Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I. (11-8-2017)
Sicilia
Legge n.16 del 11-8-2017
n.35 del 25-8-2017
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale
Con delibera del Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2017 è stata impugnata la legge della Regione Sicilia n. 16 dell’11 agosto 2017, pubblicata sul B.U.R n. 35 del 25 agosto 2017, recante: “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I”.

Tra le disposizioni impugnate figurava l’articolo 12, comma 3, il quale prevedeva che, con decreto dell'Assessore regionale per le autonomie locali e la funzione pubblica, previa deliberazione della Giunta Regionale, si potessero predeterminare i criteri per la selezione del personale, i profili professionali e relativi trattamenti economici del personale dell'Ufficio stampa presso la Presidenza della Regione.

La disposizione regionale, prevedendo una procedura al di fuori di quella contemplata per il restante personale del comparto regionale, si poneva in contrasto con le disposizioni contenute nel titolo III (Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale) del decreto legislativo n. 165/2001 e, conseguentemente con l'art. 117, lett. l), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile. Inoltre, la disposizione regionale violava il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. sia rispetto al restante personale della Regione Siciliana sia rispetto al personale delle altre Regioni italiane, nonché con i principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione di cui all'art. 97 Cost.

La Regione Sicilia ha successivamente soppresso la disposizione impugnata dal Governo con legge regionale dell’8 maggio 2018, n. 8, articolo 93, comma 1, determinando il venir meno del ricorso innanzi alla Corte Costituzionale.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha espresso parere favorevole in merito alla rinuncia dell’impugnativa dell’articolo 12, comma 3.

Considerato, pertanto, che appaiono venute meno le ragioni che hanno determinato l'impugnativa della disposizione sopra indicata, sussistono i presupposti per rinunciare al ricorso nei confronti della stessa.

Si propone pertanto la rinuncia parziale all'impugnativa della legge della Regione Sicilia indicata in oggetto (L.R. n. n. 16 dell’11 agosto 2017) limitatamente all’articolo 12, comma 3.

Permangono ancora validi gli ulteriori motivi di impugnativa deliberati dal Consiglio dei Ministri in data 24 ottobre 2017.
24-10-2017 / Impugnata
La legge della Regione Sicilia n. 16 pubblicata sul B.U.R n. 35 del 25/08/2017 recante: “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I.” presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento a molteplici disposizioni ed eccede dalle competenze statutarie per i motivi di seguito illustrati.

Articolo 12 - prevede che l'Ufficio stampa e documentazione della Regione presso la Presidenza della Regione è un Ufficio alle dirette dipendenze del Presidente della Regione ed il comma 3 indica che "i criteri per la selezione del personale, i profili professionali e relativi trattamenti economici sono predeterminati con decreto dell'Assessore regionale per le autonomie locali e la funzione pubblica, previa deliberazione della Giunta Regionale adottata su proposta dell'Assessore medesimo e previa contrattazione collettiva con la Federazione nazionale della Stampa Italiana firmataria del CCNL dei giornalisti".
Al riguardo, il recente atto di indirizzo per la riapertura dei tavoli di contrattazione a firma del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione trasmesso all'ARAN e ai Comitati di settore in data 6 luglio 2017 prevede espressamente che il tema del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni potrà essere affrontato in sede di rivisitazione dei sistemi di classificazione professionale.
Ciò posto, la disposizione regionale in esame, prevedendo una procedura al di fuori di quella prevista per il restante personale del comparto regionale, si pone in contrasto con le disposizioni contenute nel titolo III (Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale) del decreto legislativo n. 165/2001 e, conseguentemente con l'art. 117, lett. l), della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi). Inoltre, la disposizione regionale contrasta con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. sia rispetto al restante personale della Regione Siciliana sia rispetto al personale delle altre Regioni italiane, nonché con i principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione di cui all'art. 97 Cost.
La norma contrasta, peraltro, con il consolidato orientamento della Corte Costituzionale, la quale ha ribadito più volte che la disciplina del trattamento economico dei pubblici dipendenti è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. Il Giudice delle leggi, con sentenza n. 189 del 2007, ha già dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione analoga (art. 58, comma 1, della legge della Regione Siciliana 18 maggio 1996, n. 33) nella parte in cui prevedeva che il contratto nazionale di lavoro giornalistico si applicasse anche ai giornalisti appartenenti agli uffici stampa degli enti locali. Secondo la Corte, la norma confliggeva con il generale principio secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici, il cui rapporto di lavoro è stato "privatizzato", deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva. Tale principio di diritto privato - fondato sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati - si pone quale limite anche della potestà legislativa esclusiva che lo statuto di autonomia speciale attribuisce alla Regione Siciliana all'art. 14, lettera o), in materia di "regime degli enti locali" e lettera q) in materia di “stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione” (Corte costituzionale sentenze n. 95/2007, n. 106/2005, n. 282/2004, sull’esigenza di uniformità dei rapporti di lavoro tra privati; sentenze n. 308/2006 e n. 314/2003, sul principio della regolazione mediante contratti collettivi del trattamento economico dei dipendenti pubblici privatizzati che si impone anche alle Regioni a statuto speciale) .

