Dettaglio Legge Regionale

Norme in materia di energia e distribuzione dei carburanti. (11-10-2012)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.19 del 11-10-2012
n.42 del 17-10-2012
Politiche infrastrutturali
11-12-2012 / Impugnata
La legge regionale, che detta norme per in materia di energia e distribuzione dei carburanti, presenta numerosi aspetti di illegittimità costituzionale.
Occorre preliminarmente premettere che lo Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia non attribuisce alla Regione potestà normativa in materia di energia, cosicché, in applicazione dell’articolo 10 della legge Costituzionale n. 3 del 2001, la normativa adottata è da ricondurre alla potestà legislativa concorrente nella materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” prevista dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Pertanto, la Regione è tenuta a rispettare i principi fondamentali fissati dal legislatore statale, ed in particolare quelli contenuti all’art. 1-sexies (rubricato “Semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell’energia e per gli impianti di energia elettrica di potenza superiore ai 300 MW termici”) del decreto legislativo 29 agosto 2003, n. 239 (“Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica”).
Il comma 5 di tale articolo, infatti, prevede che «Le regioni disciplinano i procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche di competenza regionale in conformità ai principi e ai termini temporali di cui al presente articolo». Inoltre, l’articolo 1 della legge n. 239 del 2004 (recante “Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia”), che ha modificato il decreto legislativo n. 387 del 2003 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”), prevede espressamente che le disposizioni ivi contenute “sono principi fondamentali della normativa statale in materia energetica, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione”.

Inoltre, con riferimento alle disposizioni che interessano la Valutazione ambientale strategica (contenute all’articolo 5 della legge regionale in esame), occorre sottolineare che le stesse sono riconducibili alla materia di competenza legislativa esclusiva statale di cui all’articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, e che, in assenza di specifiche disposizioni dello Statuto di autonomia, le stesse vincolano anche la Regione Friuli-Venezia Giulia, che non può adottare disposizioni contrastanti con quanto previsto dal Codice dell’ambiente di cui al d.lgs. n. 152 del 2006.

Tanto premesso in ordine alla spettanza della potestà legislativa nelle materia dell’energia e dell’ambiente, le seguenti disposizioni della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012 devono pertanto essere impugnate ai sensi dell’art. 127 della Costituzione:

1) L’articolo 5 (“Piano energetico regionale, atto di programmazione regionale per le fonti rinnovabili e programmi regionali operativi”), comma 9, che stabilisce che l’Atto di programmazione regionale (APR) predisposto, nelle more dell’approvazione del Piano energetico regionale (PER), in attuazione del provvedimento ministeriale previsto dall’art. 2, comma 167 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria 2008), è sottoposto alla procedure relative alla VAS «nel caso in cui contenga l’individuazione delle aree e dei siti non idonei», si pone in contrasto con quanto previsto dall’art. 6, comma 2, lettera a) del d.lgs. n. 152/2006, espressione della potestà legislativa esclusiva statale nella materia “tutela dell’ambiente” di cui all’articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
L’APR, infatti, riferendosi al settore energetico, rientra tra quei piani e programmi che ai sensi del citato art 6 comma 2, lett. a) del d.lgs. 152/06 debbono essere assoggettati alla valutazione ambientale strategica, a prescindere dalla condizione che nel documento siano o meno individuate aree non idonee all’insediamento di attività di produzione energetica. L’ARP, inoltre, rientra per le sue caratteristiche nella definizione di cui all’art. 5, comma 1, lett. e), n. 1 del medesimo d.lgs. 152/06 quale “atto” di “programmazione” elaborato da “un’autorità a livello regionale” per “essere approvato” “mediante una procedura legislativa”. La disposizione regionale che si censura , invece , indebitamente, limita l’applicazione della VAS ai casi in cui l’APR contenga “l’individuazione delle aree e dei siti non idonei di cui al comma 8”, in contrasto quindi con le richiamate norme statali.

