Dettaglio Legge Regionale

Sostegno e promozione della coltivazione e della filiera della canapa industriale. (11-4-2022)
Sardegna
Legge n.6 del 11-4-2022
n.17 del 12-4-2022
Politiche infrastrutturali
6-6-2022 / Impugnata
La legge regionale, che reca “Norme di sostegno e promozione della coltivazione e della filiera della canapa industriale”, eccede dalle competenze statutarie della Regione Sardegna, in contrasto con gli articoli 3 e 4 dello Statuto speciale di autonomia della Regione, risultando invadere la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera h), violando altresì i principi fondamentali in materia di tutela della salute di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, oltre a porsi in contrasto con l’articolo 81, terzo comma, della Costituzione.
L’articolo 3, lettera d) dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, attribuisce alla Regione potestà legislativa in materia di “agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario”. In base al medesimo articolo 3 dello Statuto speciale, la potestà legislativa regionale deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”.
Il successivo articolo 4, lettera i) prevede la competenza regionale ad emanare norme legislative in materia di “igiene e sanità pubblica” con i medesimi limiti sopra enunciati, nonché dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato.
Si rappresenta inoltre che la disciplina statale di principio è dettata dal d.P.R. n. 309/1990 “Testo unico delle leggi in materia dì disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati dì tossicodipendenza” e dalla legge n. 242 del 2016, intitolata “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”.
A tale riguardo, la giurisprudenza costante della Corte costituzionale interpreta il concetto di “ordine pubblico e sicurezza” - quale settore riservato dalla Costituzione alla legislazione esclusiva dello Stato - come comprendente l’insieme degli interventi e delle misure finalizzate al mantenimento dell’ordine pubblico ed alla prevenzione dei reati, tra i quali, grave allarme sociale destano quelli in materia di stupefacenti.
La Consulta, inoltre, ha sottolineato (sentenza n. 333/1991) che la citata normativa statale (in particolare, il d.P.R. 309/1990), nel definire il catalogo delle sostanze vietate (con le relative eccezioni di natura tassativa), integra elementi accessori delle fattispecie penali tipiche di cui al medesimo d.P.R., nel pieno rispetto del principio della riserva di legge di cui all’articolo 25 della Costituzione.
La Corte ha, altresì, affermato che la predetta normativa in materia di sostanze stupefacenti ha come obiettivo la tutela dei beni giuridici della salute pubblica e dell’ordine e sicurezza pubblica (sentenze nn. 133/1992 e 109/2016).
Il citato Testo unico classifica le sostanze stupefacenti o psicotrope raggruppandole in cinque tabelle. La cannabis, in particolare, rientra nella “Tabella II”.
L’art. 26 del Testo unico vieta la coltivazione delle piante ricomprese nella Tabella II ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’art. 27, consentiti dalla normativa dell’Unione Europea.
La coltura della canapa non può, quindi, riguardare le tipologie di piante ricomprese nei divieti di cui al citato testo unico ma, invece, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge n. 242/2016, è ammessa per le varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/54/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002.
Il successivo comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 242/2016 specifica che le attività di sostegno e promozione riguardano, in particolare, la coltura della canapa finalizzata:
a) alla coltivazione e alla trasformazione;
b) all’incentivazione dell'impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali;
c)allo sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzino i risultati della ricerca e perseguano l'integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale;
d)alla produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori;
e)alla realizzazione di opere di bioingegneria, bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca.
Inoltre, l’art. 2 del medesimo testo di legge, rubricato “Liceità della coltivazione”, reca l’elenco di prodotti che è lecito ottenere dalla canapa coltivata.
Si tratta, in particolare, di:
a) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei relativi settori;
b) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico;
c) materiale destinato alla pratica del sovescio;
d) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia;
e) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati;
f) coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati;
g)coltivazioni destinate al florovivaismo.
La legge regionale in esame incide, dunque oltre che nella materia della tutela della salute pubblica, anche in quella dell’ordine e della sicurezza pubblica, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, ogniqualvolta la stessa legge introduca disposizioni incompatibili con i divieti posti dalla normativa statale.
