Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni regionali per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione. (28-4-2014)
Abruzzo
Legge n.26 del 28-4-2014
n.53 del 9-5-2014
Politiche infrastrutturali
30-6-2014 / Impugnata
La legge della Regione Abruzzo n. 26 del 2014, che detta disposizioni per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione, presenta profili di illegittimità costituzionale per le seguenti motivazioni.

In via preliminare, va considerata la questione relativa all’esercizio del potere dell’organo legislativo regionale in casi di scioglimento dell'assemblea regionale per fine legislatura, con specifico riferimento all’approvazione della legge regionale in esame.

Con la legge costituzionale n. 1/1999 la disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità è stata devoluta al legislatore regionale. In particolare detta legge costituzionale ha attribuito allo statuto ordinario la definizione della forma di governo e l’enunciazione dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, in armonia con la Costituzione (art. 123, primo comma, Cost.). Nel contempo, la disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità è stata demandata allo stesso legislatore regionale, sia pure nel rispetto dei principi fondamentali fissati con legge della Repubblica, «che stabilisce anche la durata degli organi elettivi» (art. 122, primo comma, Cost.).

L’articolo 86, comma 3, dello Statuto della regione Abruzzo testualmente recita: “…nei casi di scioglimento anticipato e di scadenza della Legislatura:
a) le funzioni del Consiglio regionale sono prorogate, secondo le modalità disciplinate nel Regolamento, sino al completamento delle operazioni di proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni limitatamente agli interventi che si rendono dovuti in base agli impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea, a disposizioni costituzionali o legislative statali o che, comunque, presentano il carattere della urgenza e necessità;
b) le funzioni del Presidente e della Giunta regionale sono prorogate sino alla proclamazione del nuovo Presidente della Regione limitatamente all'ordinaria amministrazione e agli atti indifferibili; in caso di impedimento permanente, morte e dimissioni volontarie del Presidente della Regione, le sue funzioni sono esercitate dal Vicepresidente. “in caso di scioglimento anticipato e di scadenza della legislatura, il Consiglio e l’Esecutivo regionale sono prorogati sino alla proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni, indette entro tre mesi dal Presidente della Giunta, secondo le modalità definite dalla legge elettorale”.

La Corte Costituzionale ha già più volte riconosciuto che, anche in assenza di specifiche disposizioni statutarie, nel periodo antecedente alle elezioni per la loro rinnovazione e fino alla loro sostituzione, i Consigli Regionali, dispongono «di poteri attenuati confacenti alla loro situazione di organi in scadenza, analoga, quanto a intensità di poteri, a quella degli organi legislativi in prorogatio» (cfr. sentt. n. 468/1991; 515/1995; 196/2003; 68/2010).

Nel periodo pre-elettorale si verifica, in sostanza, una fase di depotenziamento delle funzioni del Consiglio regionale, la cui ratio è stata individuata dalla giurisprudenza costituzionale nel principio di rappresentatività connaturato alle assemblee consiliari regionali, in virtù della loro diretta investitura popolare e della loro responsabilità politica verso la comunità regionale.
L’istituto della prorogatio, come chiarito nella sentenza n. 515/1995, è volto a coniugare il principio di rappresentatività politica del Consiglio Regionale «con quello della continuità funzionale dell’organo». Questa esigenza di continuità funzionale porta ad escludere che il depotenziamento possa spingersi fino a comportare un’indiscriminata e totale paralisi dell’organo stesso, e consente al Consiglio Regionale di deliberare in circostanze straordinarie o di urgenza, o per il compimento di atti dovuti o di ordinaria amministrazione.

Tale orientamento giurisprudenziale è stato ribadito e specificato nella sentenza n. 68/2010, con cui la Consulta ha sottolineato che «nell’immediata vicinanza al momento elettorale, pur restando ancora titolare della rappresentanza del corpo elettorale regionale, il Consiglio regionale non solo deve limitarsi ad assumere determinazioni del tutto urgenti o indispensabili, ma deve comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori».

Pertanto, la legge in esame potrebbe essere ritenuta legittima soltanto laddove la sua adozione fosse giustificata dalla sussistenza di presupposti di urgenza e di indifferibilità, ovvero laddove la medesima costituisse un atto dovuto.

La Corte Costituzionale, al riguardo, ha affermato che spetta al Consiglio Regionale «selezionare le materie da disciplinare in conformità alla natura della prorogatio, limitandole ad oggetti la cui disciplina fosse oggettivamente necessaria ed urgente» e ha fatto riferimento ai lavori preparatori per verificare se fossero state addotte «specifiche argomentazioni in tal senso» (sentenza n. 68/2010, par. 4.5.).

Possono quindi essere approvati in regime di prorogatio solo gli atti costituzionalmente dovuti, quali il recepimento di una Direttiva comunitaria direttamente vincolante per le Regioni o progetti di legge che presentano i caratteri dell’indifferibilità ed urgenza, quali ad esempio il bilancio di previsione, l’esercizio provvisorio o una variazione di bilancio.

L’urgenza ed indifferibilità oltre a dover essere adeguatamente motivata, deve essere volta ad eliminare le situazioni di danno senza limitare la libertà di scelta dell’organo legislativo quando avrà riacquistato la pienezza dei suoi poteri.