Articolo 17 - rubricato "Esenzione ticket per minori affidati all’autorità giudiziaria” introduce una serie di modifiche alla legge regionale 14 aprile 2009, n. 5, ampliando la categoria degli aventi diritto all’esenzione dal ticket per motivi di reddito, mediante l'inclusione anche dei minori affidati per disposizione dell’autorità giudiziaria a famiglie ospitanti e dei minori in adozione, per un periodo iniziale di presa in carico pari ad anni due.
La normativa nazionale attualmente in vigore non prevede alcun tipo di esenzione specifica in tal senso. Il riferimento va, nel dettaglio, all'art. 8, comma 16, della legge n. 537 del 1993 e s.m.i., a norma del quale “sono esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria di cui ai commi 14 e 15 i cittadini di età inferiore ai sei anni e di età superiore a sessantacinque anni, appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo riferito all'anno precedente non superiore a lire 70 milioni”. Ne deriva che, tra gli altri , sono esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria i cittadini di età inferiore ai sei anni, in quanto appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo, riferito all’anno precedente, non superiore alla soglia ivi indicata. Pertanto, pur nella consapevolezza della oggettiva difficoltà di individuare un nucleo fiscale di appartenenza per i minori affidati a comunità alloggio, sottratti di fatto alla potestà genitoriale e affidati a strutture ospitanti, si riconosce l’esenzione dal ticket ove di età inferiore a sei anni.
Proprio sulla scorta di tale interpretazione sono stati superati i rilievi mossi, in sede di Comitato LEA in ordine a quanto previsto dall’articolo 30 , comma 2, l.r. n. 5/2009 che la legge regionale in esame, come detto, modifica.
In sostanza la Regione introducendo l’ articolo 17 della legge in esame, supera la richiamata interpretazione, finendo per ampliare ulteriormente il novero degli aventi diritto all’esenzione attraverso l’inclusione anche di quei minori per i quali il nucleo fiscale di appartenenza è facilmente individuabile.
Inoltre è da considerare che i minori di anni sei dati in affidamento o in adozione entrano a fare parte del nucleo fiscale dei genitori affidatari/adottivi e, pertanto, godono delle stesse detrazioni fiscali previste per i figli legittimi/naturali, alle medesimi condizioni reddituali.
Ne consegue che il diritto all’esenzione riconosciuto dalla normativa in esame si configura come un ulteriore livello di assistenza sanitaria e come tale non previsto dal DPCM 12 gennaio 2017, recante “definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’art. 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502” che, peraltro la Regione Sicilia, essendo impegnata nel piano di rientro del disavanzo sanitario non può garantire, neppure con risorse di natura sociale, come riconosciuto dalla sentenza n. 104 del 2013 della Corte Costituzionale.
Le regioni impegnate nei Piani di Rientro dal disavanzo sanitario sono sottoposte al divieto di effettuare spese non obbligatorie ai sensi dell’articolo 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, come la stessa Corte Costituzionale ha rimarcato nella sentenza n. 104 del 2013.
Per le motivazioni addotte l’art. 17 della legge regionale in esame nel disporre l’assunzione a carico del bilancio regionale di oneri aggiuntivi per garantire ulteriori livelli di assistenza supplementare eccede dalle competenze statutarie di cui agli articoli 14 e 17 e viola il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio di coordinamento della finanza pubblica e conseguentemente contrasta con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Si riporta stralcio della sentenza n. 77/2015: “La Corte ha di recente ribadito, , proprio con riguardo alla Regione siciliana (sentenza n. 46 del 2015), che, di regola, i principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalla legislazione statale si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (sentenze n. 36 del 2004; in seguito, sentenze n. 54 del 2014, n. 229 del 2011, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 353 del 2004)”

