Dettaglio Legge Regionale

Norme urgenti in materia di ambiente, di energia, di infrastrutture e di contabilità. (6-2-2018)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.3 del 6-2-2018
n.7 del 14-2-2018
Politiche infrastrutturali
10-4-2018 / Impugnata
La legge regionale, che detta norme urgenti in materia di ambiente, di energia, di infrastrutture e di contabilità eccede dalle competenze riconosciute alla Regione Friuli Venezia Giulia dallo Statuto speciale di autonomia, Legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.1 e successive modifche e integrazioni, relativamente alle norme sotto indicate, per le motivazioni di seguito specificate.

1. L’art. 4, alla lett. p), prevede quanto segue: «dopo il comma 7 dell’art. 36 sono aggiunti i seguenti: “comma 7 bis-qualora sul territorio regionale si configuri una situazione di deficit idrico, il Presidente della regione, sulla base dei dati rilevati e di quelli forniti dalla Direzione centrale competente in materia di risorse agricole, con decreto di cui è data pubblicazione sul sito istituzionale della Regione, in via d’urgenza: a) dichiara lo stato di sofferenza idrica; b) individua le riduzioni temporanee del deflusso minimo vitale, commisurate all’entità del deficit idrico. 7ter – le riduzioni temporanee di cui al comma 7bis, lettera b), si applicano alle derivazioni d’acqua per utilizzo irriguo in esercizio lungo i corsi d’acqua dei fiumi Tagliamento e Isonzo e dei torrenti Torre, Meduna, Cellina e Judrio».
Si premette che il quadro nazionale normativo e regolamentare ha individuato i soggetti cui è demandata la gestione delle acque e, per quanto rilevante in questa sede, l’esercizio delle funzioni tecniche relative alla determinazione dei livelli di deflusso minimo vitale. In particolare, si tratta dell’art. 95, comma 4, del D.Lgs. n. 152/2006, ai sensi del quale tutte le derivazioni di acqua «comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall'Autorita' (di bacino) concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione». Si tratta di una disposizione adottata dallo Stato in virtù dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., con finalità di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», che ha attribuito, in virtù dell’art. 118, primo comma, Cost., le funzioni amministrative de quo alle Autorità di bacino.
Nel contesto della disciplina statutaria le derivazioni d’acqua ricadono nell’ambito della competenza concorrente di cui all’art. 5, comma primo, n. 14). Poiché nel contesto del titolo V della Costituzione devono invece ritenersi ascrivibili alla competenza residuale regionale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., in virtù dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 ciò non può che valere anche per la Regione Friuli-Venezia Giulia. Da qui l’ulteriore conseguenza dell’applicazione del regime ordinario anche con riferimento ai limiti che la potestà legislativa regionale in tema è destinata ad incontrare. Ebbene, la norma che qui si contesta viola proprio i limiti alla potestà legislativa regionale adottati ex art. 117, comma secondo, lett. s), e 118, primo comma, Cost., cui più sopra ci si è riferiti.

