Dettaglio Legge Regionale

Semplificazione amministrativa e normativa dell'ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali. (16-9-2011)
Umbria
Legge n.8 del 16-9-2011
n.41 del 21-9-2011
Politiche ordinamentali e statuti
/ Rinuncia impugnativa

Con delibera del Consiglio dei Ministri dell’11 novembre .2011 è stata impugnata da parte del Governo la legge della Regione Umbria in oggetto indicata.

Questo Dipartimento aveva proposto l’impugnativa principalmente sulla base di un parere in tal senso espresso dal Ministero per i Beni e le Attività culturali e dal Ministero dell'Ambiente.
La legge è risultata censurabile in quanto diverse sue previsioni violavano la competenza esclusi va spettante allo Stato in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art.117 comma 2 lett. s della Costituzione), nonché le norme contenute nell’apposito Testo Unico in materia di beni culturali ed ambientali.
Nello specifico sono state impugnate, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, i seguenti articoli: l’articolo 54, comma 6 ; l'articolo 55, comma 3, l’articolo 65, comma 1; l'articolo 72; l'articolo 73; l’art. 87, comma 1; l'articolo 89, comma 3; l’art. 91, comma 2 , l’articolo 124, comma 1, l’art. 136, comma 1

Successivamente, la Regione Umbria, con gli articoli 10, 11, 13 e 19 della legge regionale n. 7 del 2012, esaminata favorevolmente, nella parte di cui ai sopracitati articoli, nella seduta del Consiglio dei Ministri del 30 maggio scorso, è intervenuta sulle norme impugnate della l.r. n. 8 del 2011, modificandole e/o cassandole nel senso indicato dal Governo.
Si ritiene quindi, su conforme parere del competente Ministero dell'Ambiente e dell'Avvocatura Generale dello Stato, che siano venuti meno i motivi oggetto del ricorso avanti la Corte Costituzionale e che, pertanto, ricorrano i presupposti per rinunciare all'impugnativa.
11-11-2011 / Impugnata
Con la legge in esame la Regione Umbria intende dettare disposizioni in materia di semplificazione amministrativa e normativa dell'ordinamento regionale e degli Enti locali territoriali.

La legge regionale è censurabile per le seguenti disposizioni:


1) L’articolo 54, comma 6, introduce il comma 10 bis all’art. 5 della legge regionale 1/2004 stabilisce che "Nei casi in cui la presente legge prevede l'acquisizione di pareri, autorizzazioni o assensi di organi o enti, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive, essi possono essere sostituiti da autocertificazioni, attestazioni, asseverazioni o certificazioni del progettista di cui all'articolo 17, comma 1 e all'articolo 21, comma 1 o di altri tecnici abilitati, salve le verifiche successive degli organi o amministrazioni preposti".
Tale disposizione è in contrasto con le disposizioni statali in materia di autorizzazioni sismiche nonché paesaggistiche ed ambientali che sono state escluse dall’applicazione della SCIA, ai sensi dell'articolo 94 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo unico in materia edilizia), il quale prevede che "Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione." e dell’articolo 19 della legge 241 del 1990, come interpretato dall’articolo 5, comma 3, lettera c) del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito dalla legge 106 del 2011 che, dando una interpretazione autentica della norma, afferma che "nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale".
La Corte Costituzionale afferma nella sentenza n. 182/2006, che l’autorizzazione regionale debba essere esplicita per gli interventi edilizi in zone classificate sismiche. Infatti, “l’intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui, ugualmente, compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali”, pertanto, non può consentirsi l’introduzione di modalità di “controllo successivo o semplificato” ove siano coinvolti interessi primari della collettività".
Le norme regionali, quindi, contrastano con l'articolo 117,comma 3, Cost., in materia di governo del territorio, violando un principio fondamentale della materia;

