Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni collegate alla legge di Stabilità regionale 2021 e modifiche di leggi regionali. (11-8-2021)
Lazio
Legge n.14 del 11-8-2021
n.79 del 12-8-2021
Politiche economiche e finanziarie
7-10-2021 / Impugnata
La legge della Regione Lazio n. 14 del 11/08/2021, recante “Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2021 e modifiche di leggi regionali” presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
§§§
L’articolo 64 apporta modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38, recante “Norme sul governo del territorio”. In particolare, il comma 1 modifica l’articolo 54 della legge n. 38 del 1999, recante la disciplina delle trasformazioni urbanistiche in zona agricola.
Nel dettaglio, il comma 1, lettera a), del predetto articolo 64 prevede la sostituzione del comma 2 dell’articolo 54 della legge regionale n. 38 del 1999 con il seguente testo:
“2. Nel rispetto degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti ivi previsti, nelle zone agricole sono consentite le seguenti attività:
a) attività agricole aziendali di cui all’articolo 2 della L.R. 14/2006;
b) attività multimprenditoriali integrate e complementari con le attività agricole aziendali. Rientrano in tali attività:
1) turismo rurale;
2) trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali;
3) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali compresi i mercati e le fiere dei prodotti tipici;
4) attività culturali, didattiche, sociali, ricreative, sportive e terapeutico-riabilitative;
5) accoglienza e assistenza degli animali nonché cimiteri per gli animali d’affezione;
6) produzione delle energie rinnovabili anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame.”.
Prima di tale modifica, il testo del comma 2 dell’articolo 54 era così formulato:
“2. Nel rispetto degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti ivi previsti, nelle zone agricole sono consentite le attività rurali aziendali come individuate all’articolo 2 della L.R. 14/2006, comprensive delle attività multimprenditoriali individuate dal medesimo articolo 2. Rientrano nelle attività multimprenditoriali le seguenti attività:
a) turismo rurale;
b) trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali;
c) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali;
d) attività culturali, didattiche, sociali, ricreative, sportive e terapeutico-riabilitative;
e) accoglienza ed assistenza degli animali;
f) produzione delle energie rinnovabili.”

La novella potrebbe apparire di limitata portata innovativa rispetto al testo previgente, atteso che la modifica si risolve, in definitiva:
- in una diversa articolazione del medesimo contenuto normativo, mediante la sua distribuzione in due lettere (“a” e “b”), la seconda delle quali assorbe il secondo periodo presente nella precedente formulazione ed è, a sua volta, articolata in numeri (da 1 a 6) corrispondenti alle lettere (da “a” a “f”) del testo previgente;
- nella sostituzione delle parole: “attività rurali aziendali come individuate all’articolo 2 della L.R. 14/2006” con la formulazione, sostanzialmente equipollente, “attività agricole aziendali di cui all’articolo 2 della L.R. 14/2006”;
- nella precisazione concernente la possibilità che la “produzione delle energie rinnovabili” avvenga anche “anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame”.
A fronte di tali, modeste, modificazioni della portata dispositiva della previsione, l’interprete sarebbe, in effetti, indotto a chiedersi per quale ragione il legislatore regionale non si sia limitato a inserire soltanto la predetta precisazione concernente le energie rinnovabili, ma abbia ritenuto necessario riscrivere l’intero comma, distribuendo diversamente il testo in lettere e numeri.
In realtà, ciò che emerge, è che, con la suddetta novella, non si è inteso modificare la disciplina legislativa regionale recante la tipizzazione delle attività astrattamente previste nelle zone agricole classificate come tali dagli strumenti urbanistici comunali (ossia il contenuto proprio dell’articolo 54, comma 2, della legge regionale n. 38 del 1999), quanto piuttosto incidere surrettiziamente sulla disciplina contenuta nel Piano territoriale paesistico regionale in tema di attività in concreto consentite nelle aziende agricole ricadenti in ambiti soggetti a vincolo paesaggistico.
Più in dettaglio, al fine di apprezzare l’effettiva portata della disposizione introdotta dalla legge regionale n. 14 del 2021, occorre tenere presente che l’articolo 52 del Piano territoriale paesistico regionale (PTPR) – approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 5 del 21 aprile 2021 e pubblicato sul B.U.R.L. n. 56 del 10 giugno 2021 – nel dettare la disciplina delle aziende agricole in aree vincolate, prevede, al comma 1, che nell’ambito delle aziende agricole ubicate in aree sottoposte a vincolo è consentita la realizzazione di manufatti strettamente funzionali e dimensionati alle attività agricole.
Il comma 4 della medesima disposizione stabilisce poi che, previa approvazione di un PUA, è altresì consentito l’inserimento delle funzioni ed attività compatibili di cui all’articolo 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999.
Secondo quanto sopra detto, l’articolo 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999, al tempo dell’approvazione del PTPR e, dunque, anteriormente alla modifica apportata dall’articolo 64 della legge in oggetto, faceva riferimento alle sole “attività di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali”.
In sede di copianificazione, dunque, si è deciso – per il tramite del citato rinvio alla disciplina regionale all’epoca vigente – che le attività consentite, previa approvazione del PUA, nell’ambito di aziende agricole in aree vincolate fossero, oltre a quelle strettamente rurali, esclusivamente le attività di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali.
Per effetto della modifica apportata all’articolo 54 della legge n. 38 del 1999, dall’articolo 64, comma 1, lettera a), della legge regionale n. 14 del 2021, il rinvio operato dal PTPR all’articolo 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999 viene invece ad assumere un contenuto nettamente più ampio, che esula dalle scelte all’epoca condivise tra Stato e Regione.