2) L’articolo 12, comma 8, nella parte in cui assoggetta alla procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 gli interventi per modifiche non sostanziali da realizzarsi, “anche in corso d’opera”, su impianti e infrastrutture che hanno ottenuto l’autorizzazione unica, eccede la competenza legislativa regionale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione per contrasto con l’art. 5, co. 3, del d.lgs. n. 28 del 2011. L’art. 5 del d.lgs. 28 del 2011, infatti, attribuisce ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico (adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata) l’individuazione degli interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica. Nello more dell’approvazione di tale decreto, la disposizione statale citata prevede che “non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina di cui all'articolo 6 [alla procedura abilitativa semplificata] gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell'area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse (…)”.
La norma regionale, estendendo l’autorizzazione semplificata anche agli “interventi in corso d’opera” relativi impianti “che hanno ottenuto l’autorizzazione unica”, e che quindi non sono necessariamente esistenti, invade l’ambito della competenza esclusiva statale cui attiene la individuazione del regime abilitativo. Per gli impianti ancora in corso di realizzazione, infatti, deve ritenersi applicabile il principio generale secondo cui vi deve essere identità di forma tra il provvedimento abilitativo originario e la sua variante.

3) L’articolo 13, commi 2, 3, 4 e 5, disciplina i contenuti dell’istanza di autorizzazione unica, prevedendo , in particolare ai commi 2, 3 e 4, che il progetto da allegare all’istanza di autorizzazione unica, nonché il progetto relativo a “tutte le interferenze”, siano corredati da “elaborati tecnici con grado di approfondimento analogo a quello richiesto per il progetto definitivo dei lavori pubblici”, e che “a pena di improcedibilità” l’istanza è corredata da un “progetto con contenuti assimilabili al progetto definitivo dell’opera pubblica comprensivo di: a) opere per la connessione alla rete; 2) altre infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio dell’impianto; 3) elaborati grafici e normativi di variante al PRGC, qualora necessaria”. Tali previsioni eccedono l’ambito della potestà legislativa concorrente riservata alla Regione, introducendo oneri amministrativi superflui non previsti dalla normativa statale di riferimento , ponendosi così in contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” di cui all’articolo 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003 e quindi in violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione. Inoltre, le menzionate disposizioni regionali contrastano con i principi fondamentali dettati con legge statale in materia di procedimento amministrativo e, in particolare, con il principio di semplificazione dell’attività amministrativa, di diretta derivazione comunitaria, che può fondare la competenza legislativa statale in base all’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione (come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale, cfr., da ultimo, la sentenza n. 164 del 2012). Le disposizioni regionali si pongono altresì in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) che, all’articolo 206, nell’individuare le norme applicabili ai settori speciali (gas, energia termica ed elettricità), non richiama le disposizioni sui livelli di progettazione di cui agli articoli 93 e 94. Le disposizioni censurate sono inoltre sproporzionate e gravemente lesive anche del principio costituzionale di buon andamento previsto dall’articolo 97 della Costituzione, in considerazione degli ostacoli tecnici sottesi alla predisposizione di un progetto tanto dettagliato con riferimento alle infrastrutture lineari energetiche, sia per le innumerevoli variabili, anche territoriali, che andrebbero considerate, sia per la complessità delle opere da realizzare.

4) L’articolo 13, comma 6, che prevede che l’autorizzazione per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili “è rilasciata esclusivamente al richiedente che dimostri di essere in possesso di idonei requisiti soggettivi, nonché di atti definitivi attestanti la titolarità delle aree. Si considerano soggetti dotati di idonei requisiti soggettivi le imprese ovvero, limitatamente ai soli impianti e con l'esclusione delle infrastrutture, gli auto-produttori, come definiti dall'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 79/1999. Sono atti definitivi attestanti la titolarità delle aree quelli che legittimano l'ottenimento del permesso di costruire ai sensi della vigente normativa edilizia regionale” eccede la competenza legislativa regionale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, in quanto, contrastando con la normativa statale di principio di cui ai d.lgs. n. 79/1999; 387/2003 e 28/2011, limita arbitrariamente ed illegittimamente il novero dei soggetti che possono produrre energia rinnovabili (attività che la normativa nazionale - e in particolare l’art. 1, co. 1, del d.lgs. n. 79/1999 - configura come libera), ponendosi in contrasto anche degli articoli 3 e 41 della Costituzione. Inoltre, il requisito della titolarità delle aree, previsto nell’ultimo periodo della normativa regionale, oltre a non essere previsto dalla normativa statale, contrasta con il principio di cui all’articolo 12, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003, che, anche al fine di promuovere la diffusione delle energie rinnovabili (oggetto di speciale favor da parte della normativa comunitaria e internazionale, oltre che nazionale) prevede che “le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili… sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti” e che “l’autorizzazione unica costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico”. La normativa statale infatti richiede che il proponente dimostri la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto soltanto nel caso previsto al comma 4-bis del medesimo articolo 12, relativo alla realizzazione di impianti alimentati a biomassa e fotovoltaici.

