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Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge di stabilità regionale 2014) (7-8-2014)
Campania
Legge n.16 del 7-8-2014
n.57 del 7-8-2014
Politiche economiche e finanziarie
6-10-2014 / Impugnata
La legge della Regione Campania n. 16 del 7 agosto 2014 recante “Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge di stabilità regionale 2014)” presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento alle disposizioni di seguito individuate e deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione per i motivi appresso specificati:

1) art. 1, comma 49 a), e), f), g), i) ed l);
2) art. 1, comma 72;
3) art. 1, comma 88 e 89;
4) art. 1, comma 93;
5) art. 1, comma 104 e 105;
6) art. 1, comma 108.


1) Le norme contenute nell’articolo 1, comma 49, lettere a), f), g) ed i) modificano la legge regionale 16 marzo 1986, n. 11 (Norme per la disciplina delle attività professionali turistiche) disciplinando la professione turistica di "guida archeologica subacquea". In particolare: la lettera a) aggiunge all'elenco delle professioni di cui all'articolo 2 della predetta l.r. n. 11/1986 la nuova professione guida archeologica subacquea; la lettera f) inserisce la suddetta professione nel novero di quelle soggette ad abilitazione da parte della regione Campania; la lettera g) subordina lo stabile esercizio della professione alla conoscenza del patrimonio storico, artistico, museale, archeologico e naturale della Regione Campania; la lettera i) stabilisce i requisiti necessari per il conseguimento dell'abilitazione allo svolgimento della professione de qua.
L'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, stabilisce che la disciplina delle professioni rientra nella competenza concorrente dello Stato ed allo stesso spetta, pertanto, la disciplina dei principi fondamentali. Pertanto, come risulta da consolidata giurisprudenza costituzionale, solo lo Stato può individuare nuove figure professionali, anche nel settore del turistico, restando riservata alle regioni le norme di dettaglio (cfr. in particolare, sentenze nn. 222/2008, 271/2009, 132/2010, 93/2008 e 178 del 2014).
Considerato che la professione introdotta dalle disposizioni censurate non trova alcun riferimento nella legge statale, le stesse devono essere ritenute incostituzionali per violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione.
I profili di incostituzionalità rilevati si estendono anche alle lettere e) ed l) del medesimo comma 49.
La lettera e), che introduce una nuova modalità di riconoscimento per la professione di interprete turistico, interviene sul titolo abilitativo di una professione non (più) prevista dalla normativa nazionale ma solo da quella regionale e dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 132/2010. Tale disposizione, introducendo una alternativa per il conseguimento del predetto titolo abilitativo, viola l’art. 117, comma 3, della Costituzione, che riserva allo Stato la funzione individuatrice della professione e la disciplina dei relativi profili e titoli abilitativi.
Analoghe considerazioni valgono con riferimento alla lettera l), che, abrogando uno dei requisiti previsti dalla legge n. 11/1986, per partecipare all'esame per l'accertamento dell'idoneità all'esercizio delle professioni turistiche, invade la competenza statale nell'individuazione della professione e dei relativi profili e titoli abilitativi.
Si chiede quindi di dichiarare incostituzionali le disposizioni regionali impugnate, in quanto non rispettano i limiti imposti dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di professioni.