2) L'articolo 55, comma 3, aggiunge, tra gli altri, il comma 7-octies all'articolo 6 della legge regionale n. 1/2004, introducendo un regime di semplificazione per l'impiego di materiali inerti derivanti dall'attività di smontaggio e costruzione di manufatti, quando vengano riutilizzati nella stessa area di intervento.
Tale disposizione è interpretabile nel senso di escludere dalla qualifica di rifiuti e, conseguentemente, dall’applicazione della normativa che ne disciplina il trattamento, i materiali inerti che residuino da operazioni di demolizione e da attività edilizia.
Sulla base della normativa comunitaria e nazionale, non è possibile adottare esclusioni generalizzate o presunzioni assolute di esclusione dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti, ma è necessario effettuare una valutazione, caso per caso, al fine di verificare se l’intenzione del detentore sia quella di disfarsi del bene o della sostanza stessi o se ricorrano le condizioni per poter qualificare la sostanza come sottoprodotto.
Nel dettaglio si osserva che l’articolo 184, comma 3, del d.lgs. N. 152/06 include tra i rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’art. 184-bis”. Pertanto, fatto salvo il caso in cui ricorrano le condizioni di cui al citato articolo 184 bis e sia, quindi possibile qualificare il residuo produttivo come sottoprodotto e non come rifiuto, i residui oggetto delle disposizioni regionali, devono essere gestiti conformemente alle prescrizioni contenute nella Parte IV del d.lgs. 152/06.
Sulla base di queste premesse è censurabile, perché invasiva della competenza esclusiva statale di cui all'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione,la disposizione contenuta nell'articolo 55, comma 3, che inserisce il comma 7-octies all'articolo 6 della legge regionale n. 1/2004, contrasta con la vigente normativa nazionale di settore ed in particolare con la definizione di "rifiuto", così come stabilita, in ambito nazionale, dalla Parte IV del d. lgs n. 152/2006 e, in ambito comunitario, dalla direttiva 2006/12/CE.
La norma regionale, infatti, nella parte in cui consente la riutilizzazione, nella stessa area di intervento, di materiali inerti derivanti dalle attività di smontaggio e costruzione di manufatti, senza assoggettare tale attività alle prescrizioni in materia di autorizzazioni all'esercizio di impianti di trattamento rifiuti, esclude aprioristicamente e genericamente che tali materiali (tra i quali sono ricompresi le terre e rocce da scavo e i materiali da demolizione) rientrino nell'ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti. L'articolo 186 del d. lgs 152/2006, rubricato "terre e rocce da scavo" permette il riutilizzo del suddetto materiale solo a determinate e rigide condizioni. Secondo tale definizione, risulta evidente che i suddetti materiali rientrano nella definizione di rifiuto. Allo stesso tempo non potrebbe essere ritenuto sufficiente a sottrarre detti materiali dalla disciplina in materia di rifiuti la circostanza per cui essi sono "riutilizzati".
Per le ragioni sopra esposte si ritiene che consentire la lavorazione delle terre e rocce da scavo ed i materiali da demolizione, così come prospettato dalla disposizione regionale in esame, significa escluderli automaticamente dalla categoria dei rifiuti in maniera non coerente con la normativa nazionale e comunitaria sui rifiuti.
Sulla base di quanto esposto, la norma regionale in questione detta disposizioni in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria vigente in materia di rifiuti e, pertanto, viola l’articolo 117, comma 1, e l’art.117, comma 2, lett. S), della Costituzione.

3) L’articolo 65, comma 1, sostituisce l’articolo 17 della legge regionale n. 1/2004. Il comma 12 del novellato articolo 17 prevede che decorsi inutilmente i “ termini per l’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica ” senza che il dirigente o il responsabile della competente struttura comunale abbia adottato un provvedimento di diniego in ordine alla domanda, il permesso di costruire, si intende assentito per effetto della dichiarazione del progettista abilitato .
Anche l’articolo 70 comma 1, che novella l’articolo 21 della stessa legge 1/2004, fa riferimento , al comma 8, alla decorrenze dei termini per l’efficacia delle autorizzazioni paesaggistiche.
Dette norme si pongono in contrasto con la previsione statale di cui all’art. 4 comma 16 del d.l. n. 70/2011, come convertito nella legge 106/2011 che, modificando l’ all’articolo 146, comma 11, del codice dei beni culturali e del paesaggio , ha eliminato il termine dilatorio di efficacia delle autorizzazioni paesaggistiche.
Le suddette norme regionali pertanto violano la citata norma statale del codice dei beni culturali, espressione della competenza esclusiva dello Stato i materia di tutela dei beni culturali di cui all’articolo117, comma 2, lettera s) Cost.

