).
Queste ultime disposizioni determinano un generale abbassamento del livello di tutela dei boschi e delle foreste, addirittura revocando in radice la previgente normativa di tutela. E ciò in assenza di una pianificazione paesaggistica estesa all’intero territorio, e quindi diretta anche alla disciplina delle aree boschive, e nonostante l’obbligo per la Regione di provvedere a tale pianificazione, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, costituenti norme di grande riforma economico-sociale valevoli anche nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale.
In particolare, i nuovi commi 4, 5 e 6 dell’art. 37 della legge regionale n. 19 del 2020, come sostituito dall’art. 12 della legge regionale n. 2 del 2021, dispongono nei termini seguenti:
“4. Nella Regione si applica il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 e successive modificazioni.
5. L’articolo 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 è abrogato.
6. Alla lettera e) del comma 1 dell’articolo 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, le parole da “dal limite” fino a “forestali e” sono soppresse.”.
Al di là del richiamo all’applicazione del Testo unico delle foreste, contenuta nel nuovo comma 4, con i successivi commi 5 e 6 la Regione viene ad abrogare, inaspettatamente, il vincolo paesaggistico ope legis imposto sin dal 1996 sulle fasce boschive (stante l’abrogazione del comma 11 dell’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996), nonché l’intera disciplina regionale di tutela dei boschi e delle foreste e delle predette fasce limitrofe (stante l’abrogazione degli altri commi dell’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996, nonché la modificazione della lett. e), dell’art. 15 della legge regionale n. 78 del 1976); disciplina vigente da lungo tempo e la cui operatività era stata segnalata come ostativa o quanto meno contraddittoria con l’originaria formulazione del comma 12 dell’art. 37, in sede di interlocuzione sulla legge n. 19 del 2020.
La conseguenza è pertanto che nella Regione Siciliana i boschi e foreste, nonché le relative fasce di rispetto, restano del tutto privi di una disciplina d’uso, stante l’assenza di un piano paesaggistico esteso all’intero territorio regionale, la cui elaborazione è rimessa alla mera voluntas della Regione.
In altri termini, la Regione, con una scelta censurabile, sottrae sia i boschi sia le fasce boschive al regime di tutela vigente da moltissimi anni, senza che i predetti beni siano disciplinati dal piano paesaggistico, e senza che tale scelta sia supportata da un interesse costituzionale reputato prevalente sulla tutela del paesaggio, alla quale è attribuito, nel sistema degli interessi costituzionalmente protetti, valore primario e assoluto (Corte cost. sentenza n. 367 del 2007).

L’illustrazione delle specifiche censure di illegittimità costituzionale riferite all’art. 12 della legge regionale n. 2 del 2021 deve muovere dalla constatazione che, sostituendo l’art. 37 della legge regionale n. 19 del 2020, e – in particolare – introducendo i commi 5 e 6 del predetto articolo, il predetto art. 12 ha previsto:
(i) la perdita dello status di beni paesaggistici delle fasce di protezione boschive già sottoposte a vincolo ai sensi dell’art. 10, comma 11, della legge regionale n. 16 del 1996, ora abrogato;
(ii) la cessazione della disciplina di tutela dei boschi e delle fasce contermini contenuta all’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996, nonché all’art. 15, comma 1, lett. e), della legge regionale n. 78 del 1976.
Occorre, quindi, esaminare partitamente i due suddetti profili.

La previsione dell’art. 10, comma 11, della legge regionale n. 16 del 1996, disponendo che “le zone di rispetto di cui ai commi da 1 a 3” del medesimo art. 10 “sono in ogni caso sottoposte di diritto a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497” ha declinato secondo le specificità della Regione la disciplina di tutela statale dei boschi e delle foreste.
Come detto, infatti, il vincolo paesaggistico ex lege imposto dalla c.d. legge Galasso, e ora dall’art. 142, comma 1, lett. g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha ad oggetto “i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento (…)”. La Regione ha inteso precisare la portata del predetto vincolo, stabilendo che esso includa anche le zone di rispetto appositamente previste in base all’estensione del bosco. Ciò all’evidente scopo di assicurare una migliore tutela dei boschi, in una lettura evoluta, che considera parte del bosco, meritevole di tutela paesaggistica, anche il contorno del bosco stesso, che ne assicura sia l’armonico inserimento nel paesaggio, che la possibile espansione, con benefici sia paesaggistici che ecologici e di tutela idrogeologica.
L’abrogazione del comma 11 dell’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996 ad opera dell’art. 12 della legge regionale n. 2 del 2021 comporta l’effetto della rimodulazione del vincolo paesaggistico già imposto da quasi venticinque anni, limitandolo ai soli boschi strettamente intesi, con esclusione delle relative fasce di rispetto.