Articolo 23 - autorizza l'Assessore regionale per l'energia ad emanare un bando per la concessione dei contributi ai comuni per la redazione del Piano Comunale amianto e per gli interventi finalizzati alla rimozione e smaltimento dei manufatti in amianto. Per tali finalità per l'esercizio 2017 è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro a valere sul Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020.
Si osserva che con delibera CIPE n. 26/2016 a valere sul predetto Fondo 2014-2020 sono state assegnate alla Regione Siciliana 2.320,4 milioni di euro per l'attuazione degli interventi inseriti nel Patto per il Sud. Tuttavia, tra gli interventi ivi previsti non sembra ricompreso quello di cui all'articolo in oggetto. Pertanto, non sussistendo la copertura ivi indicata, la disposizione comporta una violazione dell’articolo 81, terzo comma Cost. ed eccede dalle competenze statutarie di cui agli articoli 14 e 17.

Articolo 26 - la disposizione istituisce un fondo a sostegno delle imprese e/o per favorire la loro defiscalizzazione, introducendo, così, una misura rilevante ai fini della normativa europea e nazionale in tema di aiuti di stato; infatti, l'efficacia della norma non risulta subordinata all'autorizzazione della Commissione Europea, ai sensi degli artt. 107 e 108 del TFUE. Inoltre, con riferimento alle risorse del FSC 2014-2020, indicate come copertura finanziaria dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 2 dell’articolo in esame, si osserva che con delibera CIPE n. 26/2016 a valere sul FSC 2014-2020 sono state assegnate alla Regione Siciliana 2.320,4 milioni di euro per l'attuazione degli interventi inseriti nel Patto per il Sud.
Tra gli interventi ivi previsti, tuttavia, non è ricompreso quello di cui all'articolo in oggetto. Pertanto, non sussistendo la copertura ivi indicata, la disposizione regionale viola sia l’articolo 81, terzo comma Cost. sia l’articolo 117, primo comma, laddove stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali ed eccede dalle competenze di cui agli articoli 14 e 17 dello Statuto della Regione Sicilia.