5) L’articolo 14, che disciplina il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione, si pone in contrasto con l’articolo 1-sexies, comma 3, del d.l. n. 239/2003, nella parte in cui non prevede l’apposizione di “misure di salvaguardia” volte ad impedire che, nelle more dell’autorizzazione della nuova infrastruttura, vengano rilasciati permessi di costruire sui terreni potenzialmente impegnati dal progetto. La normativa statale sopra richiamata molto chiaramente prevede dette misure come necessarie (“Dalla data di comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento ai comuni interessati è sospesa ogni determinazione comunale in ordine alle domande di permesso di costruire nelle aree potenzialmente impegnate, fino alla conclusione del procedimento autorizzativo”).
La previsione di adeguate misure di salvaguardia è funzionale a garantire il buon esito del procedimento autorizzatorio, evitando che la realizzazione dell’infrastruttura autorizzata resti preclusa per via di interventi edilizi o urbanistici sopravvenuti. Ciò appare conforme al principio costituzionale di buon andamento – che postula l’economicità, l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa – in quanto evita che l’efficacia del procedimento autorizzatorio possa essere vanificata per via di altri atti autorizzatori rilasciati dalla pubblica amministrazione.
L’obbligatorietà della previsione di misure di salvaguardia, quindi, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale, come previsto dal comma 5 del medesimo articolo 1-sexies del d.l. n. 239/2003. Di conseguenza, l’art. 14 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia contrasta con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Le previsioni dell’articolo 14 presentano inoltre profili di incostituzionalità anche nella parte in cui non prevede che l’autorizzazione unica rilasciata costituisca titolo sufficiente anche per realizzare ogni opera, inserita nel progetto approvato, che si renda necessaria per la risoluzione delle interferenze. L’articolo 1-sexies, comma 1, del decreto legge n. 239 del 2003, infatti, prevede che l’autorizzazione unica “sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre infrastrutture esistenti, costituendo titolo a costruire ed esercitare tali infrastrutture, opere o interventi, in conformità al progetto approvato”.
Tale previsione, che appare riconducibile a principi generali di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, costituisce l’essenza dell’autorizzazione unica, che deve essere titolo sufficiente a costituire ogni opera si renda necessaria, in conformità al progetto approvato ed alle prescrizioni eventualmente contenute nel decreto autorizzatorio. Di conseguenza, la stessa è da ritenersi un principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia ,ai sensi dell’art. 1-sexies, comma 5, del d.l. n. 239/2003. L’art. 14 della norma regionale in esame, non rispettando tale principio, viola l’articolo art. 117, terzo comma, della Costituzione.

6) il medesimo articolo 14, al comma 2, prevede che il proponente, contestualmente all’istanza per il rilascio dell’autorizzazione unica effettui, qualora l’impianto non ricada in zona sottoposta a tutela, una comunicazione alle competenti Soprintendenze, per verificare la sussistenza di procedimenti di tutela in itinere alla data di presentazione dell’istanza. Tale previsione eccede la competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazione dell’energia”, di cui all’articolo 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio in materia di fonti rinnovabili, dettata dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387. L’art. 12, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, infatti, nel disciplinare l’“autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, tutela del paesaggio e tutela del patrimonio storico-artistico”, “…è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241”. L’obbligo di inviare la comunicazione alle soprintendenze, previsto dal legislatore regionale, oltre a non trovare alcun riscontro nella normativa statale (né nel richiamato d.lgs. n. 387/2003, né nelle linee guida nazionali di cui al d.m. 10 settembre 2010), mortifica le istanze di semplificazione e di celerità insite nel procedimento di autorizzazione unica disciplinato dal legislatore nazionale.