Tale sopravvenuta e improvvisa abolizione del vincolo paesaggistico appare, oltre che irragionevole e ingiustificata, anche contraria ai canoni fondamentali dell’ordinamento costituzionale, che assegnano al paesaggio valore primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007).
La revoca ope legis del vincolo paesaggistico disposta dalla legge regionale consente oltretutto il rilascio del condono edilizio (ai sensi delle normative eccezionali del 1985, del 1994 e del 2004) anche per edificazioni che non sarebbero state condonabili, persino in accoglimento di domande di condono originariamente inammissibili, con invasione della potestà normativa statale nelle materie dell’ordinamento penale e dei livelli essenziali delle prestazioni socio-economiche che devono essere garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale, oltre che con la normativa statale di grande riforma economico-sociale repressiva degli abusi paesaggistici.
Si illustrano di seguito i profili di illegittimità costituzionale ora indicati.

1. Come detto, con l’art. 10, commi 1, 2, 3 e 11 della legge regionale n. 16 del 1996, il legislatore regionale, esercitando la propria competenza statutaria primaria in materia di tutela del paesaggio e ponendosi nel solco dell’innovazione legislativa intrapresa con il decreto-legge n. 312 del 1985 (c.d. Galasso), ora trasfusa nell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha ritenuto di individuare una ulteriore tipologia di beni paesaggisticamente vincolati, costituita dalle fasce boschive di estensione variabile da 50 a 200 metri, dotandole della stessa disciplina di tutela prevista per i boschi.
Peraltro, l’individuazione delle fasce contermini si pone in continuità con il bosco tutelato ai sensi della legge c.d. Galasso, costituendo, più che un nuovo vincolo, una estensione del vincolo (minimo) imposto dal legislatore statale.
La Corte costituzionale, nella nota sentenza n. 151 del 1985, ha evidenziato come il legislatore, con il decreto-legge n. 312 del 1985 e con la legge di conversione n. 431 del 1985, abbia proceduto all’individuazione di porzioni e di elementi del territorio stesso “secondo tipologie paesistiche ubicazionali o morfologiche rispondenti a criteri largamente diffusi e consolidati nel lungo tempo”, introducendo “una tutela del paesaggio improntata a integralità e globalità, vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale”. La Corte, in tale occasione, ha sancito la piena legittimità della scelta del legislatore statale, chiarendo come “Una tutela così concepita è aderente al precetto dell’art. 9 Cost., il quale, secondo una scelta operata al più alto livello dell’ordinamento, assume il detto valore come primario (cfr. sentenze di questa Corte n. 94 del 1985 e n. 359 del 1985), cioè come insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro”.
Appare evidente, pertanto, che la scelta del legislatore regionale, dotato di autonomia speciale proprio in materia di tutela del paesaggio, di individuare ulteriori aree, oltre a quelle cc.dd. “Galasso”, sottoposte a vincolo paesaggistico ope legis, quali nella specie le fasce boschive, discende direttamente dall’art. 9 della Costituzione e si salda strettamente con la determinazione già assunta dal legislatore statale nel 1985, nel sottoporre a tutela “i territori coperti da foreste e boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento (…)” (cfr. l’attuale art. 142, comma 1, lett. g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Proprio con riferimento ai boschi la Corte ha infatti evidenziato che “Sotto l’aspetto ambientale, i boschi e le foreste costituiscono un bene giuridico di valore «primario» (sentenza n. 151 del 1986), ed «assoluto» (sentenza n. 641 del 1987), nel senso che la tutela ad essi apprestata dallo Stato, nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano nelle materie di loro competenza (sentenza n. 378 del 2007). Ciò peraltro non toglie … che le Regioni, nell’esercizio delle specifiche competenze, loro garantite dalla Costituzione, possano stabilire anche forme di tutela ambientale più elevate” (Corte cost. sentenza n. 105 del 2008).
Con l’attuale previsione, oggetto di censura, il legislatore regionale, invece, revoca, inspiegabilmente, il predetto vincolo.
Occorre evidenziare che la natura meramente accertativa del vincolo paesaggistico, in conseguenza del cui riconoscimento trova applicazione il regime di tutela, fa sì che una volta riconosciuto l’interesse paesaggistico del bene lo stesso non possa essere revocato, neppure mediante contrarius actus.