2. Il medesimo articolo 4, alla lettera w), ha introdotto nella l.r. n. 11/2015 "Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque" un nuovo comma 3bis dell'art. 50, disponendo che il canone demaniale, dovuto annualmente dai titolari di concessioni di grande derivazione d'acqua ad uso idroelettrico, sia "aumentato nella misura di 40 € per kW" di potenza nominale di concessione, "nei casi in cui l'esercizio delle concessioni [.] sia prorogato ai sensi dell'art. 12, comma 8bis, del D.Lgs. 79/1999".
Tale imposizione di un canone aggiuntivo o maggiorato per la stessa concessione per la quale l'operatore già versa il canone, motivando peraltro la scelta sul fatto che le gare per la riassegnazione delle concessioni giunte a scadenza non siano state indette, risulta contrario ai principi di ragionevolezza e di parità di trattamento, nonché di tutela della concorrenza.
L’imposizione di detto canone, pertanto, contraddice in maniera illegittima il principio comunitario della libera concorrenza, in quanto incide negativamente sui gestori operanti nel territorio della Friuli Venezia Giulia rispetto a quelli di altre regioni.
La disposizione regionale dunque eccede dalle competenze riconosciute alla Regione Friuli Venezia Giulia dallo Satuto speciale di autonomia e dalle relative norme di attuazione , in quanto viola gli articoli 3, 97 e 117, secondo comma lettera e) della Costituzione.
La previsione di un canone aggiuntivo o comunque maggiorato, imposto in assenza di una corrispondente controprestazione a favore dell'operatore, si pone infatti in contrasto con la norma contenuta ne comma 8bis dell'art. 12 del D.Lgs. 79/1999 , secondo cui “Qualora alla data di scadenza di una concessione non sia ancora concluso il procedimento per l'individuazione del nuovo concessionario, il concessionario uscente proseguirà la gestione della derivazione, fino al subentro dell'aggiudicatario della gara, alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal disciplinare di concessione viventi": La citata norma statale seppure richiamata dalla disposizione regionale in parola è violata nella sostanza, poiché impone una modifica -nettamente peggiorativa- della principale e più rilevante condizione economica di esercizio della concessione, ossia la quantificazione del canone demaniale, a parità di acqua utilizzata.Versando in materia di tutela della concorrenza non rileva la competenza della Regione in materia di demanio idrico trasferito alla regione ai sensi dell’arti. 1 del dlgs n. 265/2001.
La Corte Costituzionale ha affermato che "una situazione di fatto [quale il ritardo nell'indizione delle gare per la riassegnazione delle concessioni idroelettriche - n.d.r.] non potrebbe giustifi¬care una alterazione del riparto delle competenze legislative sancito dall'art. 117 Cost." (sent. n. 339/2011). Tanto più che il legislatore statale è intervenuto in tema di canoni per le concessioni idroelettriche, affermando che deve essre lo Stato a dettare, a fini di "omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione idroelettrica" e "parità di trattamento tra gli operatori economici [...] criteri generali per la determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad use idroe¬lettrico" (art. 37 comma 7 legge 134/2012), principio generale che appare leso dalla norma regionale in esame.
Come sopra detto, risulta violata in primis la competenza esclusiva statale in materia di concorrenza, poichè "disposizioni" quale il richiamato art. 37 comma 7 legge 134/2012 cit. "mirano ad agevolare l'accesso degli operatori economici al mercato dell'energia secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale, regolando le relative procedure di evidenza pubblica con riguardo alla tempistica delle gare e al contenuto dei relativi bandi (commi 4, 5, 6 e 8), nonche all'onerosità delle concessioni messe a gara (comma 7). Tali norme rientrano nella materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.)" (così, nettamente, la Corte costituzionale n. 28/2014). In proposito, la Consulta ha inoltre recentemente ribadito (sent. 101/2016) che il legislatore regionale, dettando una disciplina in tema di prosecuzione dell'esercizio delle concessioni idroelettriche scadute, al fine di garantire la continuità della produzione per i tempi necessari per espletare le gare, non incorre nella censura di illegittimita costituzionale solo se non devia "per alcun profilo [...1 dal binario fissato dal legislatore statale". Al contrario, la norma regionale in esame, nel preve¬dere un canone aggiuntivo o comunque maggiorato per le concessioni scadute, devia nettamente dal binario fissato dall'art. 12 comma 8 bis del D.Lgs. 79/1999, secondo il quale il concessionario deve continuare ad operare alle stesse condizioni anteriori alla scadenza, cosi come sancite negli atti concessori vigenti, condizioni tra cui rileva l'importo del canone.
Va infine evidenziato come la norma regionale in esame sia nella sostanza meramente reiterativa della norma già introdotta dalla stessa Regione con l.r. n. 31/2017 (art. 4, comma 24, che introdusse un nuovo art. 61bis nella l.r. 11/2015), e che la Regione medesima si era impegnata -con propria nota del 5 ottobre 2017- ad abrogare a seguito di osservazioni formulate dal Governo. Seppure, formalmente, il citato articolo 61 bis sia stato abrogato (dall'art. 18 della stessa l.r. n. 3/2018), la Regione ne ha contestualemente reiterato la sostanza, non potendo considerasi soddisfacente il mero richiamo alla norma statale di cui all’art. 12, comma 8bis del D.Lgs. 79/1999, quando la disposizione in esame con essa sostanzialmente confligge, visto che il presupposto affermato dal principio fondamentale citato secondo cui debbono restare "ferme le condizioni stabilite dalle vigenti normative e dal disciplinare di concessione", viene disatteso nel momento in cui viene variata in senso sostanziale la principale di tali condizioni, imponendo un nuovo canone, aggiuntivo e maggiorato.

3. L’ art. 14, in materia di impianti di distribuzione dei carburanti, prevede che, ai fini della decadenza del provvedimento autorizzativo e l’eventuale chiusura e la rimozione, sono considerati in condizioni di incompatibilità territoriale o di inidoneità tecnica gli impianti di distribuzione dei carburanti che non presentino al Comune il programma di adeguamento o di chiusura dell'impianto entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge regionale. Tale previsione si pone in contrasto con le norme nazionali introdotte dalla L. n. 124 del 4 agosto 2017 ,“Legge annuale per il mercato e la concorrenza”, che ha introdotto delle disposizioni in materia di incompatibilità degli impianti di distribuzione dei carburanti ( art. 1, commi da 100 a 119 ) , che hanno valenza di norme in materia di concorrenza e di sicurezza stradale, materie a legislazione esclusiva statale, anche con riguardo alle disposizioni statutarie regionali. La normativa regionale, nel prevedere quale condizione di incompatibilità la mancata presentazione di un programma di adeguamento o di chiusura dell’impianto entro due anni, contrasta con le previsioni della citata norma statale la quale, all’articolo 1, comma 102 della citata legge n. 124/2017, fissa i tempi dell’adeguamento con modalità differenti e più stringenti sotto il profilo temporale, benché prorogati con l’art. 1 comma 1132 della L. 27 dicembre 2017 n. 205.
A ciò aggiungasi che in data 8 marzo 2018 è stato sottoscritto, in Conferenza Unificata Governo – Regioni – Province Autonome ed Enti locali, un Accordo ai sensi degli art. 4 e 9 del d.Lgs. n. 281/1997, per l’attuazione dell’art. 1 commi 100/119 della L. n. 124/2017 in materia di carburanti, Tale accordo ha sancito l’impegno di tutti i soggetti contraenti ad implementare la concorrenzialità del mercato dei carburanti, estendendo e rendendo operabile l’Anagrafe dei carburanti.
La disposizione regionale in esame, facendo slittare il termine di adeguamento degli impianti in parola inficia l’intento di uniformare la materia su tutto il territorio nazionale, provocando squilibri concorrenziali. Essa eccede dunque dalle competenze regionali andando a violare l’articolo117, secondo comma lettera e) che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza.