L’articolo 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999, a seguito della modifica apportata dall’articolo 64 della legge in questione, fa infatti riferimento oggi – come innanzi visto – non soltanto alla “trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali”, ma anche a tutte le altre “attività multimprenditoriali integrate e complementari con le attività agricole aziendali”, nelle quali rientrano pure: il turismo rurale; la ristorazione e degustazione dei prodotti tipici derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali compresi i mercati e le fiere dei prodotti tipici; le attività culturali, didattiche, sociali, ricreative, sportive e terapeutico-riabilitative; l’accoglienza e assistenza degli animali nonché cimiteri per gli animali d’affezione; la produzione delle energie rinnovabili anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame.
È dunque evidente come la legge regionale in esame, pur consistendo in una modifica formale della disposizione previgente, sia diretta in realtà a introdurre surrettiziamente una modifica unilaterale della disciplina di tutela prevista dal Piano territoriale, la cui revisione, tuttavia, può avvenire esclusivamente nel rispetto dei presupposti e delle modalità previsti dall’Accordo di copianificazione, sottoscritto congiuntamente con questo Ministero, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del Codice di settore.
Del resto, che la volontà della Regione fosse proprio quella di ampliare, con la norma in esame, il novero delle attività consentite nell’ambito di aziende agricole ricadenti in aree vincolate si evince dalla stessa relazione illustrativa della proposta di legge, ove si rappresenta che la modifica all’articolo 54, comma 2 della legge regionale n. 38 del 1999 viene apportata, a seguito dell’approvazione del Piano territoriale paesaggistico regionale, “per un necessario coordinamento con quanto dallo stesso previsto dall’articolo 52, comma 4”.
È evidente tuttavia che, ove in sede in copianificazione vi fosse stata l’intenzione di consentire, nell’ambito di aziende agricole in aree vincolate, attività diverse da quelle di trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali, non ci si sarebbe limitati a inserire, all’articolo 52, comma 4 delle Norme del Piano, il riferimento all’articolo 54, comma 2, lettera b), della legge n. 38 del 1999 (previsione che, come più volte ricordato, si riferiva esclusivamente alle attività di “trasformazione e vendita diretta dei prodotti derivanti dall’esercizio delle attività agricole tradizionali”), ma si sarebbe fatto rinvio all’intero comma 2 dell’articolo 54, per come all’epoca vigente.
Non vi è dubbio, pertanto, che la disposizione regionale persegua l’intento e sia diretta a produrre l’effetto di operare una modifica unilaterale del Piano paesaggistico approvato d’intesa con lo Stato, modifica comportante il rilevante incremento delle attività consentite nelle aziende agricole ricadenti in aree soggette a vincolo paesaggistico.
Per effetto di quanto sopra, la norma regionale si pone in diretto contrasto con gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; previsioni, queste ultime, che costituiscono norme interposte rispetto all’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione.
Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell’autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione. Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d’uso (e cioè i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
In sostanza, il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Si tratta di una scelta di principio la cui validità e importanza è già stata affermata più volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell’impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei Comuni e delle Regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d’intesa tra lo Stato e la Regione. La Corte ha, infatti, affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
Il suddetto quadro normativo non consente alla Regione, una volta approvato il piano paesaggistico d’intesa con lo Stato, di operare unilateralmente una modifica meramente formale di una propria norma di legge, al solo scopo di incidere indirettamente sulla disciplina concordemente dettata in sede di pianificazione paesaggistica con riferimento alle aree vincolate.
L’articolo 64, comma 1, lettera a), della legge regionale in oggetto è, pertanto, illegittimo per violazione della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), Cost., rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
D’altro canto, la medesima previsione censurata, determinando un abbassamento del livello della tutela del paesaggio, comporta anche la violazione dell’articolo 9 della Costituzione, che assegna alla tutela del paesaggio il rango di valore primario e assoluto (Corte cost., n. 367 del 2007).
Deve, infine, rilevarsi che la modifica apportata dall’articolo 64, comma 1, lettera a), della legge regionale in oggetto all’articolo 54, comma 2 della legge n. 38 del 1999, laddove incide sulla concreta portata della disciplina contenuta nel Piano territoriale paesistico regionale, costituisce il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del lungo percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’approvazione del medesimo piano.
In questa prospettiva, la previsione risulta perciò dettata in violazione del principio di leale collaborazione, il quale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, “deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni”, atteso che “la sua elasticità e la sua adattabilità lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti” (così in particolare, tra le tante, Corte cost. n. 31 del 2006).
Al riguardo, la Corte ha chiarito, tra l’altro, che il predetto principio “(…) anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto” (così ancora la sentenza da ultimo richiamata).
La scelta della Regione di assumere iniziative unilaterali, al di fuori dell’accordo con lo Stato, che ha condotto alla recente approvazione del Piano territoriale, si pone, pertanto, in contrasto anche con il principio di leale collaborazione (con riferimento alla leale collaborazione ai fini della pianificazione paesaggistica, con specifico riferimento proprio al PTPR del Lazio cfr. Corte cost. n. 240 del 2020).
Alla luce di tutto quanto sopra indicato, l’articolo 64, comma 1, lett. a) è illegittimo poiché si pone in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, con riferimento agli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che costituiscono norme interposte, nonché con l’articolo 9 della Costituzione in tema di tutela del paesaggio e con il principio di leale collaborazione.
§§§
Con riferimento all’articolo 75 ("Modifiche alla legge regionale 16 dicembre 2011, n.16 "Norme in materia ambientale e di fonti rinnovabili" e successive modifiche”) vanno rilevati profili di illegittimità in relazione alle disposizioni infradescritte in quanto contrastanti con la potestà legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», i cui princìpi fondamentali, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale (cfr. da ultimo, sentenza n. 69/2018) e nel cui ambito è da ricondursi la disciplina degli impianti di energia da fonti rinnovabili, regolata in via primaria dal legislatore nazionale con il decreto legislativo 28 dicembre 2003, n. 387, recante "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità", costituente, per quel che occupa, parametro statale interposto (ex multis, Corte Cost. sentenza n. 189 del 2014).