2) L’art. 1, comma 72, di modifica dell’articolo 9, l.r. n. 10/2004, alla lettera a) dispone la proroga del termine per la definizione delle domande di sanatoria edilizia dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2015 e alla lettera b), nel sostituire il comma 5, prevede che le disposizioni del citato articolo 9 non si applicano agli abusi edilizi realizzati sulle aree del territorio regionale sottoposte ai vincoli previsti dall’articolo 33 della l. 47/1985 “solo ed esclusivamente se i predetti vincoli comportano l’inedificabilità assoluta delle aree su cui insistono e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse”.
Tale previsione, nel prorogare e nell’attribuire rilievo impediente della sanatoria ai soli vincoli previsti dall’articolo 33 della l. n. 47/1985 che comportino inedificabilità assoluta, ha l’effetto di ampliare l’ambito del condono edilizio, in contrasto con le norme statali di principio in materia. La norma regionale, infatti, da un lato non contempla i vincoli di inedificabilità relativa, dall’altro non contempla l’ipotesi di vincoli – di inedificabilità assoluta o relativa - posti successivamente alla realizzazione dell’abuso, per i quali l’art. 32 della l. n. 47/1985 subordina la sanatoria al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso, prevedendo altresì il silenzio-rifiuto nel caso in cui il parere non venga rilasciato entro il termine di 180 giorni dalla richiesta.
Al riguardo, giova richiamare la giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale che, da ultimo con sentenza n. 290/2009, ha affermato che “solo alla legge statale compete l’individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario (sent. n. 70/2005; sent. n. 196/2004), sicché la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti applicativi della sanatoria eccede la competenza concorrente della Regione in tema di governo del territorio”.
Si ritiene che la disposizione censurata, oltre a violare l’art. 117, comma 3, con riferimento alla materia “governo del territorio”, violi anche l’art. 117, comma 2, lettera s), che attribuisce allo Stato potestà legislativa esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, nonché l’art. 9 della Costituzione.
Sotto il primo profilo, infatti, deve rilevarsi che la disposizione è idonea a consentire sanatorie in zone “a rischio idraulico” individuate dai piani di bacino o dai piani stralcio di cui alla l. n. 183/1989, le cui relative misure di salvaguardia, in base alle disposizioni del d.P.C.M. 29 settembre 1998, punto 3.1, lettera a), possono prevedere per tali zone l’inedificabilità parziale. Al riguardo, è opportuno evidenziare che le prescrizioni più restrittive contenute negli atti di pianificazione di bacino hanno carattere vincolante per le amministrazioni e gli enti pubblici e sono sovraordinate ai piani territoriali e ai programmi regionali, ai sensi dell’articolo 65, co. 4,5, e 6 del d.lgs. n. 152/2006. Pertanto, sotto questo aspetto la disposizione censurata invade la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, in violazione dell’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
Sotto un diverso profilo, deve osservarsi che la disposizione censurata, sotto le mentite spoglie di una proroga del termine per la definizione delle domande di condono riferite ad abusi ultimati entro le date previste dalle leggi n. 47/1985 e n. 724/1994 e presentate nei termini previsti dalle medesime, possa di fatto tradursi in una ammissione dei soggetti richiedenti ad integrare, modificare, sviluppare in vario modo (anche su eventuale sollecitazione istruttoria dei comuni procedenti) le medesime domande, in tal modo determinando una oggettiva condizione di concreta possibilità che, stante il lunghissimo lasso di tempo trascorso dalla presentazione delle domande originarie, siano indirettamente ammessi all’esame dei comuni (e conseguentemente al condono) ulteriori abusi successivamente posti in essere, quali ampliamenti, completamenti delle opere, ecc., senza che le amministrazioni comunali siano in realtà nelle condizioni di poter effettivamente verificare caso per caso e distinguere ciò che è stato consumato e ultimato negli anni 1983 e 1993 e ciò che, invece, è stato realizzato (o proseguito, o completato) successivamente (e anche in data recente). Tali conseguenze naturali della disposizione in esame appaiono pressoché inevitabili in fatto ed espongono i beni paesaggistici e storico-artistici tutelati, già compromessi dagli abusi edilizi, al pericolo di un ulteriore peggioramento del livello di tutela, con evidente lesione dei valori protetti. Ancora, si ritiene che la disposizione censurata sia manifestamente irragionevole e sproporzionata, posto che la mancata disamina delle vecchie domande di condono da parte dei comuni non fa venir meno l’obbligo giuridico degli enti locali di concludere comunque i relativi procedimenti sulla base degli atti disponibili, con la conseguenza che il termine introdotto dalla disposizione de qua non può avere natura perentoria, ma solo ordinatoria o sollecitatoria. A fronte della inutilità della disposizione, quindi, appare eccessivo e sproporzionato il pericolo di danni ulteriori ai beni tutelati che la medesima è idonea a generare.

3) L’art. 1, commi 88 e 89, nel disciplinare la gestione provvisoria del servizio idrico integrato, prevede che la Regione Campania, al fine di assicurare la gestione unitaria e l’efficientamento del servizio idrico integrato e in attesa di avviare le procedure di affidamento seconda la normativa nazionale e comunitaria, individua con propri decreti uno o più soggetti gestori del servizio idrico al fine di provvedere alla gestione provvisoria dello stesso, previa stipula di una convenzione.
Tali previsioni, ponendosi in contrasto con la disciplina transitoria dettata dallo Stato per definire in maniera uniforme l’affidamento del servizio idrico (art. 13, comma 2 e comma 3, d.l. n. 150/2013; art. 7, comma 1, lettera i), d.l. 133/2014, che modifica l’art. 172, d.lgs. n. 152/2006), invadono la potestà legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza e quindi violano l’art. 117, comma 2, lettere e) ed s) della Costituzione.
In particolare, l’articolo 13, comma 2, del d.l. n. 150/2013 dispone che “La mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale ai sensi del comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge del 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ovvero la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014”. Il successivo comma 3 prevede, altresì, che “Il mancato rispetto dei termini di cui ai commi 1 e 2 comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014”.
I vizi di legittimità costituzionale evidenziati sussistono anche sotto un diverso profilo, ponendosi in contrasto con l’assetto delle competenze in materia di servizio idrico integrato definito dal d.lgs. n. 152/2006. Il Codice dell’ambiente, infatti, prevede che “Gli enti locali, attraverso l’Autorità d’ambito di cui all’articolo 148, comma 1, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo” (art. 142). Inoltre, rientra nella competenza degli enti locali la predisposizione del Piano d’Ambito, che costituisce il riferimento essenziale per la determinazione della tariffa idrico integrata, nonché per l’affidamento della gestione del servizio stesso (art. 149) Alla Regione spetta, invece il compito di individuare (ed eventualmente modificare) gli ambiti territoriali ottimali e la forma giuridica organizzativa del regolatore locale (art. 147). Le disposizioni censurate, attribuendo alla Regione il compito di individuare, con proprio decreto, i gestori del servizio idrico competenti per la gestione provvisoria, contrastano con l’assetto di competenze appena descritto. Nonostante l’intervenuta abrogazione delle AATO, infatti, non è venuta meno la competenza degli enti locali in materia di regolazione, controllo e vigilanza del servizio idrico integrato a livello locale, competenza che non può essere avocata dalla regione solo perché la stessa non ha provveduto all’individuazione di un soggetto di governo locale che avrebbe dovuto sostituire le ex autorità d’ambito.