4) L'articolo 72 che sostituisce l'articolo 22 della legge regionale n. 1/2004, in materia di autorizzazione paesaggistica, al comma 3 prevede che "l'autorizzazione paesaggistica è trasmessa senza indugio alla Soprintendenza competente…" e che "l'inizio dei lavori previsti dal titolo abilitativo edilizio e le opere (…) possono essere effettuati successivamente all'avvenuto rilascio dell'autorizzazione paesaggistica" (comma 4).
Tale disposizione contrasta con il decreto legislativo n.42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). In particolare si fa rilevare che, con l'entrata in vigore dell'articolo 146 del Codice (concernente, appunto, l'autorizzazione paesaggistica), il potere statale di annullamento dell'autorizzazione per vizi di legittimità, introdotto dalla legge n. 431 del 1985 (c.d. legge Galasso) e mantenuto in via transitoria dall'articolo 159 dello stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio, è stato sostituito dal parere preventivo della Soprintendenza statale, esteso alla compatibilità paesaggistica dell'intervento progettato, in ordine alla proposta di rilascio o diniego dell'autorizzazione trasmessa dal Comune (ovvero dalla Regione o dalla diversa Amministrazione competente).
Al momento, e fino a quando i vincoli paesaggistici non saranno integrati con le "prescrizioni d'uso" secondo quanto previsto dagli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), il parere della Soprintendenza è vincolante (art. 146, comma 5). L'effetto autorizzatorio che rende legittimo l'intervento di trasformazione del territorio vincolato (art. 146, commi 1 e 2) è ricollegato al rilascio dell'autorizzazione, che presuppone il parere della Soprintendenza, o, quanto meno, l'infruttuoso decorso del termine previsto dal legislatore statale per il suo rilascio (art. 146, comma 9).
La norma regionale non precisando tale vincolatività del parere della sovraintendenza, si pone in contrasto con la citata normativa statale in materia di tutela del paesaggio e viola quindi l'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Inoltre, la Corte Costituzionale ha più volte affermato che la legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata per la legislazione statale, in quanto alle Regioni “non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme valevole su tutto il territorio nazionale nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica” (sent. N.235/2011, sent. N.101/2010, sent. N. 232/2008).
Inoltre, l’art. 72 della legge in esame nel riformulare il comma 2 dell’articolo 22 della l.r. n. 1/2004, omette di precisare che a corredo dell'istanza deve essere presentata tutta la documentazione prevista dal regolamento attuativo dell'articolo 146, comma 3, del d. lgs. N. 42/2004 o dal regolamento attuativo dell'articolo 146, comma 9, dello stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio e non soltanto la relazione paesaggistica, ponendosi, pertanto, in contrasto con le suddette disposizioni statali e, conseguentemente, con l’articolo 117, comma secondo, lett. S), della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

5) L'articolo 73 della legge in questione integra la l.r. n. 1/2004 inserendo nella stessa gli artt. 22-ter (adempimenti in materia di assetto idraulico) e 22-quinquies (scarichi delle acque reflue in pubblica fognatura) che introducono delle ipotesi di silenzio assenso che, come è noto, sono precluse nel settore ambientale.
A tal proposito, si fa presente che “il silenzio”, inteso quale atteggiamento della pubblica amministrazione volto a significare assenso al rilascio di provvedimenti autorizzativi, non può in alcun caso essere applicato alla materia “ambiente” ai sensi dell’articolo 20, comma 4, della legge 241/90.
Sul punto appare utile richiamare la consolidata giurisprudenza costituzionale che, proprio esprimendosi in tema di formazione del silenzio-assenso in materia paesaggistica ed ambientale, ha affermato “quando sono in gioco beni costituzionalmente protetti, l’autorizzazione implicita è da escludere proprio a garanzia di adeguata tutela di tali beni.” (Corte Costituzionale n. 307 del 1 luglio 1992).
Di conseguenza, le predette disposizioni regionali, prevedendo che, nel silenzio dell’amministrazione competente, il parere per gli interventi ricompresi nei piani di bacino per l’assetto idrogeologico e quello in materia di scarico delle acque reflue in pubblica fognatura si intendono positivamente rilasciati, si pongono in contrasto con i suddetti principi generali del nostro ordinamento e, conseguentemente, con l'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione.