Tale irrevocabilità discende, secondo i principi, dalla natura meramente ricognitoria dei vincoli paesaggistici, affermata dalla Corte fin dalla sentenza n. 56 del 1968, in quanto i “beni immobili qualificati di bellezza naturale hanno valore paesistico per una circostanza che dipende dalla loro localizzazione e dalla loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge. Costituiscono cioè una categoria che originariamente è di interesse pubblico e l’Amministrazione, operando nei modi descritti dalla legge rispetto ai beni che la compongono, non ne modifica la situazione preesistente, ma acclara la corrispondenza delle sue qualità alla prescrizione normativa”.
A maggior ragione, l’accertamento di un interesse pubblico “immanente al bene” si verifica se l’individuazione dei beni paesaggistici, anziché essere compiuta dall’amministrazione mediante puntuali provvedimenti amministrativi, è effettuata dallo stesso legislatore, mediante l’indicazione di specifiche categorie di beni, i quali sono quindi ritenuti originariamente di interesse paesaggistico.
Tali conclusioni, peraltro, sono pacificamente accolte dal Giudice amministrativo, che, proprio con riferimento ai boschi, anche recentemente ha ribadito “L’art. 142, comma 1, lettera g) del d.lgs. n. 42/2004 ha … individuato i territori coperti da boschi fra i beni paesaggistici tutelati per legge, con previsione meramente ricognitiva. Ne consegue, dunque, che i boschi costituiscono un bene paesaggistico sottoposto a tutela diretta dalla legge con vincoli che gli strumenti di pianificazione regionale devono recepire, non soggetti a decadenza, perché traggono origine dalle caratteristiche dell’area, il cui valore paesaggistico impone limitazioni all’esercizio delle facoltà di uso della stessa, rispetto alle quali non solo l’intervento dell’Amministrazione, ma anche quello del legislatore, assume valenza, come detto, ricognitiva e non costitutiva derivante dalla qualità intrinseche del bene tutelato” (Consiglio di Stato, sentenza n. 6921 del 2018).
Se l’individuazione del bene paesaggistico è sufficiente a svelarne la natura intrinseca di interesse pubblico, detta natura non può pertanto venire meno per effetto della revoca della fonte del vincolo, sia essa un provvedimento amministrativo o una norma primaria o anche una disposizione del piano paesaggistico.
Tale principio, direttamente discendente dall’art. 9 della Costituzione, è accolto nel Codice dei beni culturale e del paesaggio, che non ha riprodotto l’art. 14 del vecchio regolamento di cui al r.d. 1357 del 1940, da considerarsi implicitamente abrogato, che prevedeva il potere ministeriale, sentita la Commissione provinciale, di “togliere o restringere il vincolo (…) quando siano venute a mancare o a mutare le esigenze che lo avevano determinato”.
Il Codice infatti nega persino al piano paesaggistico, benché elaborato congiuntamente e condiviso con specifico accordo procedimentale tra Regione e Stato (o, nelle Regioni a statuto speciale, come la Sicilia, mediante accordo tra l’Amministrazione regionale competente in materia di paesaggio e quella competente in materia urbanistica), il potere di rimuovere o ridurre vincoli paesaggistici preesistenti (cfr. art. 140, comma 2). La disposizione si riferisce ai vincoli provvedimentali, in quanto non potrebbe nemmeno in via ipotetica dubitarsi che il piano possa revocare vincoli imposti dallo stesso legislatore.
La disciplina di tutela paesaggistica ha accentuato, rispetto alle originarie disposizioni della legge n. 1497 del 1939, una logica, per così dire “incrementale”, secondo la quale i vincoli possono essere estesi e integrati nei contenuti precettivi, e non perdono efficacia né devono essere sottoposti a forme di revisione o conferma, ma non possono venire meno una volta imposti, salvi i casi eccezionali nei quali sia definitivamente perduto l’elemento materiale nel quale si esprime il valore paesaggistico meritevole di tutela.
Al di fuori delle limitatissime ipotesi in cui vengano meno i presupposti di fatto del riconoscimento di un interesse paesaggistico (si badi, peraltro, che per i boschi il vincolo ope legis non viene meno nemmeno con la perdita del bene a seguito di incendio) non è rinvenibile, nell’ordinamento, un potere contrario rispetto a quello impositivo, il cui eventuale esercizio, finalizzato alla eliminazione o riduzione del vincolo, deve pertanto considerarsi illegittimo.
Stante la natura permanente del vincolo paesaggistico, non suscettibile di revoca, la norma censurata appare pertanto illegittima per violazione del principio della irrevocabilità dei vincoli paesaggistici, che trova fondamento nell’art. 9 Cost., nonché per violazione della norma di grande riforma economico-sociale, dettata dallo Stato nell’esercizio della potestà di cui all’art. 117, secondo comma lett. s), Cost., costituita dall’art. 140, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e conseguente violazione dell’art. 14, comma 1, lett. n), dello Statuto di autonomia, attuato con il d.P.R. 30 agosto 1975, n. 637.