Ciò premesso le sotto indicate disposizioni della legge regionale in esame risultano eccedere dalle competenze statutarie, per le motivazioni di seguito specificate:
1. l’articolo 1, comma 5, del provvedimento in esame, individua l’ambito di applicazione della stessa legge esclusivamente alla canapa con un contenuto di tetraidrocannabinolo (THC) entro i limiti previsti dalla normativa europea e statale.
Tale disposizione appare eccentrica rispetto alla normativa statale (e pertanto, rispetto al riparto di competenze tra Stato e regioni) nei termini che seguono.
I valori di tolleranza di THC indicati (0,2% - 0,6%) all’art. 4, comma 5, della legge n. 242 del 2016 si riferiscono solo al principio attivo rinvenuto nelle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio. Tali limiti operano a tutela del coltivatore, quale valore massimo per l’applicazione della causa di esclusione della responsabilità. Sono evidenti, infatti, le motivazioni che hanno indotto il Legislatore statale all’elaborazione di questa disposizione finalizzata a tutelare l’imprenditore agricolo che abbia allestito regolarmente la piantagione, utilizzando sementi certificate idonee a sviluppare fisiologicamente piante con un corredo di THC inferiore allo 0,2%, e che, per cause naturali e senza avervi in alcun modo contribuito con il proprio consapevole intervento, veda svilupparsi una coltura che presenta valori di concentrazione del principio attivo superiori ai citati parametri percentuali.
In merito ai “margini di tolleranza” in esame, come evidenziato nei documenti preparatori della legge n. 242 del 2016, il valore dello 0,2% è speculare a quello contenuto nell’art. 32, comma 6 del Regolamento UE 1307/2013 del 17 dicembre 2013, secondo cui “le superfici utilizzate per la produzione di canapa sono ettari ammissibili solo se il tenore di tetraidrocannabinolo delle varietà coltivate non supera lo 0,2%”.
In sostanza, se il tenore di THC delle piante coltivate non supera il valore dello 0,2% la coltivazione è comunque lecita e l’imprenditore ha diritto a ricevere dei contributi per lo svolgimento della sua attività. Allo stesso tempo, il legislatore nazionale, con l’art. 4, comma 5 della richiamata legge n. 242 del 2016, ha inteso escludere la responsabilità dell’imprenditore agricolo nei casi in cui si sviluppi, per cause a lui non imputabili, una piantagione che si caratterizza per una concentrazione di THC superiore allo 0,2% ma nei limiti dello 0,6%.
Pertanto, l’attribuzione di rilevanza generalizzata ai suddetti limiti al contenuto di THC appare esorbitare dalla competenza regionale in subiecta materia, andando a violare la competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’articolo 117, secondo comma lettera h) della Costituzione.
2. l’articolo 2, comma 2, lettera a), punto 6 riconosce alla Regione la facoltà di promuovere “le attività di sperimentazione e ricerca funzionali all'espansione della coltura della canapa in un'ottica di sostenibilità ambientale ed economica, orientate principalmente… all’utilizzo della canapa per uso alimentare, cosmetico, farmacologico e ornamentale". La citata disposizione regionale è censurabile, sotto il profilo della legittimità costituzionale, nella parte in cui non specifica che le attività di sperimentazione e ricerca orientate ad un eventuale uso farmacologico devono intendersi limitate a quelle previste ai sensi dell'articolo 26 del D.P.R. n. 309 del 1990 “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati dì tossicodipendenza” ovvero ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 242 del 2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”. Le citate disposizioni statali di riferimento, infatti, costituiscono principi fondamentali in materia di tutela della salute, al cui rispetto la Regione Sardegna è tenuta ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 4 lettera i) dello Statuto speciale di autonomia violando altresì i principi fondamentali stabiliti da leggi dello Stato in materia di «tutela della salute», di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Si precisa, al riguardo, che l'utilizzo farmacologico della canapa non rientra tra gli usi consentiti ai sensi dell'art. 2, comma 2, della citata legge n. 242 del 2016 ed è viceversa disciplinato dal decreto legislativo n. 219 del 2006 recante “Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano”. Pertanto, la legge regionale in esame, nel disciplinare aspetti propri della coltivazione della canapa industriale e richiamando espressamente la legge n. 242 del 2016, contiene disposizioni relative alla cannabis ad uso medico (stupefacente) che è, invece, disciplinata dai citati D.P.R. n. 309/90 e d.lgs. n. 219/2006, confondendo conseguentemente i prodotti derivati dalla canapa industriale con quelli della cannabis ad uso medico e gli usi consentiti dalle due distinte discipline.