7) Lo stesso articolo 14, al comma 7, prevede che le autorizzazioni per la realizzazione degli elettrodotti, sia di quelli ricompresi nella rete di trasmissione nazionale, sia di quelli che rientrano nella spettanza della regione, siano rilasciati previo parere “ […] di ARPA che accerti il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità relativi alle emissioni elettromagnetiche”, eccedendo così dalla competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazione dell’energia”, di cui all’articolo 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio contenuta all’articolo 1-sexies, comma 5, del d.lgs. n. 329 del 2003, secondo cui “Le regioni disciplinano i procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche di competenza regionale in conformità ai principi di cui al presente articolo”. Tra questi principi rientra anche il principio di semplificazione dell’attività amministrativa, di diretta derivazione comunitaria, che può fondare la competenza legislativa statale in base all’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione (come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale, cfr., da ultimo, la sentenza n. 164 del 2012), su cui si basa la disciplina dei procedimenti di autorizzazione unica. La disposizione censurata, infatti, introduce un aggravio procedimentale che contrasta con i principi di semplificazione che regolano la disciplina nazionale dell’autorizzazione e che, in virtù del menzionato art. 1-sexies, devono essere applicati anche per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio delle reti elettriche di competenza regionale. Pertanto, presenta profili di illegittimità incostituzionale la disposizione che subordina il rilascio dell’autorizzazione al previo parere dell’Arpa, in quanto tutti i pareri e gli atti di assenso delle amministrazioni interessate devono confluire in seno alla conferenza dei servizi convocata per il rilascio dell’autorizzazione.

8) L’articolo 14, comma 9, e l’articolo 18, comma 2, nella parte in cui prevedono che l’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione per infrastrutture energetiche e lineari non abbia di per sé effetto di variante urbanistica, essendo necessario a tal fine anche il parere favorevole del Comune, espresso in sede di conferenza di servizi, si pongono in contrasto con l’articolo 1-sexies, comma 2, lettera b) del d.l. n. 239 del 2003, secondo cui “Qualora le opere di cui al comma 1 comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica”.
Ciò è ulteriormente chiarito, con riferimento agli impianti alimentati da fonti rinnovabili, anche dalle Linee guida di cui al D.M. 10.9.2010, adottate in attuazione dell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, che prevedono che “Le Regioni o le Province delegate non possono subordinare la ricevibilità, la procedibilità dell'istanza o la conclusione del procedimento alla presentazione di previe convenzioni ovvero atti di assenso o gradimento, da parte dei comuni il cui territorio è interessato dal progetto” (punto 13.4).
Deve ritenersi che l’attribuzione alle Regioni del potere di introdurre divieti alla localizzazione degli impianti costituisca un principio generale della disciplina statale (ex articolo 1-sexies, co. 5, d.l. n. 239/2003). L’attribuzione ai singoli comuni di un potere interdittivo, infatti, potrebbe condurre ad una potenziale violazione degli obblighi comunitari (essendo suscettibile di pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi di quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili (c.d. “burden sharing”)) e, contraddicendo il ruolo programmatorio del livello di governo regionale, pregiudicare il raggiungimento di un adeguato equilibrio territoriale nella localizzazione degli impianti. Inoltre, la disposizione contrasta con il principio di semplificazione che informa la legislazione nazionale e che è di diretta derivazione comunitaria, e che risponde all’esigenza che il procedimento autorizzativi si svolga in ruolo uniforme sull’intero territorio nazionale, con modalità certe ed entro un termine definito.
Peraltro, è da segnalare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 124/2010, ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale avverso una norma della l.r. Calabria n. 42 del 2008, che richiedeva che la domanda di autorizzazione (per gli impianti di potenza superiore a 500 Kwe), fosse corredata anche dalla deliberazione favorevole del Consiglio comunale sul cui territorio insiste il progetto. La Corte Costituzionale in questa occasione ha chiarito che l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 ha “natura di principio fondamentale” e che “esso, nel disciplinare il procedimento per l’installazione di impianti alimentati da fonti alternative, prevede quale suo atto conclusivo il rilascio di una autorizzazione unica, senza alcun riferimento alla necessità dell’adozione dell’atto consiliare comunale indicato dalla norma regionale impugnata, la quale prescrive, quindi, un ulteriore adempimento in contrasto con le finalità di semplificazione perseguite dal legislatore statale”. Pertanto, le richiamate disposizioni della Regione Friuli-Venezia Giulia, violando norme che costituiscono principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia , si pongono in contrasto con l’art. 117, terzo comma della Costituzione.