2. Occorre ancora sottolineare che l’art. 12 della legge regionale, laddove introduce il nuovo comma 4 dell’art. 37, dispone che nella Regione si applica il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34, recante il Testo unico in materia di foreste e filiere forestali, il quale contiene, all’art. 3, comma 3, la definizione di bosco, formulata nei termini seguenti: “Per le materie di competenza esclusiva dello Stato, sono definite bosco le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento”.
Il successivo comma 4 dell’art. 3 precisa che “Le regioni, per quanto di loro competenza e in relazione alle proprie esigenze e caratteristiche territoriali, ecologiche e socio-economiche, possono adottare una definizione integrativa di bosco rispetto a quella dettata al comma 3, nonché definizioni integrative di aree assimilate a bosco e di aree escluse dalla definizione di bosco di cui, rispettivamente, agli articoli 4 e 5, purché non venga diminuito il livello di tutela e conservazione così assicurato alle foreste come presidio fondamentale della qualità della vita”.
Il Testo unico delle foreste, fatto proprio dalla Regione Siciliana, contiene quindi una nozione unitaria indefettibile di bosco a cui fare riferimento per l’individuazione del bene sottoposto a tutela ope legis, che può essere integrata dalle singole Regioni con il solo limite che non può comunque essere diminuito il livello di tutela (art. 3, comma 4). Conseguentemente, nel caso di individuazione di nuove aree boscate, o aree assimilate a bosco da parte delle Regioni, la sottoposizione a tutela paesaggistica consegue ipso iure e non è successivamente revocabile. Nel diverso caso di individuazione di “aree escluse” dalla definizione di bosco, viceversa, tale individuazione non potrà avere effetti nei confronti del regime di tutela paesaggistica ope legis prevista dalla normativa statale, nel senso di escluderne l’applicazione.
La normativa della Regione Siciliana, che, dopo aver sottoposto determinati ambiti a tutela paesaggistica funzionale alla protezione dei boschi, incrementando la tutela, intende poi sottrarre le predette categorie di beni paesaggistici al vincolo già imposto, appare quindi confliggente anche con l’impostazione di principio su cui si fonda il Testo unico delle foreste, che pure la stessa Regione ritiene di dover applicare nel proprio territorio, e conseguentemente risulta irragionevole e contradditoria, e perciò contraria agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

3. La Regione ha peraltro abrogato la normativa che sottoponeva le fasce boscate a tutela paesaggistica ope legis senza che tale abrogazione sia giustificata dal contemperamento con altri interessi costituzionalmente protetti, eventualmente coinvolti e considerati prevalenti.
La Corte costituzionale ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale di normative regionali che intervengono retroattivamente su disposizioni precedenti al solo fine di sottrarre al regime di tutela categorie di beni precedentemente vincolati (ci si riferisce al caso delle zone umide della Sardegna, su cui cfr. sentenza Corte cost. n. 308 del 2013).
In tale occasione la Corte ha ritenuto, tra l’altro, che “… la volontà del legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle relative norme del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, nella volontà di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio, in primo luogo attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1 della legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). L’effetto prodotto dalla norma regionale impugnata, all’opposto, risulta essere quello di una riduzione dell’ambito di protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza che ciò sia imposto dal necessario soddisfacimento di preminenti interessi costituzionali. E ciò, peraltro, in violazione di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla portata retroattiva delle leggi, con particolare riferimento al rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario. Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012”.
A ciò deve aggiungersi che l’eliminazione del vincolo paesaggistico determina effetti manifestamente arbitrari e irragionevoli, in quanto comporta un ingiustificato abbassamento del livello della tutela del paesaggio.
Anche a voler ammettere che un vincolo paesaggistico già imposto possa venire meno, dovrebbe quanto meno ritenersi che l’eliminazione del vincolo debba essere giustificata da una ponderazione di interessi che faccia emergere un altro valore costituzionale primario meritevole di prevalere su quello paesaggistico.
Nulla di simile si rinviene nella legge regionale in esame, la quale pone nel nulla vincoli paesaggistici imposti da circa venticinque anni, senza che emerga alcuna finalità di tutela di altri interessi meritevoli di tutela prevalente e, peraltro, senza che l’eliminazione dei vincoli sulle fasce boschive sia frutto di una ponderazione riferita a singole fattispecie concrete.