Art. 34 - Tale disposizione, nel modificare l'articolo 19, comma 1, della precedente legge regionale n. 24 del 2016, aggiunge dopo le parole "mancato ravvedimento", l'inciso “per il triennio 2017-2019". Attraverso l'introduzione del predetto riferimento temporale, viene circoscritta al triennio 2017-2019 l'efficacia della previsione contenuta nell'articolo 19, comma 1, della legge n. 24 del 2016, fatta oggetto di impugnativa costituzionale per violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), 3, 23, 53 e 97 della Costituzione come da delibera del Consiglio dei Ministri del 2 febbraio 2017.
Tale norma, infatti, ha introdotto, in relazione alla tassa automobilistica regionale, una procedura atipica di riscossione, consistente nella diretta iscrizione a ruolo delle somme dovute in caso di mancato ravvedimento da parte del contribuente. Risulta, così, omessa la fase dell'accertamento e ridotte le garanzie a favore del contribuente previste in questa fase del procedimento impositivo, prodromica alla riscossione coattiva.
L'attuale intervento messo in atto con l’art. 34 della legge in parola, in pendenza del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, seppur apprezzabile nella sua finalità di limitare la durata di tale previsione, non appare idoneo a superare i motivi di impugnativa.
Pertanto anche tale disposizione si impugna per le medesime ragioni di cui al predetto art. 19, comma 1. Con tale disposizione è stato introdotto all'articolo 2 della precedente legge regionale n. 16 del 2015 (Norme in materia di tasse automobilistiche), un comma 2 bis che prevedeva che "…in caso di mancata ravvedimento, la Regione provvede, ai sensi dell'articolo 12 del DPR 29 settembre 1973, n. 602, sulla base delle notizie occorrenti per l'applicazione del tributo e per l'individuazione del proprietario del veicolo… all'iscrizione a ruolo delle somme dovute che costituisce accertamento per l'omesso, insufficiente o tardivo versamento della tassa automobilistica e l'irrogazione delle sanzioni e dei relativi accessori"
La procedura delineata dalla norma regionale n. 24/2016 — che fa coincidere l'accertamento per l'omesso, insufficiente o tardivo versamento della tassa automobilistica e l'irrogazione delle sanzioni con la diretta iscrizione a ruolo delle somme dovute, ai sensi dell'articolo 12 del DPR n. 602 del 1973 (norma, questa, espressamente richiamata dal legislatore regionale e che, appunto, disciplina la formazione e il contenuto del ruolo) – recava aspetti di illegittimità costituzionale, in quanto non è consentita né dalla legislazione statale, che disciplina specificamente la tassa automobilistica regionale, né dalle disposizioni generali dell'ordinamento tributario.
Come indicato nella precedente impugnativa, il quadro normativo della materia risulta infatti composto come di seguito indicato:
1) ai sensi dell'articolo 5 comma 52 del decreto legge 953 del 1982, l'azione dell'amministrazione finanziaria per il recupero della tassa auto si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento;
2) l'articolo 23 del decreto legislativo n 504 del 1992, nell'attribuire alle regioni a statuto ordinario il gettito della tassa, attraverso il rinvio al successivo articolo 27, opera a sua volta un rinvio alle norme statali che regolano gli analoghi tributi erariali nelle regioni a statuto speciale (tra cui appunto la Sicilia)
3) l’articolo 17, comma 10, della legge n. 449 del 1997 demanda alle regioni la riscossione, accertamento, il recupero, i rimborsi, l'applicazione delle sanzioni e il contenzioso amministrativo, rinviando alle modalità stabilite con apposito decreto ministeriale;
4) l'articolo 3 del DM n. 418 del 1998, attuativo della predetta norma, e significativamente rubricato "Accertamento, recupero, rimborsi", al comma 1 stabilisce che l’accertamento del regolare assolvimento delle tasse automobilistiche con il conseguente recupero o rimborso sono svolti dalle regioni a mezzo dei propri uffici individuati secondo gli ordinamenti regionali e, il successivo comma 2, poi, precisa che "la riscossione coattiva delle tasse automobilistiche è svolta a norma del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43".
Da tale quadro normativo risulta pertanto evidente che la volontà del legislatore statale è quella di mantenere ferma, anche per la tassa automobilistica regionale, come per gli altri tributi, la distinzione tra le vane fasi del procedimento impositivo, e in particolare, quella tra accertamento e riscossione coattiva. In sostanza, anche per la tassa auto, solo in caso di mancato pagamento spontaneo da parte del contribuente a seguito della procedure di accertamento e alla scadenza dei termini previsti, può essere attivata la fase della riscossione coattiva, mediante iscrizione a ruolo del debito d'imposta, quale fase patologica di applicazione del tribute dovuto.
Come precisato della giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sentenza n. 1658 del 24 gennaio 2013), in ambito tributario la tipizzazione degli atti del procedimento impositivo, peraltro secondo una scansione cronologica precisa, assume un rilievo essenziale, in quanto funzionale all'esigenza dello Stato di riscuotere i crediti tributari. Peraltro, quando il legislatore tributario ha ritenuto praticabile un percorso diverso e semplificato, in ragione di esigenze di razionalizzazione e di contrasto all'evasione, lo ha fatto adottando specifiche norme, quali quelle contenute nell'articolo 29 del decreto legge n. 78 del 2010, rubricate "Concentrazione della riscossione nell'accertamento", limitandolo comunque solo a determinati tributi e a determinate annualità d'imposta. Al di fuori, dunque, delle ipotesi espressamente delineate dal legislature statale, non è legittimo l’intervento del legislatore regionale di prevedere procedure atipiche di riscossione della tassa automobilistica, omettendo la fase dell'accertamento, quale fase del procedimento impositivo prodromica alla riscossione coattiva, e riducendo cosi le garanzie partecipative in favore del contribuente. La norma regionale si pone pertanto in contrasto anche con le disposizioni a tutela del contribuente contenute nella legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), che, come è noto, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario.
Si evidenzia inoltre che, come più volte chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (da ultimo con le sentenze n. 199 e 242 del 2016), la tassa automobilistica regionale ha natura di tributo proprio derivato, "con tutte le conseguenze che si devono trarre riguardo alla potestà legislativa regionale". Pertanto è inibito al legislatore regionale un qualsiasi intervento che incida su un aspetto della disciplina sostanziale del tributo, riservato alla competenza legislative esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione.
Articolo 43 - la disposizione in esame prevede la costituzione di un Comitato promotore delle "Vie del Vento" composto da delegati del Presidente del libero Consorzio, dai Sindaci dei comuni interessati, da rappresentanti della locale Camera di Commercio e delle aziende le cui attività si svolgono nel territorio attraversato dalle "Vie del Vento". Il regolamento di attuazione è approvato dal Presidente della Regione entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Al riguardo, la disposizione è illegittima nella parte in cui non prevede che il presupposto della partecipazione al Comitato avvenga a titolo gratuito, nel rispetto delle disposizioni contenute nell'art. 6, comma 2, del d.l. n. 78/2010 titolato “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, violando così anche il principio di coordinamento della finanza pubblica sancito all’articolo 117, comma terzo, Cost e le competenze di cui agli articoli 14 e 17 dello Statuto della Regione Sicilia.