9) L’articolo 16, comma 2, lettera a), nella parte in cui assoggetta al regime della comunicazione di inizio lavori l’istallazione degli impianti di produzione di energia elettrica o termica da fonti rinnovabili su edifici o aree di pertinenza eccede la competenza legislativa regionale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” di cui all’art. 117, comma 3, in quanto, contrastando con la normativa statale di principio di cui ai d.lgs. n. 387/2003 e 28/2011. L’art. 6, co. 11, d.lgs. 28/2011, infatti, rimette alle linee guida statali la determinazione degli interventi da assoggettare a comunicazione, precisando che “le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione (…) ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kw, nonché agli impianti fotovoltaici di qualunque potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche”. La disposizione regionale censurata è illegittima nella parte in cui estende a Comunicazione di inizio lavori interventi diretti alla realizzazione di impianti a fonti rinnovabili, senza riprodurre il limite di potenza “non superiore a 50kw” previsto dalla legge statale. Inoltre, mentre la legge statale consente la comunicazione di inizio lavori per la realizzazione degli impianti di qualunque potenza limitatamente agli impianti solari fotovoltaici che producono energia elettrica, se collocati sugli edifici, la disposizione regionale indebitamente estende detto regime abilitativo anche agli impianti che producono energia termica, non solo se collocati sugli edifici, ma anche se collocati nelle aree di pertinenza degli stessi. Così disponendo, la norma regionale contrasta con l’art. 117, co. 3, della Costituzione: la determinazione del regime abilitativo, infatti, deve essere uniforme sull’intero territorio nazionale, pena l’ingiustificata discriminazione tra le iniziative economiche nelle diverse regioni. Inoltre, lo stesso garantisce la sussistenza di un equilibrio tra la competenza esclusiva statale in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia. Inoltre, lo spirito delle disposizioni statali richiamate è quello di agevolare la realizzazione di impianti fotovoltaici sugli edifici, attraverso un regime semplificato e allo scopo di ridurre l’uso del suolo. La disposizione regionale, applicandosi anche ad impianti a terra, oltre a violare i parametri statali interposti, contrasta quindi anche con le finalità dello stesso d.lgs. n. 28 del 2011.

10) L’articolo 17, è incostituzionale per violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione e dell’articolo 97 della Costituzione.
Tale disposizione prevede che, su proposta dell’Assessore regionale competente nel settore dell’energia, possono essere stipulati accordi tra la Regione e il proponente volti ad attribuire vantaggi economici o occupazionali per il territorio regionale, misure compensative, ovvero opere di razionalizzazione di linee elettriche esistenti. Qualora l’accordo sia stato proposto, l’espressione dell’intesa per gli impianti e le infrastrutture energetiche di competenza autorizzativa statale, disciplinata dall’articolo 2, comma 3, della d.lgs. n. 110 del 2002 e dall’articolo 11 della legge regionale in esame, è subordinata alla stipula del predetto accordo.
La norma è in contrasto con il principio fondamentale in materia di produzione, distribuzione e trasporto di energia dettato dal legislatore statale all’articolo 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 e pertanto viola l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Tale norma, infatti, pur consentendo alle Regioni e agli enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, non prevede che detti accordi possano costituire presupposto per il rilascio di pareri propedeutici all’ottenimento dell’autorizzazione alla costruzione ed esercizio della infrastruttura energetica. Inoltre, la facoltà di individuare tali misure è circoscritta dalla legislazione nazionale esclusivamente a quegli interventi compensativi che presentano carattere ambientale e che, al contempo, siano coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica. Gli accordi previsti dalla disposizione censurata, invece, eccedono questa finalità (in particolare, gli accordi previsti dal comma 2, lett. a) rispondono ad esigenze del tessuto economico-produttivo nazionale, mentre quelli di cui alla lettera c) appaiono illogiche e incongruenti in quanto non mirano a mitigare l’impatto ambientale dell’infrastruttura da autorizzare, perché hanno ad oggetto infrastrutture già esistenti.
La disposizione inoltre è illegittima, per violazione dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione (“produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell’energia”), nella misura in cui attribuisce all’assessore regionale competente in materia di energia il potere di concludere i suddetti accordi, contrastando quindi con l’articolo 34, comma 11, del decreto legge n. 179 del 2012, secondo il quale “Gli accordi di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239, sono stipulati nei modi stabiliti con decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la conferenza unificata, da adottarsi entro sei mesi”.
La disposizione regionale, inoltre, attribuendo carattere “obbligatorio” ai suddetti accordi e condizionando alla stipula dei medesimi il rilascio dell’intesa regionale disciplinata all’art. 11, aggrava il procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica, in contrasto con il principio costituzionale di buon andamento previsto all’articolo 97 della Costituzione. In particolare, prevedendo ex lege quale sia la posizione che la Regione deve assumere ai fini dell’intesa disciplinata all’articolo 11, la Regione rende sostanzialmente obbligatorio il ricorso alla procedura alternativa prevista dal comma 3 dell’articolo 2 del d.lgs. n. 110 del 2002 (deliberazione assunta dal Consiglio dei Ministri con la partecipazione del presidente della Regione interessata), appesantendo così il procedimento di autorizzazione.