Ulteriore profilo di irragionevolezza emerge in considerazione della circostanza che l’eliminazione dei vincoli paesaggistici sulle fasce boschive comporta l’archiviazione dei procedimenti di autorizzazione paesaggistica già pendenti e rende improvvisamente e irragionevolmente privi di causa non solo i provvedimenti autorizzatori già rilasciati, ma anche le sanzioni già irrogate per gli illeciti paesaggistici realizzati.
Anche sotto questo profilo la normativa regionale censurata risulta perciò illegittima, per contrarietà agli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione.

4. A titolo di esemplificazione delle distorsioni procurate dalla norma censurata, deve evidenziarsi che il primo effetto dell’abrogazione del vincolo è quello di consentire il rilascio del condono edilizio (ai sensi delle normative eccezionali del 1985, del 1994 e del 2004) anche per edificazioni che non sarebbero state condonabili.
Con riferimento alle domande finalizzate al rilascio del provvedimento di condono per abusi realizzati prima dell’imposizione del vincolo paesaggistico del 1996, la norma ha un manifesto effetto premiale, atteso che, per le edificazioni abusivamente eseguite nelle fasce boschive, le domande potranno essere senz’altro accolte, senza necessità di acquisire il parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del paesaggio, che dovrebbe operare la valutazione di compatibilità con il vincolo sopravvenuto, ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 47 del 1985.
Ciò che è più grave, e rende manifestamente evidente l’illegittimità costituzionale della disciplina censurata, è l’effetto che viene a prodursi con riferimento alle edificazioni eseguite dopo l’imposizione del vincolo del 1996, atteso che per tali edificazioni non sarebbe stato possibile neppure astrattamente accedere al condono edilizio del 2004.
Come è noto, infatti, l’articolo 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269 del 2003 preclude in modo assoluto la sanatoria delle opere abusive qualora “siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.
Emerge da quanto ora esposto che il mutamento di disciplina da parte della Regione è sostanzialmente indirizzato a facilitare il ricorso alla sanatoria edilizia, con efficacia estesa anche al passato, così da ampliare, irragionevolmente, la sfera dei possibili beneficiari, rendendo persino ammissibili retroattivamente domande di condono che, in assenza della norma censurata, non sarebbero state neppure scrutinabili nel merito.
Al riguardo, deve qui ricordarsi che, con la sentenza n. 39 del 2006, la Corte Costituzionale ha già censurato, per manifesta irragionevolezza e contrarietà all’art. 3 Cost., la volontà della Regione Siciliana di rendere retroattivamente più ampia l’area di applicazione del condono edilizio, affermando che la tutela dei vincoli paesaggistici ed ambientali prevale sulle ipotesi di condono edilizio.
Per le ragioni ora illustrate, la disciplina regionale è, quindi, illegittima per violazione degli artt. 3 e 9 della Costituzione, della potestà esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., nonché della potestà dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lett. m) e di tutela del paesaggio nell’ambito delle procedure di condono edilizio (art. 117, secondo comma, lett. s), in concreto esercitata mediante la legge n. 47 del 1985 e l’art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003, costituenti norme di grande riforma economico sociale che si impongono alla Regione Siciliana, con conseguente violazione anche dell’art. 14, lett. f) ed n), dello Statuto, attuato con il d.P.R. 30 agosto 1975, n. 637.

5. Sotto altro profilo, strettamente connesso a quanto sin qui osservato, l’abolizione del vincolo determinerà il venir meno in radice di abusi paesaggistici che non sarebbero neppure sanabili ai sensi dell’art. 167 e 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Le suddette disposizioni consentono, infatti, di valutare la compatibilità paesaggistica delle opere eseguite in assenza di autorizzazione esclusivamente nei casi tassativamente indicati al comma 4 dell’art. 167. In particolare, la sanatoria è esclusa in radice laddove siano stati realizzati superfici utili o volumi o siano stati aumentati quelli legittimamente realizzati.
L’abolizione del vincolo paesaggistico comporterà il venir meno degli illeciti, stante la radicale eliminazione del vincolo, con conseguente abolizione anche del trattamento sanzionatorio penale e invasione, da parte della Regione, della potestà statale in materia di ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lett. l).
La Corte costituzionale ha già puntualizzato, in passato, in tema di condono edilizio, che le Regioni ad autonomia speciale, ove nei rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, devono, in ogni caso, rispettare il limite della materia penale e di “quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di grande riforma” (sentenza n. 196 del 2004). In tale occasione, la Corte ha precisato che “Non vi è dubbio sul fatto che solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale (per tutte, v. la sentenza n. 487 del 1989) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalità in materia «di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità» (sentenze n. 327 del 2000, n. 149 del 1999 e n. 167 del 1989)”.