Tutto ciò premesso si rileva che per il provvedimento legislativo in esame non emerge alcuno dei caratteri di indifferibilità ed urgenza, né di atto dovuto o riferibile a situazioni di estrema gravità da non poter essere rinviato per non recare danno alla collettività regionale o al funzionamento dell’ente.
In particolare, non può essere condiviso quanto riportato nella relazione al progetto di legge che ha originato la l.r. 26/2014 (p. di l. n. 630/2014 di iniziativa della Giunta regionale) contenuta nell’ambito della relazione della Seconda Commissione Consiliare che ha licenziato il p. di l. stesso, con riferimento alla necessità di “rimuovere la situazione di incertezza, sul piano normativo, in ordine alla procedura da seguire per assicurare il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione”, a fronte del “vuoto normativo creatosi con la pronuncia della Corte Costituzionale n. 211 del 3-18 luglio 2013”, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2 della legge regionale n. 46 del 2012.
La disciplina di dette procedure di adeguamento non può, infatti, essere considerata urgente e non rinviabile per non recare danno alla collettività regionale o al funzionamento dell’ente, posto che la Regione Abruzzo non ha ancora adeguato il piano paesaggistico alle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio e che tale adeguamento presuppone l’accordo con il Ministero, ai sensi degli articoli 135, 143, e 156 del d.lgs. 42/2004. Peraltro i lavori del tavolo tecnico indetto per l’adeguamento del piano paesaggistico risultano essere fermi da circa un biennio. La stessa Corte, pertanto, nella sentenza citata ha affermato che “La circostanza …che… non risulti ancora adottato un piano paesaggistico regionale adeguato alle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio finisce per rendere acuta la vulnerazione delle prerogative statali, considerato che, in relazione a quelle che saranno le concrete previsioni dello stesso piano, dovranno poi essere verosimilmente ridisciplinate, dalla legge regionale, le procedure di adeguamento degli «altri strumenti di pianificazione»”.

Per quanto rilevato si ritiene che con riferimento alla legge in esame il Consiglio regionale abbia legiferato oltrepassando i limiti riconducibili alla sua natura di organo in prorogatio e che conseguentemente il provvedimento sia nella sua interezza censurabile per violazione dell’art. 86, terzo comma, dello Statuto regionale in relazione all’art. 123 Cost.

A prescindere da quanto sopra osservato, si ritiene che la legge regionale presenti anche aspetti di illegittimità costituzionale relativamente all’articolo 2, commi 4 e 5, che disciplina il caso in cui, in sede di adeguamento della pianificazione urbanistica a quella comunale “la proposta comunale si configuri come proposta di variante al P.R.P.”. In questa ipotesi la norma prevede che la proposta venga trasmessa, all’esito della Conferenza di Servizi di cui al comma 2 del medesimo articolo, alla Direzione Regionale competente per la verifica della compatibilità alle previsioni di PRP da parte del Comitato Beni Ambientali di cui all’articolo 2 della l.r. n. 2/2013 e successivamente inviata, unitamente al parere del comitato, al consiglio regionale, che si esprime con apposito atto deliberativo. Il procedimento descritto, non prevedendo l’apposito accordo previsto dagli art. 143, comma 2, 156, comma 3 del d.lgs, n. 42/2004, ma la mera partecipazione degli organi ministeriali ad una conferenza di servizi, non garantisce adeguatamente il coinvolgimento del Ministero nella pianificazione paesaggistica, e quindi viola l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

Di fatti, la fattispecie disciplinata dal comma 4 dell’articolo 2 configurandosi sostanzialmente in una revisione, ancorché limitata, del piano paesaggistico (che, ai sensi dell’art. 145, comma 2 del Codice è cogente e non derogabile da parte degli strumenti urbanistici) dovrebbe essere soggetta alla medesima garanzie di partecipazione previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di l’elaborazione congiunta del piano paesaggistico (artt. 135, comma 1, 143 e 156, d.lgs. n. 42/2004).

Occorre inoltre ribadire che la legge in esame è stata emanata a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 211 del 2013, che ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 2 della legge regionale n. 46 del 2012. Tale disposizione, al comma 5, prevedeva che “Nel caso in cui le previsioni proposte si configurano come variante al PRP, la variante stessa è trasmessa alla Direzione regionale competente per la verifica della compatibilità alle previsioni di PRP” e, al comma 6, che “Il Consiglio Regionale assume, previo parere del Comitato di cui all'articolo 2, apposito atto deliberativo che è pubblicato sul BURA e costituisce variante al PRP. Tale provvedimento è condizione imprescindibile per la definitiva approvazione della variante proposta.” La Corte Costituzionale ha ritenuto che tale disposizione fosse illegittima in quanto escludeva “qualsiasi forma di partecipazione di qualsivoglia organismo ministeriale al «procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica», in evidente contrasto con la normativa statale interposta e, in particolare, con il citato art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004”. Si ritiene che la legge regionale in esame, limitandosi a prevedere l’intervento del Ministero in sede di conferenza di servizi, senza tuttavia prevedere l’accordo con i competenti organi ministeriali, presenti i medesimi profili di illegittimità costituzionale della l.r. n. 46/2012.

Pertanto, l’art. 2 della l.r. n. 26/2014 viola l’art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, e deve essere impugnato ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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