Articolo 48 - dispone che i Piani Paesaggistici Territoriali, nell'individuare le specifiche aree di tutela e predisporre le correlate prescrizioni d'uso, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, devono prevedere la possibilità che le opere di pubblica utilità realizzate da enti pubblici o società concessionarie di servizi pubblici e con esclusione dell'impiantistica di trattamento dei rifiuti comprese le discariche, siano realizzabili, previa specifica valutazione da effettuarsi caso per caso della concreta compatibilità con i valori paesaggistici oggetto di protezione, considerando nel complesso del progetto anche le possibili soluzioni in grado di ridurre, compensare o eliminare le eventuali incompatibilità.
La previsione del comma 1 esclude, per legge, la possibilità della cosiddetta “opzione zero” in sede di valutazione della compatibilità paesaggistica della realizzazione, in aree vincolate, di una eterogenea pluralità di “opere di pubblica utilità”, riducendo il potere autorizzativo alla sola prescrizione di modalità di mitigazione dell'impatto dell'opera sul paesaggio.
In sostanza, opere di potenziale forte impatto paesaggistico, quali i parchi eolici, gli impianti per produzione di energia idroelettrica, ma anche opere di ricettività turistico-alberghiera che fossero qualificate di pubblica utilità dalla legislazione regionale, risulterebbero, in base alla norma in esame, già autorizzate ex lege nel "se" possano essere realizzate, con svuotamento della pur necessaria autorizzazione paesaggistica (a valle del piano paesaggistico), in tal modo vincolata ad assentire l'intervento e, come detto, ridotta alla esclusiva possibilità di dettare misure di mitigazione.
Tale previsione svuota di contenuto reale il controllo di tutela paesaggistica riservato in tutta la sua pienezza, con norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell'art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, alla competenza tecnico-scientifica degli uffici amministrativi preposti alla tutela paesaggistica.
La disposizione regionale in esame viola, altresì, la norma di grande riforma economico sociale contenuta nell'art. 143 del codice, che, nel dettare i contenuti possibili del piano paesaggistico, non prevede affatto una tale limitazione al potere di autorizzazione paesaggistica.
Il comma 2 stabilisce che la procedura di valutazione è avviata con istanza avanzata dal proponente l’opera all’Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identità siciliana. La valutazione si conclude entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza ed è espressa con delibera della Giunta regionale, su proposta dell’assessore regionale per i beni culturali e l'identità siciliana.
Merita censura, altresì, la norma in esame, che attribuisce all'organo politico - la Giunta regionale su proposta dell'Assessore regionale - la decisione sull'istanza avanzata dal proponente, sottraendo tale potere alla competenza naturale degli organi tecnici di valutazione di compatibilità ambientale degli interventi progettati.
E' noto che le disposizioni di cui agli articoli 143 e 146 del codice sono state qualificate come norme di grande riforma economico-sociale (cfr. Corte Costituzionale, sentenze n.164 del 2009, n. 238 del 2013 e n. 210 del 2014). Esse, in quanto tali, si impongono anche alla potestà legislativa primaria delle Regioni ad autonomia speciale.
Con il successivo comma 3 "Le opere di cui al comma 1 nonché le attività estrattive che, prima della data di adozione dei singoli Piani Paesaggistici Territoriali, abbiano già ricevuto il nulla osta, pareri favorevoli o autorizzazioni comunque denominate da parte di una Amministrazione regionale o locale competente in materia di tutela paesaggistico territoriale ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004. ovvero per i quali la Regione abbia già rilasciato atti di intesa allo Stato, possono essere realizzate nel rispetto dei tempi, delle forme e delle modalità ivi previste, senza ulteriori valutazioni.”
Se le disposizioni ivi contenute al comma 3 dell’art. 48, fossero riferibili esclusivamente ad opere pubbliche dello Stato, per le quali lo Stato abbia chiesto l'intesa ai sensi della legislazione vigente, allora il comma non presenterebbe profili di criticità. Diversamente, ove, invece, esse fossero riferibili a tutte le opere del comma 1 e alle attività estrattive, anche proposte da privati o da altri soggetti diversi dallo Stato; non essendo agevole comprendere se il testo si risolva in una mera salvezza dei procedimenti autorizzatori già conclusi (nel qual caso nulla quaestio), la norma è censurata come incostituzionale per violazione dell'art. 146 del codice laddove intenda derogare al regime ordinario e disporre per legge la conclusione favorevole anche di procedimenti ancora in itinere.
Conclusivamente, per le esposte ragioni, l’articolo 48 viola il Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. 42/2004 e l’art. 9 e art. 117 lett. s) Cost. e l’art. 14 dello Statuto della Regione, che sebbene affidi alla Regione legislazione esclusiva in materia di tutela del paesaggio (lett. n), stabilisce che la stessa debba esercitarla nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica.