La Corte inoltre, anche di recente, ha annullato le disposizioni della Regione Siciliana che configuravano un surrettizio condono edilizio, rimarcando che tali normative “travalicano la competenza legislativa esclusiva attribuita alla Regione in materia di urbanistica dall’art. 14, comma 1, lettera f), dello statuto speciale, invadendo la competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento penale» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con riguardo alla sanatoria di abusi edilizi” (Corte cost. n. 232 del 2017).
In tale ottica, le disposizioni regionali che incidono sul trattamento sanzionatorio degli illeciti paesaggistici, anche sul piano amministrativo, si pongono pure in contrasto con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti uniformemente in tutto il territorio nazionale.
La Corte ha più volte sottolineato, del resto, come le attribuzioni legislative delle Autonomie speciali trovino un limite nella potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Si è, infatti, rimarcato che “(...) viene in rilievo un parametro costituzionale, cioè l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che (...) postula tutele necessariamente uniformi su tutto il territorio nazionale e tale risultato non può essere assicurato dalla Regione, ancorché ad autonomia differenziata, la cui potestà legislativa è pur sempre circoscritta all’ambito territoriale dell’ente” (sentenze n. 121 del 2014 e 203 del 2012).
Anche sotto questo profilo viene, quindi, in rilievo la violazione degli artt. 3 e 9 della Costituzione, della potestà esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., nonché della potestà dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lett. m) e di determinazione delle norme fondamentali di grande riforma economico sociale in materia di tutela del paesaggio (art. 117, secondo comma, lett. s), potestà in concreto esercitata mediante gli artt. 167 e 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che si impongono alla Regione Siciliana, con conseguente violazione anche dell’art. 14, lett. f) ed n), dello Statuto, attuato con il d.P.R. 30 agosto 1975, n. 637.

6. Come detto, oltre a eliminare il vincolo paesaggistico imposto ex lege sulle zone di rispetto boschive, l’art. 12 della legge regionale in esame abroga in toto anche la disciplina di tutela sostanziale che la Regione Siciliana aveva dettato sia con riferimento ai boschi e alle foreste vincolati ai sensi della c.d. legge Galasso, che alle fasce contermini ai boschi, per una certa estensione sottoposte anche, come detto, a vincolo paesaggistico dalla stessa Regione.
La suddetta disciplina era deputata a svolgere un ruolo determinante nel sistema della tutela, stante – come detto – l’assenza di una pianificazione paesaggistica estesa all’intero territorio regionale (fermo restando che i piani paesaggistici attualmente in vigore non dettano una disciplina autonoma in relazione alle fasce boschive, ma rinviano alla disciplina regionale abrogata o la assumono a proprio presupposto, con le conseguenze che si illustreranno di seguito).
In particolare, come sopra detto, la Regione aveva previsto:
- il divieto assoluto di nuove costruzioni nei boschi e nelle foreste già vincolati ai sensi della c.d. legge Galasso (art. 10, comma 1, della legge regionale n. 16 del 1996);
- il divieto assoluto di nuove edificazioni nelle zone di rispetto dei boschi (art. 10, commi 1, 2 e 3 del medesimo art. 10, con le modulazioni e le precisazioni contenute nei successivi commi);
- la prescrizione di tutela, vincolante per i Comuni in sede di elaborazione degli strumenti urbanistici, volta a imporre l’arretramento delle costruzioni di 200 metri dai boschi e dalle fasce forestali, con esclusione delle zone omogenee A e B (art. 15, primo comma, lett. e), della legge regionale n. 78 del 1976).
Con riferimento a quest’ultimo intervento, giova chiarire che l’art. 12 della legge regionale in esame introduce anche, nel nuovo art. 37 della legge regionale n. 19 del 2020, un ulteriore comma 6, il quale interviene sulla lettera e) del primo comma dell’art. 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, sopprimendo le parole “dal limite dei boschi, delle fasce forestali”.
La lettera e) è, pertanto, così riformulata: “e) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 200 e dai confini dei parchi archeologici”.
Al di là del refuso rimasto nel testo (la lettera “e”dopo le parole “metri 200”), l’effetto della novella è di sopprimere, tra le prescrizioni previste dall’art. 15, che devono essere osservate ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, la fascia di rispetto dei 200 metri dai boschi e dalle fasce forestali.
Come evidenziato dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, l’art. 15 mira a tutelare l’interesse pubblico primario alla conservazione dei valori ambientali dell’intera Regione Siciliana, e in particolare del perimetro costiero (cfr. lettere a), b), c) e d) del primo comma dell’art. 15), ed è in grado di resistere, sotto il profilo della gerarchia delle fonti, ad eventuali quanto ricorrenti tentativi d’incisione realizzati dagli enti locali attraverso varianti della zonizzazione in essere, introdotte nei propri strumenti pianificatori (Cons. giust. amm. Reg. Sic., 28 aprile 2006 n. 692).