4. L’art. 15, comma 1, dispone: «Al comma 1 dell'articolo 6 della legge regionale 21 luglio 2017, n. 29 (Misure per lo sviluppo del sistema territoriale regionale nonché interventi di semplificazione dell'ordinamento regionale nelle materie dell'edilizia e infrastrutture, portualità regionale e trasporti, urbanistica e lavori pubblici, paesaggio e biodiversità), le parole ", coerenti con le previsioni del programma d'intervento di cui all'articolo 4, da attuare nei canali e nelle vie di navigazione interna appartenenti al demanio regionale" sono soppresse».
Il testo oggi vigente dell’art. 6 della legge regionale n. 29 del 2017, dunque, prevede che «per gli interventi di dragaggio manutentivi, che risultano finalizzati al ripristino delle preesistenti condizioni di navigabilità in sicurezza, le procedure autorizzative (siano) circoscritte alla sola acquisizione delle verifiche e dei pareri necessari al conferimento e al riutilizzo dei materiali nel rispetto della vigente normativa di valenza ambientale e sanitaria». Per effetto del nuvum introdotto dalla disposizione che qui si contesta, dunque, l’applicabilità della procedura semplificata disciplinata nell’art. 6 citato – che limita, come si è visto, alla «sola acquisizione delle verifiche e dei pareri necessari al conferimento e al riutilizzo dei materiali» - è estesa anche alle operazioni da svolgersi in mare. L’applicabilità di tale norma a tali operazioni è attestata dagli espliciti riferimenti in tal senso contenuti nell’art. 1, comma 1, nell’art. 2, e nel Titolo II della menzionata legge n. 29.
Le operazioni di dragaggio in mare, tuttavia, sono disciplinate dall’art. 109 del d.lgs. n. 152 del 2006, che pone una serie di precetti a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema nel peculiare settore considerato. Qui rileva, in particolare, il comma 2 di tale disposizione, prevede quanto segue: «L’autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a), è rilasciata dalla regione, fatta eccezione per gli interventi ricadenti in aree protette nazionali di cui alle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n. 394, per i quali e' rilasciata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in conformita' alle modalita' stabilite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e forestali, delle attivita' produttive previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto». Alla disposizione appena citata è stata data attuazione con il decreto 15 luglio 2016, n. 173, che contiene il «Regolamento recante modalità e criteri tecnici per l'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini».
Ebbene l’effetto principale della disposizione che qui si contesta è quello di impedire la piena applicazione dell’art. 109 del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché del citato decreto attuativo, alle operazioni da svolgersi in mare. Tale effetto determina la violazione di norme poste dallo Stato nell’esercizio della propria competenza in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Si noti, peraltro, che le norme statali adottate in virtù di questo titolo non possono non essere considerate alla stregua di “norme di grande riforma economico-sociale”, che – ai sensi dell’art. 4, comma primo, dello Statuto speciale di autonomia della Regione Friuli-Venezia Giulia – vincolano anche l’esercizio della potestà legislativa regionale primaria. Di conseguenza, anche riconducendosi la disposizione che qui si contesta alla materia «lavori pubblici di interesse regionale e locali» di cui all’art. 4, comma primo, n. 9, dello Statuto, la conclusione sopra ne rimane confermata.

5. L’art. 16, comma 1, della legge in oggetto stabilisce quanto segue: «L’attingimento di acque superficiali a mezzo di dispositivi fissi di cui all’art. 40, comma 2, della L. R. 11/2015, esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, è soggetto ad autorizzazione in sanatoria rilasciata dal Comune, previa presentazione dell’istanza di sanatoria entro il 31 dicembre 2018. In tal caso non si applica la sanzione prevista dall’art. 56, comma 12 della L. R. 11/2015».
La disposizione in parola si pone in radicale contrasto con quanto previsto dall’art. 96, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale disciplina la fattispecie della sanatoria limitandola al periodo precedente il 30 giugno 2006, e prevedendo per il periodo successivo a tale data l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 17, comma 3, del RD 1775 del 1933 ai casi di abusiva derivazione o abusiva utilizzazione di acqua pubblica.
Da quanto precede segue la violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., senz’altro invocabile in questa sede nei confronti della Regione speciale Friuli-Venezia Giulia in base all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, per le medesime ragioni esposte al punto 1.

Per questi motivi la legge regionale - limitatamente alle disposizioni sopra censurate - deve essere impugnata dinanzi alla Corte costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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