1) Art. 75 comma, comma 1, lett. b), recante modifica all'art. 3.1, della 1.r. Lazio 16/2011.
Nella sua attuale formulazione detta norma:
1) fissa al 30 giugno 2022 il termine entro il quale i Comuni individuano le aree non idonee per l'installazione di impianti fotovoltaici a terra (comma 1, lett. b) n. 2);
2) inserisce un comma 4-ter, ai sensi del quale "La Regione sostiene i comuni nello svolgimento delle attività di individuazione delle aree non idonee di cui al comma 3, fornendo adeguato supporto tecnico normativo tramite il gruppo tecnico interdisciplinare istituito ai sensi dell'articolo 3.1.1." (comma 1, lett. b) n. 3);
3) abroga il comma 5, dell'art. 3. 1, ai sensi del quale "Nelle more delle previsioni di cui al comma 1, resta sempre consentita la produzione di energia da fonti rinnovabili con le modalità previste dalla legge regionale 2 novembre 2006, n. 14 (Norme in materia di diversificazione delle attività agricole) e successive modifiche per la quale non trovano applicazione le limitazioni di cui al comma 3 (comma 1, lett. b) n. 4);
4) prevede un potere sostitutivo della Regione in caso di inerzia dei Comuni (comma 5-bis: "In caso di inerzia dei comuni nell'individuazione delle aree non idonee all'installazione degli impianti fotovoltaici entro il termine di cui al comma 3, la Regione esercita il potere sostitutivo, tramite le proprie strutture o la nomina di un commissario ad acta, previo invito a provvedere entro un congruo termine, ai sensi della normativa vigente" (comma 1, lett. b) n. 5).
Riguardo alle illustrate modifiche, si rileva quanto segue.
Preme, innanzitutto, ribadire la perplessità già manifestata riguardo alle previsioni introdotte con legge regionale Lazio n. l del 2020 (nella specie l'art. 10, comma 11) con particolare riferimento alla competenza comunale ivi sancita alla individuazione delle aree idonee per l'installazione degli impianti fotovoltaici a terra, previsione, quest'ultima, che è stata impugnata dal Governo in ragione di differente motivazione e che la Corte Costituzionale, in ogni caso, ha dichiarato infondata, ma che andrebbe riesaminata alla luce del nuovo quadro normativo interposto
A tale proposito è fondamentale segnalare che la recente Legge 22.04.2021, n. 53, recante "Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020" nel dettare i criteri ulteriori di delega per il recepimento della Direttiva 2018/2001/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ha affrontato in modo dettagliato il tema delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili.
In particolare, all'art. 5, comma 1, lett. a) e b), si stabilisce che il Governo nell'esercizio della Delega deve:
a) prevedere, previa intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, alfine del concreto raggiungimento degli obiettivi indicati nel Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), una disciplina per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell'aria e dei corpi idrici, nonché' delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attività culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché' tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa. A tal fine sono osservati, in particolare, i seguenti indirizzi:
1) la disciplina è volta a definire criteri per l'individuazione di aree idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili. A tal fine, la disciplina reca inoltre criteri per la ripartizione fra regioni e province autonome e prevede misure di salvaguardia delle iniziative di sviluppo in corso che risultino coerenti con i criteri di localizzazione degli impianti preesistenti, rispetto a quelli definiti dalla presente lettera,
2) il processo programmatorio di individuazione delle aree idonee è effettuato da ciascuna regione o provincia autonoma in attuazione della disciplina di cui al numero 1) entro sei mesi. Nel caso di mancata adozione, è prevista l'applicazione dell'articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234;
b) prevedere che, nell'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili di cui alla lettera a), siano rispettati i principi della minimizzazione degli impatti sull'ambiente, sul territorio e sul paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo;”
Occorre evidenziare, da ultimo che, in attuazione di tale disposizione, lo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2018/2001, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 5 agosto 2021, all'articolo 20, prevede la "Disciplina per l'individuazione di superfici e aree idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili" in conformità ai criteri di delega sopra esposti, stabilendo in particolare, all'art. 20, commi da 6 a 8, che:
6. Non possono essere disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione, nelle more dell'individuazione delle aree idonee.
7. Le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee.
8. Nelle more dell'adozione dei decreti di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini di cui al comma 1 del presente articolo:
a) i siti ove sono già installati impianti della stessa fonte e in cui vengono realizzati interventi di modifica non sostanziale ai sensi dell'articolo 5, commi 3 e seguenti, del decreto legislativo 3 marzo 2011 n. 28;
b) le aree dei siti oggetto di bonifica individuate ai sensi dell'articolo 242-ter, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Riguardo, al sopra richiamato schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2018/2001, pur nella sua versione non definitivamente approvata, non appare superfluo ribadirne la rilevanza, anche alla luce dei principi di leale collaborazione, nella misura in cui si ritiene che lo stesso sia indice di una volontà legislativa statale in ossequio alla quale la Regione dovrebbe scongiurare, nelle more della definitiva approvazione, l’introduzione di discipline anticipatorie degli effetti attuativi, nonché derogatorie, implicanti, medio tempore, potenziali effetti distorsivi.
2) Art. 75, comma 1, lett. b), n. 5): detta norma nell'introdurre i commi 5-quater e 5-quinquies, dell'art. 3.1, della 1.r. n. 16/2011, prevede rispettivamente che
"Nelle more dell'individuazione delle aree e dei siti non idonei all'installazione degli impianti da fonti rinnovabili, di cui ai commi precedenti, al fine di garantire un maggior bilanciamento nella diffusione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili nel territorio regionale, sono sospese per otto mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione le nuove autorizzazioni di impianti di produzione di energia eolica e le installazioni di fotovoltaico posizionato a terra di grandi dimensioni, nelle zone indicate dalla tabella "Classificazione degli impianti di produzione di energia in relazione all'impatto su paesaggio" delle "Linee guida per la valutazione degli interventi relativi allo sfruttamento di fonti energia rinnovabile" approvate con deliberazione del Consiglio regionale 21 aprile 2021, n. 5 "Piano Territoriale Paesistico regionale (PTPR) "per le quali il relativo impatto sul sistema di paesaggio è indicato come non compatibile (NC), in quanto aree di pregio e vincolate".