Le disposizioni di tutela sopra richiamate sono state dettate dalla Regione con legge, proprio allo scopo di evitare la compromissione del territorio e dei valori paesaggistici e naturalistici connaturati (tra l’altro) alle aree boscate, stante anche il mancato completamento della pianificazione paesaggistica. E – occorre rimarcare – si tratta di previsioni che, per la loro portata dispositiva, appaiono omogenee ai contenuti propri del piano paesaggistico, in quanto: (i) recano la disciplina dei boschi; (ii) estendono la tutela alle fasce boschive; (iii) impongono prescrizioni a tutela del paesaggio boschivo da attuarsi con la mediazione della pianificazione urbanistica comunale.
Le suddette disposizioni anticipano, quindi, i contenuti della futura pianificazione paesaggistica, obbligatoria per tutto il territorio nazionale, e alla quale spetta di dettare il regime di tutela dei beni paesaggistici (art. 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio).
In questa prospettiva, le medesime previsioni sono deputate a svolgere una doppia funzione: non solo di disciplina di una parte del paesaggio (quello boschivo), con la previsione del regime d’uso dei boschi e delle relative fasce di rispetto, ma anche di salvaguardia del medesimo paesaggio boschivo, in attesa della futura pianificazione paesaggistica, destinata a recepire le medesime disposizioni.
Sotto quest’ultimo profilo, la scelta operata dalla Regione appare porsi anche nel solco dell’art. 1-ter del decreto legge n. 312 del 1985, il quale ha previsto che, in attesa dell’elaborazione dei piani paesaggistici, le Regioni avessero facoltà di imporre specifiche norme di salvaguardia, volte a vietare qualsiasi trasformazione del territorio negli ambiti sottoposti a tutela paesaggistica.
Occorre peraltro evidenziare sin d’ora la particolare impostazione metodologica seguita nella strutturazione dei piani paesaggistici provinciali successivamente adottati e approvati (in relazione a sette province su nove), per le conseguenze che da tale impostazione derivano a seguito della totale abrogazione della disciplina regionale sui boschi e sulle fasce boschive.
Nei predetti piani paesaggistici provinciali è stata dettata infatti un’autonoma disciplina d’uso esclusivamente con riferimento ai boschi già vincolati ai sensi della c.d. legge Galasso, mentre altrettanto non è avvenuto per le fasce boschive, in relazione alle quali i predetti piani non recano un’autonoma disciplina d’uso, ma, pur impiegando formulazioni testuali non identiche, fanno rinvio alle previsioni dell’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996, oggetto della presente abrogazione e, per di più, contengono espressamente un rinvio mobile alle successive modifiche e integrazioni delle stesse previsioni
Ciò significa che, per quanto attiene alle fasce boscate, il venir meno della normativa regionale di riferimento, mediante l’abrogazione dell’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996, priva le NTA dei piani provinciali del presupposto giuridico e operativo alla base della disciplina di tutela, ivi declinata mediante rinvio alla predetta legge, con l’effetto di far venire meno la disciplina di piano e creare un vuoto di tutela.
In questo quadro, l’approvazione dei piani paesaggistici delle province di Enna e Palermo, allo stato ancora mancanti, potrebbe al più garantire, in analogia con gli altri piani provinciali, la sola disciplina di tutela dei boschi cc.dd. Galasso, fermo restando il venir meno della tutela paesaggistica approntata alle fasce boschive in tutto il territorio regionale.

La Regione quindi, dopo aver dato attuazione alle norme statali di grande riforma economico-sociale, stabilisce ora, in assenza di una compiuta pianificazione paesaggistica dell’intero territorio regionale, di sottrarre tali aree al regime di tutela imposto da moltissimi anni, con la conseguenza che i predetti beni si troverebbero privi di qualsivoglia disciplina d’uso, e ciò in assenza di diversi interessi costituzionali, parimenti tutelati e considerati prevalenti, che possano giustificare una tale scelta.
Tale vuoto di tutela, inoltre, si viene a creare persino nelle aree del territorio regionale attualmente pianificate, in quanto le NTA dei piani paesaggistici in vigore richiamano, sia per l’identificazione delle fasce boscate, sia per la relativa disciplina, proprio la normativa regionale oggetto di abrogazione, rinviando senz’altro a tale normativa l’intera disciplina d’uso, ovvero assumendola comunque quale presupposto giuridico indefettibile per l’applicazione di eventuali ulteriori previsioni.
