Dettaglio Legge Regionale

Norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale: agrobiodiversità, marchio collettivo, distretti (7-8-2014)
Sardegna
Legge n.16 del 7-8-2014
n.39 del 14-8-2014
Politiche infrastrutturali
/ Rinuncia impugnativa
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 30 settembre 2014, il Governo ha impugnato la legge della Regione Sardegna n.16 del 7/08/2014 recante: Norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale: agrobiodiversità, marchio collettivo, distretti.

In particolare , la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, è stata sollevata in relazione alle norme contenute negli articoli 11 e da 15 a 24 della legge regionale , disciplinanti, rispettivamente, il contrassegno dell'agrobiodiversità sarda e il marchio collettivo di qualità agro-alimentare garantito dalla Regione. Dette disposizioni regionali, infatti, sono state ritenute eccedere dalle competenze riconosciute alla Regione Sardegna dallo Statuto speciale di autonomia, in quanto contrastanti con il principio della libera circolazione delle merci affermati dal TFUE e, quindi , con gli articoli 117, comma 1 e 120 della Costituzione.

Successivamente la Regione Sardegna , con la legge regionale n.30 del 4 dicembre 2014, è intervenuta sulle sopra citate norme censurate. Nello specifico è stata eliminato il riferimento al settore agroalimentare "regionale" per non favorire i prodotti regionali rispetto a quelli nazionali e comunitari; è stato introdotto un esplicito riferimento al regolamento (CE) n. 207/2009, del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario, al fine di chiarire in maniera esplicita che il marchio di qualità regionale opererà nell'ambito e nel pieno rispetto della normativa comunitaria in materia di libera concorrenza e di marchi collettivi, specificando, altresì che il progetto di regolamento d'uso del marchio dovrà essere preventivamente comunicato al Ministero dello sviluppo economico e, tramite di esso, alla Commissione europea per le verifiche previste dalla direttiva n. 98/34/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998. Infine sono state abrogate sia la previsione della necessaria sede legale in Sardegna per le imprese interessate la possibilità di accedere all'utilizzo del marchio sia le norme in diretto contrasto con i principi di libera circolazione e di concorrenza.

Si ritiene, quindi, su parere conforme del Dipartimento per le Politiche Europee , che le modifiche apportate consentano di considerare venuti meno i motivi oggetto di censura e che, pertanto, ricorrano i presupposti per rinunciare al ricorso di fronte alla Corte Costituzionale avverso la legge regionale della Regione Sardegna n. 16 /2014.
30-9-2014 / Impugnata
La legge regionale detta norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale, agrobiodiversità, marchio collettivo, distretti.
Le disposizioni contenute nel Capo II (artt. da 15 a 24) - Istituzione del marchio collettivo di qualità agroalimentare garantito dalla regione per la tracciabilità e la promozione dei prodotti agricoli e agro-alimentari di qualità - nonché l’art. 11, presentano aspetti di illegittimità costituzionale ed eccedono dalle competenze statutarie attribuite alla Regione Sardegna dallo Statuto speciale di autonomia, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in quanto violano gli artt. 117, comma 1, 117, comma 2, lett. r) e 120 della Costituzione per i motivi di seguito specificati.

Si premette che la Regione Sardegna, in base all’articolo 3, primo comma, lettera d) dello Statuto speciale di autonomia, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, gode di competenza legislativa primaria in materia di “agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario”.
Tale competenza, ai sensi della medesima norma statutaria, trova il proprio limite nella Costituzione e nei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e deve esplicarsi nel rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.

Ciò premesso , si evidenzia in particolare :
L’art. 16 e della legge regionale n. 16/2014, prevede che “…la Regione autonoma della Sardegna, ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), registra un marchio di qualità a carattere collettivo dei prodotti agricoli e agro-alimentari, di seguito denominato "marchio" e ne è titolare.” Detto marchio, la cui registrazione appare del tutto eventuale, in quanto subordinata alle condizioni previste dalla normativa sui marchi collettivi, risulta illegittimo in quanto, dal complesso delle disposizioni contenute nella legge regionale emerge quanto segue:
1) pur non essendo indicata l’esatta dicitura del marchio, il cui segno distintivo dovrà essere disciplinato con direttiva della Giunta regionale (art. 17), è di tutta evidenza che il legislatore sardo intende istituire un marchio di qualità regionale, recante un’indicazione di origine facente riferimento alla Regione Sardegna, al fine di identificare come prodotti di qualità quelli agroalimentari del territorio;
2) l’intenzione del legislatore di promuovere i prodotti locali è chiaramente enunciata nell’art. 15 ("La Regione considera strategico il settore agroalimentare regionale…”) e il marchio è rilasciato alle sole imprese con sede legale in Sardegna (art. 18, comma 2);
3) in caso di produzioni primarie prodotte in Sardegna o di prodotti trasformati in Sardegna con materie prime sarde, si prevede l’indicazione in etichetta della dicitura “Prodotto in Sardegna” (art. 22), in aperto contrasto con quanto stabilito dalla direttiva 98/34/CE, che obbliga gli Stati membri a notificare i progetti delle regolamentazioni tecniche relative ai prodotti alla Commissione e agli Stati membri, prima della loro adozione, pena l’inapplicabilità delle disposizioni adottate;
4) è istituito un contrassegno regionale da apporre sui prodotti costituiti, contenenti o derivati da materiale iscritto nei repertori regionali, al fine di favorire la più ampia conoscenza in ordine ai prodotti ottenuti da risorse genetiche (del territorio regionale) (art. 11).
5) il legislatore regionale prevede sanzioni amministrative per l’uso non autorizzato del marchio (art. 24).