Si segnala, peraltro, che un eventuale utilizzo a scopi sperimentali della semente è subordinato alle condizioni dettate dall'art. 7 della legge n. 242 del 2016 e deve avvenire secondo le modalità ivi indicate.
Inoltre, va considerato che, ai sensi dell'art. 26 del D.P.R. n. 309 del 1990: "1. Salvo quanto stabilito nel comma 2, è vietata nel territorio dello Stato la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all'articolo 14, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’articolo 27, consentiti dalla normativa dell'Unione europea. 2. Il Ministro della sanità può autorizzare istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali di ricerca, alla coltivazione delle piante sopra indicate per scopi scientifici, sperimentali o didattici".
La norma regionale si pone quindi in violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’articolo 117, secondo comma lettera h) della Costituzione ed in contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute dettati dallo Stato con le richiamate disposizioni, al cui rispetto la Regione è tenuta ai sensi degli articoli 3 e 4 dello Statuto speciale di autonomia.
Analoghe censure valgono anche per la lettera b) del comma 2, nonché per la successiva lettera c), che, nel disciplinare l’impiego e i test dei semi di canapa per la produzione di semi decorticati ad uso alimentare, non appare in linea con la summenzionata legge n. 242/2016 che, come sopra puntualmente indicato, regolamenta l’utilizzo dei prodotti derivanti dalle coltivazioni di canapa ammesse, senza prevedere l’impiego alimentare indicato dalla disposizione in commento.
Con riferimento ai limiti di THC valgono le medesime censure formulate al precedente punto 1, laddove (comma 2, lett. a), n. 1) gli stessi vengono richiamati, con riferimento all’individuazione, in funzione dei diversi impieghi, delle varietà o popolazioni di canapa più idonee alla coltivazione nel territorio sardo.

3. L’articolo 3, comma 1, alle lettere h) e i) inserisce tra i prodotti ottenibili dalla canapa anche “piante intere, parti di piante…polveri derivate ottenute dalla macinatura, vagliatura o setacciamento” non contemplate, invece, dalla legge n. 242 del 2016. In tal modo, la legge regionale integra di fatto il dettato normativo nazionale, eccedendo la propria sfera di competenza. Più precisamente, mediante, da un lato, il riferimento a tali prodotti e, dall’altro, il mancato richiamo alla vigente normativa in materia di utilizzo ad uso umano di piante intere o parti di esse e polveri derivate, ottenute dalla macinatura e dalla relativa trasformazione ai sensi del d.lgs. n. 219 del 24 aprile 2006 e del D.P.R. n. 309 del 9 ottobre 1990, per la successiva commercializzazione come medicinali, si delinea un contrasto tra la disposizione regionale in esame e i principi fondamentali in materia di tutela della salute dettati dallo Stato con le richiamate disposizioni, al cui rispetto la Regione è tenuta ai sensi degli articoli 3 e 4 dello Statuto speciale di autonomia. Considerate altresì che l’art. 117, terzo comma della Costituzione che attribuisce alla legge dello Stato la competenza a fissare i principi fondamentali in materia di "tutela della salute".
A tale riguardo, si precisa che non tutte le parti della pianta della canapa possono essere utilizzate per realizzare prodotti. Conformemente a quanto previsto dall'articolo 2 della legge n. 242 del 2016, occorrerebbe fare riferimento ai soli prodotti che contengono semi e derivati (come fibre, canapuli e parti legnose, il cui uso è lecito) e non anche ai prodotti che contengono tutte le parti della pianta (ad es., bustine di fiori essiccati o polline-hasc).
Più nel dettaglio, si osserva che non possono essere utilizzate le foglie e le infiorescenze della pianta della canapa, il cui utilizzo, in campo farmaceutico, costituendo sostanze stupefacenti, è soggetto ad autorizzazione preventiva, come previsto dalle Convenzioni delle Nazioni Unite del 1961 e del 1971, dalla normativa euro-unitaria e dalla normativa nazionale in materia di stupefacenti (artt. 17-26-27-32 del D.P.R. n. 309 del 1990 e Tabella II del medesimo decreto). Le foglie e le infiorescenze di cannabis contengono anche CBD (cannabidiolo), che è da considerarsi a tutti gli effetti una sostanza attiva, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. b-bis) del d.lgs. n. 219/2006 e, per tale motivo, rientrano nell'ambito di applicazione della disciplina propria dei medicinali (art. 2, comma 2, del cit. d.lgs. n. 219/2006). Da quanto esposto, si desume che dalla coltivazione della canapa non è possibile ottenere "piante intere", cosi come, viceversa, testualmente previsto dall'articolo 3 della legge regionale in esame.