6) L’art. 87, comma 1, inserisce l’articolo 8bis nella l.r. 11/2005 che al primo comma conferisce al Comune il ruolo di Autorità competente nell’ambito della procedura VAS per alcune tipologie di strumenti urbanistici. A riguardo occorre evidenziare che tale disposizione comporta una rilevante criticità rispetto alla disciplina statale di riferimento nella misura in cui dovesse in concreto consentire di attribuire al medesimo soggetto le funzioni di autorità procedente e di autorità competente, così come definite dal D.Lgs. 152/2006. L’art. 5 del d.lgs. N. 152/2006 distingue infatti l’autorità competente (lettera p) dall’autorità procedente (lett. Q), definendo quest’ultima come la pubblica amministrazione che elabora il piano o programma, mentre la prima è la pubblica amministrazione a cui compete l’attività di valutazione ambientale. Peraltro, anche le ulteriori disposizioni sulla VAS contenute nel c.d. “Codice dell’ambiente” confermano, con chiarezza, la necessità di separazione fra le due differenti autorità (vedi art. 11, comma 2°; art. 12, comma 4°; artt. 13, 14 e 15).
L'obbligatorietà di tale distinzione è stata inoltre confermata dalla giurisprudenza in più occasioni - v. T.A.R. Lombardia, Milano, Sezione Seconda, 17 maggio 2010, n. 1526 - evidenziando come l’individuazione dell’autorità competente per la VAS nell’ambito della stessa Amministrazione comunale tenuta all’approvazione del piano sarebbe illegittima, in quanto una struttura competente per la VAS completamente interna al Comune stesso non offrirebbe sufficienti garanzie di imparzialità e terzietà nella valutazione ambientale, determinando una illegittima commistione fra funzioni di amministrazione attiva (approvazione piano) e di controllo (valutazione ambientale), con la conseguenza di vanificare le finalità – previste dalla normativa comunitaria e da quella nazionale di attuazione – proprie della valutazione ambientale strategica. Il giudice amministrativo ha infatti precisato la necessità della natura dialettica del rapporto tra l’autorità che adotta l’atto di pianificazione e l’autorità competente ad esprimere la valutazione ambientale, in cui quest’ultima si deve porre in una posizione di imparzialità e terzietà rispetto alla prima, onde garantire l’efficacia del giudizio sulle caratteristiche ambientali dell’atto sottoposto al suo vaglio.
Inoltre, l’art. 87, comma 2 consente l'attribuzione delle funzioni di autorità competente ad un soggetto "scelto mediante idonea procedura ai sensi del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163", ovvero addirittura un soggetto che ben potrebbe avere natura privata, ponendosi in tal modo in palese in contrasto con la norma nazionale (art. 5 “Definizioni” lettera p del D.lgs 152/2006 che definisce l’autorità competente indicandola nella pubblica amministrazione cui compete l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del parere motivato, nel caso di valutazione di piani e programmi, che richiama le definizioni della Direttiva 42/2001 CE.

7) L'articolo 89, comma 3 nel sostituire il comma 11 dell'articolo 24 della l.r. 11/2005, prevede che i piani attuativi relativi ad interventi nelle aree vincolate ai sensi del decreto legislativo n.42/2004 (e dell'articolo 4, comma 2, della l.r. 1/2004) siano adottati dal Comune, previo parere della Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio, e che «Il parere della commissione è trasmesso alla Soprintendenza competente unitamente alla documentazione del piano attuativo e una relazione tecnico - illustrativa, per il parere di cui all'articolo 146, comma 5 del d.lgs. 42/2004, limitatamente alle opere di urbanizzazione e infrastrutturali previste».
La formulazione della disposizione regionale è tale da ingenerare l'equivoco che l'espressione del parere da parte della Soprintendenza sul piano attuativo faccia venir meno il parere della Soprintendenza in ordine ai singoli progetti delle opere comprese nel piano attuativo, così derogando alle disposizioni del decreto legislativo n.42/2004 che richiedono sempre e comunque l'espressione del parere dell'organo statale sulla base del progetto di ogni singolo intervento, corredato della proposta di provvedimento formulata dall'Amministrazione procedente e della documentazione prevista dall'articolo 146, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004.
La norma si pone quindi, in contrasto con il più volte citato articolo 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione.