In altri termini, non si nega che la Regione abbia la potestà di modificare la disciplina d’uso del paesaggio tutelato già dettata (fermo restando il vincolo paesaggistico, come detto inderogabile), ma ciò che risulta costituzionalmente illegittimo è che la Regione faccia cessare immotivatamente tale disciplina in assenza di pianificazione paesaggistica ovvero determinando l’abrogazione della pianificazione paesaggistica esistente. Viene, così, menomata la funzione di salvaguardia, esercitata nel solco della norma di grande riforma economico-sociale posta dall’art. 1-ter del decreto legge n. 312 del 1985, determinando un vuoto di tutela che si estende anche al paesaggio già pianificato.
La Corte Costituzionale ha più volte rimarcato che la tutela del paesaggio trova la sua espressione nel piano paesaggistico (Corte cost., sentenza n. 367 del 2007), costituente la sede indefettibile nella quale operare una valutazione in concreto dei singoli contesti, dettando, per ciascuna porzione di territorio considerata, la disciplina degli usi compatibili e non compatibili con i valori tutelati (cfr. artt. 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). Si tratta di un’operazione, da compiere in concreto e sulla base del quadro conoscitivo del territorio, obbligatoria per tutte le Regioni, incluse quelle ad autonomia speciale.
Con la legge regionale in esame, la Regione elimina la disciplina di tutela del paesaggio boschivo, al contempo sottraendosi a tempo indeterminato al proprio obbligo di pianificazione di tale paesaggio, o addirittura facendo cadere, ex post, la disciplina delle aree già pianificate, ponendosi così in contrasto con i principi già richiamati.
Anche il Consiglio di Stato ha ribadito, con riferimento anche alle Regioni a autonomia speciale, che le stesse non possono prevedere una tutela minore rispetto e quella apprestata dal Codice, ma solo una tutela maggiore. In particolare, il Supremo Consesso, richiamando gli orientamenti della Corte costituzionale, ha ribadito: “E infine, proprio in relazione all’art. 142 del codice, la Corte costituzionale ha nei giorni scorsi ribadito - con affermazione dettata per le Regioni a statuto ordinario, e quindi ancor più valida per quelle dotate di una specifica e differenziata competenza legislativa, garantita sul piano costituzionale - che la legislazione regionale può “fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto”, cosicché quel che rimane inversamente precluso al legislatore regionale è solo l’introduzione di restrizioni all’ambito della tutela (sentenza 19 - 23 marzo 2012, n. 66; e ancor prima sentenza 18 – 29 maggio 2009, n. 164, relativa a una norma legislativa della Valle d’Aosta, ma con enunciazioni di portata generale)” (Cons. Stato, sentenza n. 2188 del 2012).
Discende da quanto sopra detto che, con le disposizioni dell’art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996 e dell’art. 15, primo comma lett. e), della legge regionale n. 78 del 1976 la Regione aveva anticipato, mediante norme di tutela, l’esercizio della pianificazione paesaggistica. Tali norme non possono, quindi, essere abrogate, o quanto meno non possono esserlo né in assenza del piano, né in presenza di piani che si limitano a rinviare alla predetta disciplina e/o la assumono quale presupposto giuridico e operativo indefettibile delle rispettive previsioni, atteso che tale abrogazione comporta:
- un abbassamento del livello della tutela manifestamente arbitrario e irragionevole, perché non supportato da esigenze di cura di altri interessi di rilievo costituzionale prevalente, e addirittura del tutto immotivato, con conseguente violazione degli artt. 3 e 9 Cost.;
- la violazione, da parte della Regione, del proprio obbligo di disciplina del paesaggio, vincolato e non, atteso che l’abolizione del regime di tutela del paesaggio boschivo avviene in assenza di una compiuta pianificazione paesaggistica di tale paesaggio e addirittura con abrogazione della pianificazione adottata e/o approvata, quindi, determinando il venir meno di ogni disciplina al riguardo, con violazione degli artt. 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, costituenti norme di grande riforma economico sociale dettate dal legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., e destinate a imporsi sulla potestà esclusiva di cui all’art. 14, comma 1, lett. n) ed f) dello Statuto di autonomia della Regione Siciliana, attuato con il d.P.R. 30 agosto 1975, n. 637;
- l’eliminazione della suddetta disciplina anche nella sua funzione di salvaguardia, nonostante il mancato completamento della pianificazione paesaggistica, con conseguente violazione anche della norma di grande riforma economico-sociale di cui all’art. 1-ter del decreto legge n. 312 del 1985.

Per i motivi sopra illustrati, limitatamente alle disposizioni sopra censurate contenute nell’articolo 12, la legge regionale deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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