4) L’art. 1, comma 93, secondo cui la Struttura di missione provvede “….b) allo svolgimento delle attività di competenza della Regione finalizzate alla determinazione delle tariffe”, contrasta con la normativa statale che attribuisce all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico le funzioni in materia di tariffe del sistema idrico integrato (art. 10, comma 14, d.l. n. 70/2011; art. 21, comma 19, d.l. n. 201/2011, art. 3, d.P.C.M. 20 luglio 2012; art. 12, l. n. 481/1995). Dal momento che tali norme sono espressione della potestà legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza, come da ormai consolidata giurisprudenza costituzionale, la disposizione de qua viola l’art. 117, comma 2, lettere e) ed s) della Costituzione.

5) L’art. 1 comma 104 dispone, “in via eccezionale e per il tempo strettamente necessario all’approvazione del piano regionale di settore previsto dall’articolo 38 e seguenti della legge regionale n. 8/2008”, la prosecuzione delle attività afferenti alle concessioni del demanio termominerale, per un periodo di durata pari a quella stabilita dall’articolo 40, comma 4-bis della predetta legge n. 8/2008 (comma 105).
Tali previsioni, configurando un'ipotesi di proroga automatica di concessioni in essere, contrasta con gli obblighi derivanti dall'ordinamento europeo (con conseguente violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione). Come recentemente chiarito dalla Corte Costituzionale con riferimento alle concessioni demaniali marittime (sent. Corte Cost. 171/2013), infatti, la proroga automatica delle concessioni stride con i principi di non discriminazione, parità di trattamento e tutela della concorrenza, sanciti dal diritto dell'Unione europea, in particolare, con il principio di libertà di stabilimento previsto dall'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che consente ad ogni persona fisica o giuridica di partecipare in modo stabile e duraturo alla vita economica di uno Stato membro diverso da quello di origine.
Prorogando ex lege le concessioni demaniali già esistenti, senza l'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica che garantisca la parità di trattamento tra tutti gli operatori economici interessati, si configura sia una restrizione alla libertà di stabilimento, comportando, in particolare, una discriminazione in base al luogo di stabilimento, sia una violazione del principio di concorrenza, dal momento che preclude ai nuovi entranti la possibilità, alla scadenza della concessione, di subentrare al precedente concessionario.
Per le ragioni suesposte, i commi 104 e 105 violano l’art. 117, comma 1 e l'articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, che assegna allo Stato la competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza.

6) L’art. 1, comma 108, nel subordinare la prosecuzione e l’avvio delle concessioni termominerali dei commi precedenti al solo avvio della procedura di Valutazione di impatto ambientale e della valutazione di incidenza (invece che alla conclusione delle stesse), contrasta con la normativa nazionale afferente alla materia della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” per la quale lo Stato ha la competenza esclusiva, e quindi viola l’art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione. Inoltre, considerando che la normativa statale violata è attuativa di direttive europee, la disposizione regionale viola altresì l’art. 117, comma 1, della Costituzione.
Nello specifico, la norma contrasta con quanto disposto dalla direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Tale direttiva, all’art. 2, comma 1, obbliga gli Stati membri a sottoporre a VIA i progetti per i quali si prevede un significativo impatto ambientale “prima del rilascio dell’autorizzazione”. Tale norma è stata recepita con l’articolo 26, d.lgs. n. 152/2006, che al comma 5 dispone che “in nessun caso può farsi luogo all’inizio dei lavori senza che sia intervenuto il provvedimento di valutazione di impatto ambientale”. L’acquisizione della valutazione di incidenza è configurata come atto preventivo all’avvio delle attività anche dall’art. 5, comma 8, D.P.R. n. 357/97 e dal par. 6.3 della Direttiva 92/43/CEE.
Di conseguenza, la disposizione in esame, prevedendo una procedura diversa e di minor tutela ambientale rispetto alle disposizioni nazionali ed europee richiamate, viola l’art. 117 comma 1 e comma 2 lettera s) della Costituzione.


Per i motivi esposti le norme sopra elencate devono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost.

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