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Norme per introdurre l'istituto della regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti nell'ambito dei procedimenti di accertamento di violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative (16-7-2019)
Veneto
Legge n.25 del 16-7-2019
n.80 del 23-7-2019
Politiche economiche e finanziarie
19-9-2019 / Impugnata
La legge Regione Veneto n.25 pubblicata sul B.U.R n. 80 del 23/07/2019 recante: “Norme per introdurre l'istituto della regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti nell'ambito dei procedimenti di accertamento di violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative” presenta aspetti illegittimi come di seguito evidenziato:

Gli articoli 1 e 4 del provvedimento normativo in argomento, intervenendo rispettivamente sul procedimento di irrogazione delle sanzioni pecuniarie di competenza regionale e sopprimendo la fase della diffida amministrativa, si pongono entrambi in contrasto con la legge 24 novembre 1981, n. 689 e violano gli articoli 3, 25 e 97 della Costituzione.
In particolare, l’articolo 1, comma 1, della legge in esame, prevede che, nei procedimenti di accertamento per violazioni amministrative, in materie di competenza esclusiva della Regione, non possa essere adottato alcun provvedimento sanzionatorio se prima non sia consentita al soggetto interessato la regolarizzazione degli adempimenti o la rimozione degli effetti della violazione, demandando alla Giunta regionale la definizione della disciplina di dettaglio.
Tale disposizione, che introduce una disciplina del procedimento sanzionatorio derogatoria rispetto a quella definita dal legislatore statale con la legge n. 689/81, suggerisce i seguenti rilievi.
Fermo il principio del parallelismo tra disciplina sostanziale e disciplina sanzionatoria amministrativa, affermato dalla Corte costituzionale con orientamento consolidato (cfr. sentenze n. 60/1993, n. 28/1996, n. 85/1996, più di recente sentenze n. 361/2003, n. 1272004, n. 384/2005, nn. 63 e 106/2006; e n. 94/2011), va rilevato come la disposizione in esame, nella misura in cui introduce, in via generalizzata, sia pure in materie di competenza regionale residuale, lo strumento della regolarizzazione, si deve anzitutto censurare sotto il profilo della irragionevolezza, in riferimento all’art. 3 Cost., traducendosi, di fatto, in una rinunzia della Regione all’esercizio del potere sanzionatorio amministrativo, a fronte di una serie indefinita di condotte illecite, la cui individuazione, peraltro, è affidata ad una successiva delibera di Giunta, con evidenti ricadute in termini di deterrenza della sanzione amministrativa, potendo in tal caso il cittadino confidare su una procedura di regolarizzazione a fronte delle violazioni che ammettono il successivo ricorso a tale strumento.
Tanto rappresentato in relazione all’art. 1, comma 1, della legge in esame, ulteriori considerazioni vanno svolte in ordine al successivo comma 2.
Tale norma demanda alla Giunta regionale l’individuazione della tipologia di violazioni che consentono la regolarizzazione nonché le fattispecie per le quali non è possibile ricorrervi, oltre che la definizione degli adempimenti che la regolarizzazione o la rimozione degli effetti della violazione comportano.
Così formulata, la disposizione non appare in effetti rispettosa del principio di legalità. A tale riguardo, ancora da ultimo, nella sent. n. 134/2019, la Corte costituzionale ha chiarito quanto segue: “Ciò che, invece, anche le leggi regionali che stabiliscono sanzioni amministrative debbono garantire ai propri destinatari è la conoscibilità del precetto e la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie: requisiti questi ultimi che condizionano la legittimità costituzionale di tali leggi regionali, al cospetto del diverso principio di determinatezza delle norme sanzionatorie aventi carattere punitivo-afflittivo, desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost. Come questa Corte ha recentemente ribadito, tale principio per un verso, vuole evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, l’autorità amministrativa o il giudice assuma[no] un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito” (sentenza n. 327 del 2008; sul punto anche ordinanza n. 24 del 2017); per un altro verso, non diversamente dal principio d’irretroattività, intende “garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta” (ancora sentenza n. 327 del 2008)» (sentenza n. 121 del 2018). La sentenza da ultimo citata ha, in particolare, rilevato che “il principio di legalità, prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile e della sanzione aventi carattere punitivo-afflittivo, qualunque sia il nomen ad essa attribuito dall’ordinamento […] non può, ormai, non considerarsi patrimonio derivato non soltanto dai principi costituzionali, ma anche da quelli del diritto convenzionale e sovranazionale europeo, in base ai quali è illegittimo sanzionare comportamenti posti in essere da soggetti che non siano stati messi in condizione di “conoscere”, in tutte le sue dimensioni tipizzate, la illiceità della condotta omissiva o commissiva concretamente realizzata” (sentenza n. 121 del 2018)”.
Giova altresì richiamare quanto affermato dalla Corte di cassazione in relazione alla potestà regolamentare della giunta secondo cui: «… Solo con legge formale, dunque, le Regioni potranno delineare fattispecie sanzionatorie e fissare le relative pene amministrative. Lo spazio lasciato ai regolamenti deve essere circoscritto entro i limiti derivanti dalla riserva “tendenzialmente assoluta” di legge: sia rispetto alla normativa regionale precedente alla legge n. 689/1981, sia rispetto alla normativa regionale successiva, le disposizioni regolamentari dovranno limitarsi ad enunciazioni di carattere tecnico, o comunque tali da non incidere sulla individuazione del disvalore del fatto e tanto meno sulla determinazione della sanzione» (Cass. n. 1696/2005, in Giust. civ. Mass., 2005).
Anche alla stregua di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità deve dunque escludersi che alla giunta possa essere attribuita una potestà regolamentare che non abbia portata meramente esecutiva e di dettaglio della norma regionale primaria in materia di delimitazione delle fattispecie sanzionate non suscettibili di regolarizzazione.
Nel caso in esame, la disposizione di cui all’art. 1, comma 2, ha una portata notevolmente più ampia in quanto, demandando alla Giunta la definizione delle fattispecie per cui dovrebbe operare l’istituto della regolarizzazione, affida all’autorità regolamentare regionale anche una valutazione del disvalore della condotta illecita.
Anche tale norma deve essere pertanto impugnata per la violazione del principio di legalità desumibile dall’art. 25 della Costituzione, nonché per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione.

In conclusione si ritiene che gli articoli 1, commi 1 e 2 e 4 della legge in esame debbano essere impugnati ai sensi dell’art. 127 Cost. per la violazione del principio di legalità desumibile dall’art. 25 della Costituzione, nonché per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione.

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