11) L’articolo 18, comma 4, riguarda l’autorizzazione unica delle cosiddette merchant lines o interconnector, regolate dal D.M. 21 ottobre 2005 e dal regolamento n. 719/2009 del Parlamento Europeo relativo alle “Condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica”. La norma regionale prevede che “Relativamente agli elettrodotti di cui al comma 3, ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica, i progetti devono comportare la previsione che una quota significativa del totale dell’energia elettrica disponibile importata venga destinata all’uso e al soddisfacimento dei fabbisogni energetici di attività del sistema economico e produttivo aventi sedi o impianti localizzati e operanti nel territorio regionale”. La disposizione regionale si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di energia fissati dalla legislazione statale, oltre che con i vincoli derivanti dal diritto europeo, in particolare, violando l’art. 1, comma 4, della l. n. 239 del 2004, lett. a), b) e c), in quanto, riservando una quota significativa dell’energia disponibile importata al fabbisogno energetico regionale, contrasta con le regole del libero mercato dell’energia, creando un vulnus al sistema unitario nazionale di gestione dell’approvvigionamento energetico e falsando le regole di concorrenza del mercato dell’energia. Si evidenzia dunque sia la violazione di principi fondamentali della materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” prevista dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

12) L’articolo 35, comma 7, e l’articolo 34, comma 1, lettere f) e h) violano l’art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione (tutela della concorrenza), con riferimento alla norma interposta di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b) del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.
L’articolo 35, comma 7, della legge regionale n. 19 del 2012 prevede che “possono essere autorizzati sul territorio regionale esclusivamente nuovi impianti di tipologia di stazione di servizio come definiti all’articolo 34, comma 1, lettera f)”, che quindi devono comprendere almeno “apparecchiature di tipo self-service prepagamento funzionanti automaticamente 24 ore su 24 – apparecchiature di ricarica per alimentazione auto elettriche – locale per l’attività del gestore con relativo servizio igienico – (…) servizi igienici separati per sesso di utenti, di cui almeno uno con servizio igienico per diversamente abili – pensiline di copertura delle aree di rifornimento – pannelli fotovoltaici sulle coperture, di potenza istallata nell’area almeno pari a 10 chilowatt – uno o più parcheggi per utenti – accessi dei veicoli alla stazione separati e distinti per entrate e uscita – eventuali servizi accessori”. Inoltre, il citato comma 7 dell’articolo 35 prevede altresì che “Nuovi impianti di tipologia stazione di rifornimento elettrico, come definiti dall’articolo 34, comma 1, lettera h), possono essere realizzati esclusivamente negli ambiti territoriali dei Comuni tra loro limitrofi con popolazione superiore ai 40.000 abitanti”. La norma si riferisce all’“impianto costituito da apparecchiature di ricarica per l’alimentazione di auto elettriche di tipo self service prepagamento funzionanti autonomamente 24 ore su 24, locale per attivi del gestore con relativo servizio igienico, servizio gestito di car sharing”.
Tali disposizioni, introducendo onerosi requisiti (tra cui, ad esempio, l’obbligatorietà degli impianti fotovoltaici e della gestione di servizi di car sharing) per l’apertura di impianti di distribuzione di carburanti, sono idonee a costituire significative e sproporzionate barriere all’ingresso nei mercati, non adeguatamente giustificate dal perseguimento di specifici interessi pubblici, e delineano una regolazione asimmetrica, che aggrava gli adempimenti per i nuovi entranti, condizionandone o ritardandone l’ingresso e, conseguentemente, ingenerando ingiustificate discriminazioni a danno della concorrenza.
Per le ragioni evidenziate, le disposizioni regionali richiamate contrastano con il principio contenuto nell’articolo 1, comma 1, lettera b) del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, che espressamente considera in violazione del principio di libertà di iniziativa economica sancito dall’articolo 41 della Costituzione e del principio di concorrenza stabiliti dal Trattato dell’Unione Europea le norme “che pongono divieti o restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità perseguite, nonché le disposizioni di pianificazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate, e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici, ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, (…) ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici (…)”. Peraltro, l’articolo 1, comma 4, della richiamata disposizione obbliga le Regioni ad adeguarsi a tale principio entro il 31 dicembre 2012.

Per questi motivi le norme sopra indicate devono essere impugnate ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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