L'istituzione, e la conseguente disciplina di un siffatto marchio collettivo di qualità, da parte della Regione Sardegna, si pone quindi in conflitto con il diritto dell’Unione europea, ed in particolare con quanto disposto, dagli artt. 34 e 35 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), che fanno divieto agli Stati membri di porre in essere restrizioni quantitative all'importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente - violando così l'art. 117, primo comma, della Costituzione, che richiede, nell’esercizio della potestà legislativa anche regionale , il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
In diverse occasioni la Corte di Giustizia ha sottolineato che una legislazione nazionale che regoli o applichi misure di marcatura di origine, siano i marchi obbligatori o volontari, è contraria agli obiettivi del mercato interno, perché può rendere più difficile la vendita in uno Stato membro della merce prodotta in un altro Stato membro, ostacolando gli scambi intracomunitari e facendo così venir meno i benefici del mercato interno. Nella sentenza del 5 novembre 2002 (C-325/00), la Corte ha ritenuto che un sistema di marcatura, seppure facoltativo, nel momento in cui esso è imputabile ad autorità pubblica, ha effetti, almeno potenzialmente, restrittivi sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri, in quanto l’uso del marchio “favorisce, o è atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene”.
E’ incompatibile con il mercato unico la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o parte del processo produttivo «la quale di per ciò stesso limita o svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgono in tutto o in parte in altri Stati Membri» (Corte di Giustizia sentenza del 12 ottobre 1978, causa 13/78).
Si segnalano, inoltre, recenti sentenze della Corte Costituzionale dichiarative dell’illegittimità costituzionale di leggi regionali istitutive di marchi di qualità (sent. n. 86 del 2 aprile 2012, relativa alla legge della Regione Marche n. 7/2011; sent. n. 66 dell’8 aprile 2013, relativa alla legge della Regione Lazio n. 1/2012).

Le medesime norme richiamate contrastano , altresì, con l’art. 120, primo comma, della Costituzione, in quanto le misure adottate dalla Regione Sardegna sono suscettibili di ostacolare la libera circolazione delle merci, anche all'interno del mercato nazionale, inducendo i consumatori a preferire i prodotti sardi rispetto a quelli provenienti da altre Regioni. Non appare dirimente al riguardo la disposizione di salvaguardia contenuta nel comma 3 del medesimo art. 16 nella parte in cui prevede che “I prodotti per i quali può essere concesso l'utilizzo del marchio sono realizzati nell'ambito di un sistema di qualità trasparente, aperto a tutti i produttori, che assicuri la completa tracciabilità dei prodotti e risponda alle esigenze del mercato e dei consumatori, agli standard di qualità socio-economica e ambientale adottati nei disciplinari di cui al comma 2, nel rispetto delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci di cui agli articoli 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”, in quanto è l’istituzione stessa del marchio a violare i richiamati principi comunitari e nazionali. Sul tema si è recentemente espressa in Corte Costituzionale con la sentenza 8 aprile 2013, n. 66, che ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’istituzione di un marchio regionale (nella specie collettivo, di qualità, dei prodotti agricoli ed agroalimentari) è incostituzionale, poiché induce i consumatori a preferire i prodotti contraddistinti con il marchio in questione rispetto ad altri similari e, dunque, viola il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione, previsto dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, oltre a rischiare di frammentare il mercato interno nazionale.

Infine , con riferimento alla disposizione contenuta nell'articolo 24, concernente le sanzioni amministrative previste in caso di uso non autorizzato del marchio , si rileva un contrasto con l'art. 117, comma 1, lett. r) della Costituzione ai sensi del quale lo Stato ha legislazione esclusiva, fra le altre, in materia delle opere dell’ingegno e, quindi, in materia di proprietà intellettuale sia sotto il profilo del diritto d'autore sia del diritto industriale (cfr. ex plurimis sentenza della Corte Cost. 14-11-2008, n. 368, segnatamente il considerato in diritto 3.2). In particolare i diritti di proprietà industriale, segnatamente i marchi ed altri segni distintivi titolati e non, sono disciplinati a livello nazionale (Cfr. codice della proprietà industriale decreto legislativo 10 Febbraio 2005. n. 30 - CPI, codice civile), comunitario ed internazionale, e si acquistano mediante registrazione o negli altri modi stabiliti dal codice (art. 2 CPI) o dalla legge che prevede le diverse forme di tutela, anche penale, dalla contraffazione, alterazione o uso non autorizzato (cfr. artt. 473 e ss. del codice penale). La previsione di sanzioni amministrative pecuniarie a carattere regionale, nel caso di uso non autorizzato del marchio collettivo regionale, oltre a rischiare di essere scarsamente applicabile in relazione alla portata assorbente della norma penale nazionale sopra richiamata, risulta invasiva della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di proprietà industriale. Pertanto, la norma regionale indicata viola l’art. 117, comma 1, lett. r) della Costituzione in quanto interferisce con la normativa nazionale e comunitaria sui marchi d'impresa ed altri segni distintivi riservata alla competenza esclusiva dello Stato.


Per tutti i motivi sopra illustrati l’art. 16 e le norme ad esso correlate della legge regionale n. 16/2014, devono essere impugnati, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, per violazione degli artt. 117, primo comma, 117, secondo comma, lettera r) e 120, primo comma, della Costituzione.

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