"Le sospensioni di cui al comma 5 quater non si applicano alle autorizzazioni di impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative innovative in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale e purché realizzati con sistemi di monitoraggio che consentano di verificare, anche con l'applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione, l'in2patto sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture e la continuità delle attività delle aziende agricole interessate".
Attraverso la citata disposizione, il legislatore regionale dispone, pertanto, una sospensione dei procedimenti autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili ivi indicati (c.d. "moratorie") per otto mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge regionale in esame.
A tal proposito, occorre in via preliminare far presente che la disposizione in esame, nel disciplinare le procedure autorizzative per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili, è riconducibile alla materia (attribuita alla potestà legislativa concorrente ex art. 117, comma terzo, Cost. "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", nel cui ambito i principi fondamentali sono dettati anche dal decreto legislativo n. 387 del 2003 (recante "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità") e, in specie, dall'art. 12.
In particolare, l'art. 12, comma 4, del citato decreto, nel prevedere che l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili è rilasciata nell'ambito di un procedimento unico cui partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione, dispone che "(...) il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a novanta giorni, al netto dei tempi previsti dall'articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale".
Ciò premesso, va evidenziato che l'indicazione del termine di conclusione del procedimento autorizzativo, di cui al citato art. 12, comma 4, assurge, secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale, a principio fondamentale della materia, dettato dal legislatore statale a salvaguardia delle esigenze di semplificazione, celerità nonché di omogeneità sull'intero territorio nazionale ed è pertanto inderogabile da parte delle Regioni.
L'art. 75, comma 1, lett. b), n. 5, della legge regionale in esame, quindi, nello stabilire la sospensione del rilascio delle autorizzazioni degli impianti a fonti rinnovabili nel territorio regionale, si pone in contrasto con l'art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, con conseguente illegittimità per violazione dei limiti della competenza della Regione in materia di "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", ex art. 117, comma terzo, Cost.
Al riguardo, occorre richiamare la sentenza n. 364 del 2006 con cui la Corte costituzionale in relazione ai profili di che trattasi, ha dichiarato che: "È illegittimo l'art. 1, c. 1, della L. R. 11 agosto 2005, n. 9, Puglia (Moratoria per le procedure di valutazione d'impatto ambientale e per le procedure autorizzative in materia di impianti di energia eolica). La suddetta legge regionale nel disciplinare le procedure autorizzative in materia di impianti di energia eolica, incide sulla materia "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia" rientrante nella competenza legislativa concorrente delle regioni, ai sensi dell'art. 117, c. 3, Cost.
I principi fondamentali in materia si ricavano dalla legislazione statale e, attualmente, dal D. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità). ( ... ). L'indicazione del termine, contenuto nell'art. 12, c. 4, deve qualificarsi quale principio fondamentale in materia di "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo ".
Nell'alveo di siffatto consolidato orientamento giurisprudenziale, si colloca, altresì, la recente pronuncia n. 171 del 30 luglio 2021, con cui la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della legge regionale Toscana n. 82/20207 nella parte in cui introduceva, riguardo alle aree rurali; un limite di potenza ai fini della realizzazione di impianti fotovoltaici a terra, al riguardo osservando che "Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la disciplina dei regimi abilitativi degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, riconducibile alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» (art. 117, terzo comma, Cost.), deve conformarsi ai principi fondamentali, previsti dal d.lgs. n. 387 del 2003, nonché, in attuazione de/suo art. 12, comma 10, dalle menzionate Linee guida (ex plurimis, sentenze n. 258 del 2020, n. 106 del 2020, n. 286 del 2019 e n. 69 del 2018). (...) Del resto, secondo un orientamento costante di questa Corte, nella disciplina relativa all'autorizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, le Regioni non possono imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla disciplina statale. Una normativa regionale, che non rispetti la riserva di procedimento amministrativo e, dunque, non consenta di operare un bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificità dei luoghi, impedisce la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati e, di riflesso, viola il principio, conforme alla normativa dell'Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis, sentenze n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011). Per le ragioni esposte, l'art. 2, comma 1, della legge n. 82 del 2020 deve ritenersi costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai citati principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»".
Occorre, altresì, aggiungere che il richiamato principio fondamentale sancito dall'art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 387 del 2003, attuativo dell'art. 13, della direttiva n. 2009/28/CE, secondo cui «[gli Stati membri assicurano che le norme nazionali in materia di procedure di autorizzazione [...J applicabili agli impianti [...]per la produzione di elettricità [ ... ] a partire da fonti energetiche rinnovabili ... siano proporzionate e necessarie. Gli Stati membri prendono in particolare le misure appropriate per assicurare che: [ ... ] c) le procedure amministrative siano semplificate e accelerate al livello amministrativo adeguato (...)» è stato poi ripreso dall'art. 15, della direttiva 2018/2001/UE, a mente del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure appropriate per assicurare che siano previste procedure di autorizzazione semplificate e meno gravose per la produzione e lo stoccaggio di energia da fonti rinnovabili, con la conseguenza che la disposizione regionale censurata colliderebbe anche con detta disposizione sovranazionale e, quindi, con il parametro costituzionale di cui all'art. 117, primo comma, Cost. che impone alle Regioni di esercitare la potestà legislativa anche nel rispetto dei vincoli comunitari.