Con specifico riferimento alla rilevanza delle previsioni contenute nella legge n. 242 del 2016 relativamente ai prodotti che possono essere ottenuti dalla coltivazione, appare opportuno richiamare quanto rilevato dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. pen. Sez. Unite, Sent., ud. 30-05-2019, 10-07-2019, n. 30475):
"1) la legge n. 242 del 2016 è volta a promuovere la coltivazione agroindustriale di canapa delle varietà ammesse (cannabis sativa L.), coltivazione che beneficia dei contributi dell'Unione Europea, ove il coltivatore dimostri di avere impiantato sementi ammesse;
2) si tratta di coltivazione consentita senza necessità di autorizzazione ma dalla stessa possono essere ottenuti esclusivamente i prodotti tassativamente indicati dalla legge n. 242 del 2016, art. 2, comma 2, (esemplificando: dalla coltivazione della canapa di cui si tratta possono ricavarsi fibre e carburanti, ma non hashish e marijuana);
3) la commercializzazione di cannabis sativa L. o dei suoi derivati, diversi da quelli elencati dalla legge del 2016, integra il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, anche se il contenuto di THC sia inferiore alle concentrazioni indicate all'art. 4, commi 5 e 7 della legge del 2016.
L'art. 73 cit. incrimina la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina, derivati della cannabis, senza operare alcuna distinzione rispetto alla percentuale di THC che deve essere presente in tali prodotti, attesa la richiamata nozione legale di sostanza stupefacente, che informa gli artt. 13 e 14 T.U. stupefacenti.
Pertanto, impiegando il lessico corrente, deve rilevarsi che la cessione, la messa in vendita ovvero la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, di prodotti - diversi da quelli espressamente consentiti dalla legge n. 242 del 2016 - derivati dalla coltivazione della cosiddetta cannabis light, integra gli estremi del reato ex art. 73, T.U. stupefacenti".
La previsione regionale in esame viola la competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’articolo 117, secondo comma lettera h) della Costituzione e contrasta con i principi fondamentali in materia di tutela della salute dettati dallo Stato con le richiamate disposizioni, al cui rispetto la Regione è tenuta ai sensi degli articoli 3 e 4 dello Statuto speciale di autonomia.


4. La legge regionale in esame è censurabile, altresì, relativamente all’articolo 8 che attribuisce alla Regione il compito di sostenere e promuovere la coltivazione e la trasformazione della "canapa terapeutica ad uso medico" da parte delle aziende pubbliche e private presenti nel territorio regionale, al fine di "favorire la competitività e la sostenibilità delle produzioni canapicole, con particolare riferimento alle produzioni per scopi farmaceutici".
Premesso che non esiste una definizione di "canapa terapeutica" e sarebbe più corretto l’utilizzo dell’espressione “medicinali di origine vegetale a base di cannabis”, in quanto tali disciplinati dal d.lgs. n. 219/2006 e dal D.P.R. n. 309/1990, occorre al riguardo richiamare quanto previsto dall’articolo 18 quarter, comma 1, del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, conv. in legge 4 dicembre 2017, n. 172, in forza del quale lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, autorizzato alla fabbricazione di infiorescenze di cannabis in osservanza alle norme di buona fabbricazione, secondo le Direttive dell'Unione europea, recepite con il decreto legislativo n. 219 del 2006, è l'unico soggetto che, per legge, può provvedere alla coltivazione e alla trasformazione della cannabis in sostanze e preparazioni vegetali (ad alto contenuto di THC e CBD) per la successiva distribuzione alle farmacie, al fine di soddisfare il fabbisogno nazionale di tali preparazioni e per la conduzione di studi clinici. Il medesimo art. 18-quanter, infatti, prevede che "2. Per assicurare la disponibilità di cannabis a uso medico sul territorio nazionale, anche al fine di garantire la continuità terapeutica dei pazienti già in trattamento, l'Organismo statale per la cannabis di cui al decreto del Ministro della salute 9 novembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2015, può autorizzare l'importazione di quote di cannabis da conferire allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, ai fini della trasformazione e della distribuzione presso le farmacie. 3. Qualora risulti necessaria la coltivazione di ulteriori quote di cannabis oltre quelle coltivate dallo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, possono essere individuati, con decreto del Ministro della salute, uno o più enti o imprese da autorizzare alla coltivazione nonchè alla trasformazione, con l'obbligo di operare secondo le Good agricultural and collecting practices (GACP) in base alle procedure indicate dallo stesso Stabilimento".