8) L’art. 91, comma 2 della legge in esame aggiunge il comma 9-bis all’art. 28 della l.r. 11/2005 che prevede “Gli interventi promossi da soggetti privati sono attuati mediante il programma urbanistico di cui al comma 7bis e, qualora comporti variante allo strumento urbanistico, lo stesso è approvato in deroga ai limiti ed alle prescrizioni di cui all’articolo 27, comma 4 della L.R. n. 27/2000 e dell’articolo 67 comma 3, della L.R. n. 11/2005 con le modalità di cui all’articolo 15 della stessa L.R. n. 11/2005 e nel rispetto degli articoli 25 comma 2, 27 commi 1, 2 e 6, 29 e 30, commi 4 e 5 della L.R. n. 27/2000, in continuità con le aree urbane esistenti.”
Tale previsione, nell’escludere alcune categorie di Piani dal campo di applicazione della VAS, prescindendo da un esame caso per caso, si pone in contrasto con la normativa statale di settore di cui all’art. 6 del D.lgs 152/2006 che individua al comma 2 le categorie di piani e programmi da sottoporre obbligatoriamente alla VAS e al comma 3 e 3 bis quei piani e programmi per i quali è necessaria la verifica di assoggettabilità ai sensi dell’art. 12.
In merito, anche la recente giurisprudenza comunitaria e nazionale si è espressa in tal senso (sentenza Corte di giustizia del 22/09/2011 nel procedimento C-295/10 e sentenza TAR Lombardia N. 02194/2011).

9) La norma contenuta nell’articolo 124 , comma 1, aggiunge l’articolo 71 bis alla l.r. 27/2000, dettando un’interpretazione autentica dell’articolo 15 della medesima legge regionale, nonché dell’articolo 5 , comma 3, lettera c) della l.r. 28/2001, concernenti le aree boscate. Tale disposizione afferma che le citate norme regionali si interpretano nel senso che non si considerano boschi quelli ricadenti nelle aree indicate al comma 2 dell’articolo 146 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, come recepito nel comma 2, dell’articolo 142 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, anche quando i boschi medesimi siano sottoposti a vincolo provvedimentale di tutela paesaggistica, fermo restando il regime autorizzatorio previsto dal d. lgs. Medesimo. Tale previsione, per parte in cui non considera boschi quelli ricadenti nelle aree indicate dell’articolo 142 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, anche quando i boschi medesimi siano sottoposti a vincolo provvedimentale di tutela paesaggistica, viola l’articolo 142, comma 4 del codice di beni culturali e del paesaggio che, invece, mantiene in ogni caso ferma la disciplina derivante dagli atti e dai provvedimenti indicati all'articolo 157 del medesimo codice, andando a incidere sulla portata applicativa dello stesso articolo 157 concernente il mantenimento dell’efficacia dei vincoli provvedimentali preesistenti al codice, ponendosi quindi in contrasto anche con questa norma statale. Anche in questo caso si ravvisa pertanto la violazione della competenza esclusiva dello Stato i materia di tutela dei beni culturali di cui all’articolo117, comma 2, lettera s) Cost.

10) L’art. 136, comma 1 inserisce il comma 4-bis nell’art. 3 della l.r. 12/2010. Il nuovo testo prevede “ Fatto salvo quanto previsto all’articolo 3, comma 4, sono esclusi dal campo di applicazione della VAS le varianti di cui all’articolo 18, commi 2, 3, 3-bis, 4, 5 e 9-bis della L.R. n. 11/2005, i piani attuativi, i programmi urbanistici, gli interventi relativi a procedimenti in materia di sportello unico per le attività produttive ed edilizia (SUAPE), relativi a piani regolatori comunali approvati ai sensi della L.R. n. 31/1997 e della L.R. n. 11/2005. Ai fini dell’esclusione dalla VAS il comune valuta ed attesta che tali strumenti urbanistici non comportano impatti significativi sull’ambiente, con le modalità previste all’articolo 8-bis, comma 2 della L.R. n. 11/2005.”
Il primo periodo del comma di nuova introduzione prevede l’esclusione automatica delle varianti di una serie di piani dalla procedura di VAS, il secondo periodo prevedendo una valutazione di assoggettabilità semplificata da parte del Comune finalizzata alla esclusione dalla VAS, richiama le modalità indicate dall’art. 8 bis, comma 2 della l.r. 11/2005. Tuttavia, la norma richiamata dal legislatore regionale non contiene indicazioni procedurali in merito alla valutazione della significatività degli impatti.
Pertanto, anche questa disposizione regionale appare operare una arbitraria esclusione dalla VAS di intere categorie di piani attuativi.
Pertanto, la legge regionale in oggetto, dettando disposizioni difformi dalla normativa statale di riferimento afferente alla materia della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» di cui all’art. 117, co. 2, lett. S), per la quale lo Stato ha competenza legislativa esclusiva, presenta profili di illegittimità costituzionale.

Per tali motivi si ritiene di sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge regionale in esame dinanzi alla Corte Costituzionale.

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