Infine, la richiamata disposizione si pone in contrasto con gli artt. 97 e 41 della Costituzione, nella misura in cui la sospensione del potere autorizzativo relativo a un'attività non solo consentita, ma anche promossa e incentivata dall'ordinamento nazionale ed europeo, costituirebbe un grave ostacolo all'iniziativa economica nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili, all'uopo richiamandosi la sentenza del 26 luglio 2018, n. 177, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 15, comma 3, della legge Regione Campania n. 6/2016, all'uopo osservando: "La norma impugnata collide con l'art. 117, primo comma, Cost. anche per il sostanziale contrasto con la prescrizione dell'art. 13 della direttiva 2009/28/CE. Come già rilevato da questa Corte, «la normativa comunitaria promuove [...] il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili, espressamente collegandolo alla necessità di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, e dunque anche al rispetto del protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in una prospettiva di modifica radicale della politica energetica dell'Unione. (...). In una diversa, non meno importante, direzione, la normativa comunitaria ha richiesto agli Stati membri di semplificare i procedimenti autorizzatori» (sentenza n. 275 del 2012). Il percorso inaugurato dalla menzionata direttiva 2001/77/CE, cui è stata data attuazione con il d. lgs. n. 387 del 2003, è proseguito con la direttiva 2009/28/CE, sostitutiva della precedente, che ha ricevuto attuazione con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE). (..). La normativa europea, dunque, da un lato, esige che la procedura amministrativa si ispiri a canoni di semplificazione e rapidità - esigenza cui risponde il procedimento di autorizzazione unica - e, dall'altro, richiede che in tale contesto confluiscano, per essere ponderati, gli interessi correlati alla tipologia di impianto, quale, nel caso di impianti energetici da fonte eolica, quello, potenzialmente confliggente, della tutela del territorio nella dimensione paesaggistica.
La sospensione disposta in via generale dalla disposizione censurata collide con le norme di principio della legge nazionale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia” e con le ricordate norme europee che, per i termini in cui sono formulate, mostrano chiaramente di non tollerare condizionamenti anche se giustificati da un 'assenta esigenza di tutela dell'ambiente. La moratoria prevista dalla Regione Campania, infatti, si inserisce in una cornice normativa interna e sovranazionale (...) connotata dalla presenza degli evidenziati principi e criteri direttivi che impediscono l'arresto dei procedimenti autorizzatori in nome della salvaguardia di interessi ulteriori, i quali possono comunque trovare considerazione nel contesto procedimentale unificato, attraverso una concreta ponderazione della fattispecie in sede amministrativa".
Sempre in relazione agli aspetti procedimentali legati agli impianti da fonte di energia rinnovabile, il Giudice delle leggi ha, altresì, evidenziato che «[è] nella sede procedimentale [...] che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione 'e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l'emersione ditali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi): efficacia, imparzialità pubblicità e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialità della scelta, alla stregua dell'art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.» (sentenza n. 69 del 2018).
3) Art. 75, comma 1, lett. c): la disposizione in questione prevede l'inserimento, nel corpus della legge n. 16/2011, dell'art. 3.1.1, (Gruppo tecnico interdisciplinare per l'individuazione delle aree idonee e non idonee FER) ai sensi del quale:
"1. Nelle more dell'entrata in vigore del PER e del recepimento della direttiva 11 dicembre 2018, n. 2018/2001/UE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, è istituito, senza oneri a carico del bilancio regionale, il "Gruppo tecnico interdisciplinare per l'individuazione delle aree idonee e non idonee FER ", secondo le modalità è con i compiti di cui ai commi 2 e 3.
2. 11 gruppo tecnico interdisciplinare di cui al comma 1 è costituito con apposita deliberazione adottata dalla Giunta regionale su proposta dell'Assessore competente in materia di transizione ecologica ed è composto da rappresentanti delle diverse direzioni regionali competenti per materia, con il compito di:
a) fornire ai comuni adeguato supporto tecnico per lo svolgimento delle attività di individuazione delle aree non idonee ai sensi dei commi 3 e 4 bis dell'articolo 3. 1, in coerenza con i criteri di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 e con le disposizioni del PTPR, in particolare, adottando i seguenti criteri.
1) tutela delle zone agricole caratterizzate da produzioni agroalimentari di qualità, quali denominazione di origine protetta (DOP), indicazione geografica protetta (IGP), specialità tradizionali garantite (STG), denominazione di origine controllata e garantita (DOCG) e indicazione geografica tipica (IGT);
2) minimizzazione delle interferenze dirette e indirette sull'ambiente legate all'occupazione del suolo ed alla modificazione del suo utilizzo a scopi produttivi;
3) tutela della continuità delle attività di coltivazione agricola, anche mediante l'utilizzo di impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative con montaggio verticale dei moduli e mediante sistemi di monitoraggio che consentano di verificare l'impatto sulle colture;
4) per gli 'impianti fotovoltaici collocati a terra insistenti in aree agricole, la disponibilità di superficie del fondo pari a tre volte la superficie dell'impianto, inteso quale proiezione sul piano orizzontale dei pannelli, in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola;
5) localizzazione area idonea primaria nei territori già degradati a causa di attività antropiche e della presenza di siti industriali, cave, discariche o altri siti contaminati ai sensi della Parte quarta, Titolo V, del d.lgs. 152/2006,
6) localizzazione area idonea secondaria nei territori classificati dal PTPR come "Paesaggio agrario di continuità", ossia caratterizzati dall'uso agricolo ma parzialmente compromessi da fenomeni di urbanizzazione diffusa o da usi diversi da quello agricolo;
b) effettuare un'analisi delle aree potenzialmente idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili previsti dalla normativa europea e statale vigente, in armonia con il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC) ed in coerenza con i criteri ivi previsti, nonché con le disposizioni del PTPR;
c) valorizzare e promuovere le innovazioni tecnologiche in particolare dell'agro-voltaico per una efficace integrazione di produzione agricola ed energetica, nonché i progetti che prevedono l'utilizzo di aree già degradate da attività antropiche, tra cui le superfici di aree industriali ed artigianali dismesse, le aree assoggettate a bonifica, le cave, le discariche, i siti contaminati, o comunque il ricorso a criteri progettuali volti ad ottenere il minor consumo possibile del territorio, sfruttando al meglio le risorse energetiche disponibili.