Alla luce del su esposto quadro normativo, si rileva che la legge regionale non può introdurre o presupporre diversi meccanismi autorizzatori rispetto a quelli definiti dalla legge statale (cfr. anche Corte Cost., sentenza n. 141 del 2013).
Manca, inoltre, nell’articolo 8 della legge regionale in esame, il riferimento all’articolo 26 del D.P.R. n. 109 del 1990, atteso che la locuzione "in particolare", seguita dal dettaglio degli articoli da rispettare, nell'escludere dal novero dei medesimi le disposizioni contenute nell'art. 26, appare idonea a determinare il contrasto con le previsioni legislative statali.
Alla luce delle argomentazioni addotte, si ravvisa il contrasto tra l'articolo 8 della legge in oggetto e le richiamate disposizioni statali e, conseguentemente un'ingerenza della legislazione regionale in ambiti di competenza statale, spettando allo Stato, in via esclusiva, la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, nonché, la definizione dei principi fondamentali a tutela della salute, di cui all’articolo 117 terzo comma della Costituzione, cui la Regione Sardegna deve attenersi ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto speciale di autonomia.
5. Infine, la norma finanziaria contenuta nell’articolo 9, nel richiamare l'articolo 38, comma 1, del decreto legislativo n. 118 del 2011, “Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42”, prevede che "la Regione attua la presente legge nei limiti delle risorse finanziarie stanziate annualmente con legge di bilancio per tali finalità". Il richiamato articolo 38, comma 1, d.lgs. n. 118 del 2011 dispone che "Le leggi regionali che prevedono spese a carattere continuativo quantificano l'onere annuale previsto per ciascuno degli esercizi compresi nel bilancio di previsione e indicano l'onere a regime, ovvero, nel caso in cui non si tratti di spese obbligatorie, possono rinviare le quantificazioni dell'onere annuo alla legge di bilancio". Ciò posto, la disposizione regionale in esame non quantifica gli oneri e indica la copertura finanziaria in maniera generica, facendo semplicemente riferimento alle "risorse finanziarie stanziate annualmente con legge di bilancio per tali finalità".
La legge regionale in esame prevede, tra l’altro, all’articolo 2, comma 4, che “Entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, con propria deliberazione […] determina le modalità, i criteri e le priorità per l'erogazione dei contributi, compatibilmente con la normativa dell'Unione europea vigente in materia di aiuti di Stato […]”. Tale previsione è suscettibile di determinare oneri a carico del bilancio regionale a decorrere dall’anno 2022, oneri non quantificati e per i quali la copertura finanziaria è indicata in maniera generica, senza neanche individuare la missione, il programma e il titolo ove imputare la spesa in esame.
Per tali motivi, la richiamata norma finanziaria si pone in contrasto anche con l'articolo 19, comma 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 “Legge di contabilità e finanza pubblica”, che dispone che "le leggi e i provvedimenti che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche devono contenere la previsione dell'onere stesso e l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali".
La norma in esame non risulta quindi rispettosa dell'obbligo di copertura finanziaria delle leggi di spesa declinato nelle disposizioni del citato decreto legislativo n. 118 del 2011 e della legge n. 196 del 2009, risultando quindi in contrasto con l’articolo 81, terzo comma, della Costituzione secondo cui “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.

Per i motivi esposti, la legge regionale, limitatamente alle disposizioni di cui agli articoli 1, comma 5, 2, comma 2, lettera a), numeri 1) e 6), lettera b) e lettera c), 3, comma 1, lettere h) e i), 8 e 9, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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