Articolo 50 - la previsione secondo cui "I canoni per l'utilizzo del demanio marittimo, ivi compresi i canoni ricognitori, non sono dovuti per lo svolgimento di feste religiose o civili riconosciute dalla Regione" viola la Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all'articolo 117, terzo comma. Cost., alla luce sia del Codice della Navigazione, che non contempla ipotesi di utilizzo gratuito del demanio marittimo da parte di privati - prevedendo, tutt'al più, un canone ricognitorio nelle concessioni per fini di beneficenza e per altri fini di pubblico interesse, ai sensi dell'articolo 39, secondo comma, del Codice della Navigazione - sia del principio di ragionevolezza, atteso che la prevista non debenza dei canoni, anche ricognitori, appare misura generalizzata e non limitata alle sole concessioni che, laddove interessate dallo svolgimento delle feste in discorso, potrebbero subire un pregiudizio per l'ordinario svolgimento dell' attività di impresa.
Si fa rinvio a quanto detto in ordine alle censure di cui all’articolo 17.

Articolo 54 - l'articolo in esame, che aggiunge il comma 2-ter e 2-quater all'articolo 90 della legge regionale 3 maggio 2001, n. 6, definisce e qualifica l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) quale ente del settore sanitario di cui al comma 3 dell'articolo 4 della legge regionale 14 maggio 2009, n. 6 e successive modifiche ed integrazioni e di cui alla legge regionale 29 dicembre 2008, n. 25. In merito, nel rappresentare che l'Agenzia non svolge attività prettamente o prevalentemente sanitaria, tale previsione è in contrasto con gli articoli 1, 3 e 4 del decreto legislativo n. 502/1992, che non prevede tale tipologia di ente quale ente del Servizio Sanitario Nazionale. Pertanto, l'articolo si pone in contrasto con l'articolo 117, terzo comma, in materia di tutela della salute e di coordinamento della finanza pubblica, come sopra evidenziato in merito alle censure di cui all’art. 17 e con l'articolo 81 della Costituzione in quanto suscettibile di generare oneri a carico del SSN non quantificati e non coperti ed eccede dalle competenze statutarie di cui all’articolo 17, lett. b) e c).