(...)".
Anche alla luce di quanto sopra riportato, la disposizione anzidetta presenta profili di illegittimità, alla luce del vigente quadro normativo statale ed eurounitario nel quale s'inserisce, andando, per i motivi in appresso evidenziati, ad interferire con esso.
In limine, si evidenzia che il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima, inviato alla Commissione europea dal Governo italiano a fine 2019 in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999, prevede, per i profili che qui rilevano, un cambio di approccio rispetto a quello delineato dall'attuale quadro normativo, nel senso di demandare alle Regioni, sulla base di criteri previamente prestabiliti e condivisi, l'individuazione delle aree idonee e non idonee per la localizzazione di impianti a fonte rinnovabile.
A tali fini, nell'ambito nel quadro delle misure complessivamente volte al raggiungimento degli obiettivi sulle fonti rinnovabili, particolare rilievo è stato ascritto alla individuazione delle aree adatte alla realizzazione degli impianti, nonché alla condivisione degli obiettivi nazionali con le Regioni, da perseguire attraverso la definizione di un quadro regolatorio nazionale che, in coerenza con le esigenze di tutela delle aree agricole e forestali, del patrimonio culturale e del paesaggio, della qualità dell'aria e dei corpi idrici, stabilisca criteri (previamente condivisi con il livello regionale) sulla cui base le Regioni stesse procedano alla definizione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili.
L'obiettivo dichiarato di tale individuazione concertata è anche quello di favorire lo sviluppo coordinato di impianti, rete elettrica e sistemi di accumulo, con procedure autorizzative rese più semplici e veloci (e coordinate con i meccanismi di sostegno), proprio grazie alla preventiva condivisione dell'idoneità di superfici e aree.
In tal senso, quindi, con particolare riferimento alle rinnovabili, si prevede che il disegno di legge di Delegazione Europea 2019 2020: nell'ambito dei princìpi e criteri direttivi specifici che si intendono perseguire, rechi l'individuazione di criteri sulla cui base ciascuna Regione e Provincia autonoma identifica le superfici e aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili e l'individuazione di procedure per garantire il rispetto dei termini massimi di conclusione dei procedimenti, anche ambientali.
Ebbene, la legge 22 aprile 2021, n. 53 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020"), nell'individuare principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, si incentra sugli elementi più rilevanti e innovativi, intervenendo in specie sulla finalità di orientare le scelte da adottare in sede di predisposizione del decreto legislativo di attuazione della direttiva.
Per quanto di interesse, particolare rilievo si attribuisce alla condivisione operativa degli obiettivi con le Regioni in sede di Conferenza unificata, attraverso un percorso che conduca alla individuazione delle superfici e aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonte rinnovabile. Segnatamente, il primo criterio direttivo specifico indicato in tale contesto dalla citata legge di delegazione si sostanzia nel "prevedere, previa intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito degli obiettivi indicati nel piano nazionale integrato per l'energia e il clima, una disciplina per la definizione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell'aria e dei corpi idrici, nonché delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attività culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili".
L'attuale quadro normativo statale (cfr. Legge n. 53/2021), quindi, introduce una apposita disciplina per l'individuazione delle aree idonee e non idonee coinvolgendo in prima battuta i Ministeri di riferimento (MTE e MIC) nell'individuazione dei criteri e attribuendo la titolarità del processo programmatorio alle Regioni e Province autonome.
Lo schema di decreto legislativo di recepimento, sopra richiamato, puntualizza, inoltre, all'art. 20, comma 4, che "Conformemente ai principi e criteri stabiliti dai decreti di cui al comma 1, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti, le Regioni e le Province autonome individuano con legge le aree idonee, anche con il supporto della piattaforma di cui all'articolo 21. Nel caso di mancata adozione della legge di cui al periodo precedente, ovvero di mancata ottemperanza ai principi, ai criteri e agli obiettivi stabiliti dai decreti di cui al comma 1, si applica l'articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 ".
4) Alla luce di tutto quanto sopra, e per i motivi dianzi rassegnati, le disposizioni sopra indicate dell’art. 75 della legge regionale in oggetto vanno impugnate, per violazione degli articoli 41, 97, 117, comma primo, comma secondo, lett. e) e lett. s) e comma terzo, in riferimento ai citati parametri statali ed eurounitari dianzi citati.
§§§
Articolo 81 (Modifica della perimetrazione del Parco regionale dell'Appia Antica).
L’articolo suddetto dispone la Modifica della perimetrazione del Parco regionale dell'Appia Antica, previa riduzione dei confini di tale parco alla luce di una relazione descrittiva allegata alla legge in esame (allegati C e D).
Va evidenziato il palese contrasto dell’articolo in esame con l'art. 23, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, per effetto del quale:
«1. La legge regionale istitutiva del parco naturale regionale, tenuto conto del documento di indirizzo di cui all'articolo 22, comma 1, lettera a), definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il soggetto per la gestione del parco e indica gli elementi del piano per il parco, di cui all'articolo 25, comma 1, nonché i principi del regolamento del parco.»
L'ivi richiamato art. 22, comma 1, lett. a), della legge n. 394 del 1991, a sua volta, stabilisce che «Costituiscono principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali: a) la partecipazione delle province, delle comunità montane e dei comuni al procedimento di istituzione dell'area protetta, fatta salva l'attribuzione delle funzioni amministrative alle province, ai sensi dell'articolo 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Tale partecipazione si realizza, tenuto conto dell'articolo 3 della stessa legge n. 142 del 1990; attraverso conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all'analisi territoriale dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, all'individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti dell'istituzione dell'area protetta sul territorio»
Lo stesso art. 22, comma 1, della legge quadro alla lettera c), garantisce, altresì, agli enti locali la partecipazione alla gestione dell'area protetta, sicché essi non possono essere estromessi dal procedimento con cui si compie un atto di evidente rilievo gestionale stricto sensu considerato, qual è la variazione dei confini del parco.
In una visione complessiva e di sistema degli impatti della norma e nella ipotizzabile riconducibilità delle disposte riperimetrazioni dei Parchi regionali, di cui agli articoli sopra elencati, alla nozione di "Piano", si rilevano potenziali riflessi, in termini di contrasto anche con l'art. 6, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica”.
Quanto sopra, tenuto conto, per l'appunto, della ampia nozione di “piano” stessa recata dalla Direttiva 42/2001/CE sulla Valutazione Ambientale Strategica, come recepita dal legislatore nazionale, in relazione alla quale la Commissione Europea è intervenuta più volte chiarendo, sulla base di una uniforme giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ("[..] in considerazione della finalità della direttiva 2001142, consistente nel garantire un livello elevato di protezione dell'ambiente, le disposizioni che delimitano l'ambito di applicazione ditale direttiva, ed in special modo quelle che enunciano le definizioni degli atti ivi previsti, devono essere interpretate in senso ampio" (sentenza C-567/10, punti 24-43).
La Valutazione Ambientale Strategica deve, dunque, essere prevista per tutte quelle decisioni che determinano effetti sulle modalità di uso di una determinata area, provocandone un sostanziale cambiamento. A tal proposito, sul concetto di "piano", si richiamano i paragrafi 3.3, 3.4, 3.5 e 3.6 del documento della Commissione Europea "Attuazione della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente", in cui, appunto, si chiarisce in maniera inequivocabile che "uno dei possibili parametri di valutazione può essere la misura in cui è probabile che un atto abbia effetti significativi sull'ambiente. Una possibile interpretazione è che i termini includano qualsiasi dichiarazione ufficiale che vada oltre le aspirazioni e stabilisca un corso di azione per il futuro" e, più avanti, "Ciò potrebbe includere, ad esempio, piani per la destinazione dei suoli che stabiliscano le modalità di riassetto del territorio o che fissino delle regole o un orientamento sul tipo di sviluppo che potrebbe essere appropriato o consentito in determinate aree o ancora che propongano i criteri da tenere in considerazione nel concepimento del nuovo progetto".
Tra l'altro, nel caso di specie, poiché la normativamente sancita riperimetrazione interessa «piccole aree a livello locale» e si sostanzia in una «modifica minore» al piano previgente, ai sensi del decreto legislativo n; 152 del 2006, art. 6, comma 3, dovrebbe essere l'autorità competente a valutare se la riperimetrazione stessa possa produrre «impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento», da ciò derivandone l'eventuale necessità di un suo assoggettamento a verifica di assoggettabilità a VAS, ovvero - nella rilevata insussistenza dei presupposti - il relativo esonero da siffatta verifica.
In tale ottica, alla suddetta violazione si accompagnerebbe, in maniera conseguenziale, quella, correlata, della mancata sottoposizione del provvedimento a Valutazione di Incidenza Ambientale di cui all'art. 6, comma 3, della Direttiva 43/92/C E, come recepito dall'art. 6, del D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120, che ha sostituito l'art. 5, del d.P.R. 8 Settembre 1997, n. 357, applicabile anche ai piani e ai programmi (anche in questo caso la Commissione Europea, a pag. 41 del documento "Gestione dei siti Natura 2000 - Guida all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat)" ha osservato che "di ovvia rilevanza a norma della direttiva Habitat sono i piani territoriali o di destinazione dei suoli. Alcuni di essi hanno effetti legali diretti per la destinazione d'uso dei terreni altri invece soltanto indiretti. A titolo di esempio, i piani territoriali regionali o aventi un'ampia estensione geografica spesso non sono applicati direttamente, bensì costituiscono la base per piani più dettagliati o fungono da quadro generale per consensi allo sviluppo con effetti legali diretti. Entrambi i tipi di piani di destinazione dei suoli si dovrebbero considerare coperti dall'articolo 6, paragrafo 3, nella misura in cui possono avere effetti significativi su un sito Natura 2000.").
Sul punto va, pertanto, ribadito quanto già affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 38 del 2015, per cui "la disciplina della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette ai sensi di "Natura 2000 ", contenuta nell'art. 5 del regolamento di cui al d. P. R. n. 357 del 1997, deve ritenersi ricompresa nella "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", rientrante nella competenza esclusiva statale, e si impone a pieno titolo, anche nei suoi decreti attuativi, nei confronti delle Regioni ordinarie"..
Occorre, inoltre, evidenziare che la stessa l.r. Lazio 6 ottobre 1997, n. 29, recante "Norme in materia di aree naturali protette regionali" non prevede che possa operarsi la modifica della perimetrazione di un parco naturale regionale attraverso una legge, all'uopo disponendo bensì all'art. 26, comma 5 bis - in coerenza con la legge quadro di riferimento 394/1991 - che "il piano dell'area naturale protetta è aggiornato almeno ogni dieci anni, secondo le procedure previste dal presente articolo per la sua adozione ed approvazione, le quali prevedono che:
«2. Il piano dell'area naturale protetta è redatto a cura dell'ente di gestione, con l'assistenza dell'Agenzia regionale per i parchi, ed è adottato e trasmesso alla Regione entro nove mesi dall'insediamento degli organi dell'ente di gestione.
3. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2, la Giunta regionale si sostituisce all'ente di gestione per l'adozione del piano, affidandone la redazione alle proprie strutture competenti in materia o all'Agenzia regionale per i Parch4 che debbono provvedere nel termine di un anno.