Articolo 55 - dispone, ai fini della riqualificazione professionale del personale dipendente, l'applicazione del Contratto collettivo nazionale di lavoro Sanità al personale dipendente dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, ivi compreso il personale in comando, e la conseguente applicazione di tutti gli istituti contrattuali.
Al riguardo, si evidenzia preliminarmente che già l'art. 90 della Legge Regionale n. 6/2001, nel disciplinare l'istituzione dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, dispone al comma 2-bis che "al personale dell'Agenzia, ivi comprese le figure dirigenziali, si applica il Contratto collettivo nazionale del servizio sanitario".
Premesso ciò, si rileva che la previsione in esame, laddove include anche il personale in posizione di comando nell'ambito applicativo del CCNL Sanità, non appare coerente con la normativa vigente in materia di comando ed in particolare con il disposto normativo di cui all'art. 70, comma 12, del d.lgs. n 165/2001, secondo cui "In tutti i casi, anche se previsti da normative speciali, nei quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia finanziaria sono tenute ad autorizzare la utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l'amministrazione che utilizza il personale rimborsa all'amministrazione di appartenenza l'onere relativo al trattamento fondamentale".
Pur nella consapevolezza che l'articolo 90 della legge regionale n. 6 del 2001, come modificato dall'articolo 94, comma 1, lettera a), della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4, già prevedeva l'applicazione al personale dell'Arpa del Contratto collettivo nazionale del servizio sanitario, l'articolo 55, nella sua formulazione letterale, si pone in contrasto con l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nella parte in cui individua il comparto di riferimento del personale de quo in violazione delle disposizioni contenute nel titolo III (Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale) del decreto legislativo n. 165/2001. Infatti, come costantemente affermato dalla Corte costituzionale, sono lesive della competenza esclusiva dello Stato nella materia dell'ordinamento civile le norme regionali contenenti l'individuazione della disciplina giuridica ed economica dei dipendenti regionali, anche laddove siano meramente ripetitive di clausole contrattuali collettive. Secondo il consolidato orientamento del Giudice delle leggi (ex multis, Corte costituzionale sentenze nn. 151/2010, 7/2011, 77/2011, 286/2013 e 61/2014), infatti, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei pubblici dipendenti è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile (articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione). Eccede, peraltro anche dalla competenza di cui agli articoli 14 e 17 dello Statuto della Regione.

Art. 56 nel sostituire l’art. 1 della l.r. n. 29/2014 recita: “1. Al fine di valorizzare la pratica dell'attività fisica e di garantire il corretto svolgimento delle attività fisicomotorie nonché di salvaguardare la tutela della salute, la Regione riconosce e valorizza le competenze degli operatori del settore motorio e sportivo, con particolare riguardo ai soggetti in possesso della laurea in Scienze motorie di cui al decreto legislativo 8 maggio 1998, n. 178 o del diploma universitario dell'Istituto superiore di educazione fisica (ISEF) di cui alla legge 7 febbraio 1958, n. 88. Nelle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private sia ai fini del mantenimento della migliore efficienza fisica nelle differenti fasce d'età e nei confronti delle diverse abilità sia ai fini di socializzazione e di prevenzione, la Regione riconosce l'esercizio dell'attività professionale esclusivamente svolta da soggetti in possesso di laurea in Scienze motorie o del diploma ISEF.
2. La Regione, nell'ambito della diffusione della pratica e dell'esercizio delle attività fisico-motorie, promuove la tutela dei praticanti allo scopo di migliorarne la qualità della vita e il benessere.”
Al riguardo si evidenzia che i professori di educazione fisica, i cosiddetti diplomati Isef o i più recenti laureati in scienze motorie, in quanto operatori formati per il settore dell’istruzione e dello sport, non sono da equiparare ai fisioterapisti, che sono professionisti sanitari il cui profilo è previsto dal DM 14/09/1994, n. 741 ed il cui percorso formativo è la laurea triennale abilitante all’esercizio della relativa professione sanitaria.
Sul punto si evidenzia che l’art. 2, comma 7 del decreto legislativo n. 178/1998 prevede che: “Il diploma di laurea in scienze motorie non abilita all'esercizio delle attività professionali sanitarie di competenza dei laureati in medicina e chirurgia e di quelle di cui ai profili professionali disciplinati ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni.”
Relativamente alla materia delle professioni, oggetto di competenza concorrente, la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato che il legislatore regionale è tenuto a rispettare il principio per cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi titoli abilitanti, è riservata allo Stato (sentenze n. 153/2006 e n. 300/2007), ai sensi dell’art. 117, terzo comma Cost. La Regione, pertanto, eccede anche in tale frangente, dalle competenze statutarie sancite negli articoli 14 e 17.

Per i motivi che precedono, le disposizioni sopra citate della legge in esame si pongono in contrasto con lo Statuto di autonomia della regione Sicilia e con la Costituzione nelle norme di volta in volta segnalate e deve essere impugnata a norma dell’articolo 127 della Costituzione.

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