4. 11 piano adottato ai sensi dei commi precedenti è depositato per quaranta giorni presso le sedi degli enti locali interessati e della Regione. La Giunta regionale provvede, con apposito avviso da pubblicare su un quotidiano a diffusione regionale, a dare notizia dell'avvenuto deposito e del relativo periodo. Durante questo periodo chiunque può prenderne visione e presentare osservazioni scritte all'ente di gestione, il quale esprime il proprio parere entro i successivi trenta giorni e trasmette il parere e le osservazioni alla Giunta regionale. Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame congiunto della sezione aree naturali protette e della sezione prima del CTCR, propone al Consiglio regionale, l'approvazione del piano, apportando eventuali modifiche ed integrazioni e pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute.
5. Il piano approvato dal Consiglio regionale è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione ed è immediatamente vincolante nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei privati.».
Risulta, dunque, chiaro che le sancite riperimetrazioni avrebbero dovuto seguire o l’iter previsto dalla legge n. 394 del 1991 per la sua istituzione, ovvero l'iter previsto dalla l.r. Lazio 29/1997 per l'aggiornamento al piano del parco che, ai sensi del relativo art. 26, comma 1, lett. a), include «la perimetrazione definitiva dell'area naturale protetta».
In tale contesto va richiamato, stante la relativa attinenza, quanto sancito dalla stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 134 del 2020 con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Liguria n. 3 del 2019, nella parte in cui andava a modificare con legge regionale i confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell'Antola, dell'Aveto e del Beigua.
A giudizio della Consulta, ognuna di queste variazioni, "non è stata affidata a modifiche del piano del parco, alle quali avrebbero potuto partecipare i rappresentanti degli enti locali, ma è avvenuta direttamente con legge, e deve perciò osservare il medesimo procedimento seguito dal legislatore ai fini della perimetrazione provvisoria dei confini, ai sensi dell'art. 22 della legge quadro, compresa la interlocuzione con le autonomie locali".
Attraverso, dunque, le censurate disposizioni recate dalla legge regionale in esame la Regione si propone di modificare d'imperio i confini dei Parchi naturali regionali interessati, eludendo le previste procedure di revisione del piano del parco, attraendo così a sé interamente il governo delle aree protette, che viene sottratto agli Enti Parco previsti dalla legge statale n. 394/1991.
D’altro canto, pur nel prendendere atto - per come rappresentato dalla Regione - che la "modifica del perimetro" operata con la legge regionale in oggetto con riferimento al Parco regionale dell'Appia Antica (art. 81) risulta essere stata realizzata attraverso le prescritte procedure di consultazione e partecipazione pubblica di cui all'art. 22, comma 1, lett. a), della legge quadro n. 394 del 1991, nondimeno, la lettera della norma stessa non rende chiaro siffatto aspetto istruttorio, che risulta fondamentale al fine di misurare le ricadute della disposizione di legge in termini, ad esempio di prevalenza sulla pianificazione urbanistica e paesaggistica.
Al riguardo la sopra richiamata sentenza della Corte Costituzionale 134/2021 chiarisce che «dall'art. 23 della legge quadro si evince che il legislatore può limitarsi alla perimetrazione provvisoria dei confini con la legge istitutiva del parco regionale» essendo «implicito nel sistema legislativo statale che la perimetrazione definitiva possa essere affidata dalla legge regionale ad una fase procedimentale successiva, ed in particolare al piano del parco».
La successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 267/2021, nell'inserirsi del solco della precedente, chiarisce, inoltre, che in base agli articoli 9 e 26 della regionale Lazio n. 29/1997, disciplinanti rispettivamente, 1'Istituzione delle aree naturali protette e il Piano dell'area naturale protetta, «l'ampliamento del parco può essere disposto con legge, che fissa anche le misure di salvaguardia, spettando poi al piano del parco di precisare la disciplina della nuova area tutelata; ma se, come nel caso in esame, non si dà luogo ad una ampliamento ma, bensì, ad una riduzione dell'area del parco, e se dunque, la legge non detta misure di salvaguardia che possano esse successivamente tradotte nel piano del parco, la legge stessa di "modifica del perimetro" si appalesa non legittima.
Una modifica, quindi, che, come per quel che occupa, comporti la riduzione del perimetro di un'area protetta non può avvenire attraverso la mera previsione di una norma regionale, ma solo attraverso l'approvazione di un aggiornamento al piano del parco, non sussistendo in tal caso l'imposizione delle misure di salvaguardia previste dall'art. 6 della legge n. 394 del 1991, stante l'erroneità concettuale e sistematica della ipotizzata equivalenza della modifica (del "perimetro") operata appunto con legge regionale, rispetto al procedimento di riperimetrazione attuato attraverso l'approvazione del Piano del Parco, in ossequio alle procedure prescritte dall'art. 23, della legge quadro n. 394 del 1991.
Quanto sopra, tenuto, altresì, conto delle sopra richiamate ricadute, discendenti e consequenziali, anche in tema di valutazione ambientale strategica e di valutazione di incidenza, in considerazione dell'obbligo di relativa assoggettabilità (anche solo nella forma della verifica di assoggettabilità o dello screening di incidenza) cui soggiace, in quanto tale, il piano del parco, ma non anche le misure di salvaguardia che, rivestono, invece, carattere normativo e non pianificatorio nonché di assoluta provvisorietà, risultando, tra l'altro, attivabili, solo qualora le regioni individuino nuove “aree da proteggere”) e, fra l'altro, «in caso di necessità ed urgenza», non rinvenibili, tra l'altro, nel caso che occupa.
Alla luce di quanto sopra indicato, l’art. 81 della legge regionale in esame è illegittimo per violazione del secondo comma, lettera s), dell’art. 117, Cost., in quanto contrastante con gli standard di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema posti dal legislatore statale, con la normativa sopra indicata, in materia di revisione e tutela delle aree naturali protette.
§§§
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, la legge regionale in parola, nell’articolo sopra indicato, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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