Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni di riordino e semplificazione normativa in materia di politiche economiche, del turismo, della cultura, del lavoro, dell'agricoltura, della pesca, della caccia e dello sport. (27-6-2016)
Veneto
Legge n.18 del 27-6-2016
n.63 del 1-7-2016
Politiche infrastrutturali
10-8-2016 / Impugnata
La legge regionale, che detta disposizioni di riordino e semplificazione normativa in in materia di politiche economiche, del turismo, della cultura, del lavoro, dell'agricoltura, della pesca, della caccia e dello sport è censurabile relativamente alle disposizioni sotto indicate, per i motivi di seguito specificati :

A) L'articolo 55 aggiunge il comma 1 ter all'articolo 9 della l.r. n. 19 del 1998 , recante "Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell'esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto", in base al quale è consentito alla Regione, nelle acque non oggetto di concessione, istituire "eventuali oneri ulteriori, per i non residenti in Veneto, mendiante provvedimento della Giunta regionale".
La disposizione regionale appare formulata in modo generico, in quanto non specifica quali "eventuali oneri ulteriori per i non residenti in Veneto" si intenda introdurre.
Infatti, nel caso in cui detti oneri riguardino l'importo della tassa di concessione, l'attribuzione della determinazione della misura del tributo ad un provvedimento della Giunta, si pone in contrasto con l'articolo 23 della Costituzione, ai sensi del quale ogni prestazione patrimoniale deve essere imposta con norma statale o regionale. Inoltre, ove detti "eventuali oneri ulteriori" fossero di natura tributaria, la scelta di riservarne l'applicazione solo ai cittadini "non residenti in Veneto", si pone in contrasto con il carattere di generalità dell'imposizione fiscale e creare ingiustificate discriminazioni nell'applicazione del tributo stesso, in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.


B) Nell’ordinamento italiano, la normativa vigente in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio è recata dalla legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157, concernente «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» ritenuta dalla Corte Costituzionale come una disciplina contenente, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. s), il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica e il cui rispetto deve essere assicurato sull’intero territorio nazionale (Corte Cost. n. 233/2010).
La stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale, afferma che «spetta allo Stato, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., stabilire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, ponendo regole che possono essere modificate dalle Regioni, nell’esercizio della loro potestà legislativa in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell’innalzamento del livello di tutela» (ex plurimis, sentenze n. 303 del 2103, n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012).
Tutto ciò premesso, presentano aspetti di illegittimità costituzionale le seguenti disposizioni:
1) l’articolo 65, che introduce delle modifiche all’articolo 14 della legge regionale n. 50/1993 concernente «Norme per la protezione della fauna selvatica ed il prelievo venatorio» inserendo i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. In particolare, i commi 1-bis e 1-ter in combinato disposto con il comma 1-quinquies consentono, a chi abbia optato per la forma di caccia da appostamento fisso, di disporre di quindici giornate di caccia in forma vagante; mentre per chi ha optato, nella stagione venatoria in corso, per la caccia in forma vagante in Zona Alpi o comunque in altre forme, di usufruire di quindici giornate di caccia da appostamento fisso. La fruizione di dette giornate non necessita, da parte del cacciatore, di alcuna richiesta o adempimento, salvo l’obbligo di segnalare sul tesserino venatorio, ad inizio della giornata venatoria, la giornata di caccia utilizzata.
L’articolo 12, comma 5, della legge n. 157/1992 prevede che «Fatto salvo l'esercizio venatorio con l'arco o con il falco, l'esercizio venatorio stesso può essere praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme: a) vagante in zona Alpi; b) da appostamento fisso; c) nell'insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla presente legge e praticate nel rimanente territorio destinato all'attività venatoria programmata».
La richiamata norma nazionale non consente, pertanto, il “cumulo” delle diverse forme di esercizio venatorio come, invece, previsto dalla disposizione regionale.
Sul punto, la Corte Costituzionale ha affermato che «l’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992 ha introdotto il principio cosiddetto della caccia di specializzazione, in base al quale, fatta eccezione per l’esercizio venatorio con l’arco o con il falco, ciascun cacciatore può praticare la caccia in una sola delle tre forme ivi indicate («vagante in zona Alpi»; «da appostamento fisso»; «nelle altre forme» consentite dalla citata legge «e praticate sul restante territorio destinato all’attività venatoria programmata»). Il cacciatore è tenuto, dunque, a scegliere, nell’ambito di tale ventaglio di alternative, la modalità di esercizio dell’attività venatoria che gli è più consona, fermo restando che l’una forma esclude l’altra. Tale criterio di esclusività che vale a favorire il radicamento del cacciatore in un territorio e, al tempo stesso, a sollecitarne l’attenzione per l’equilibrio faunistico trova la sua ratio giustificativa nella constatazione che un esercizio indiscriminato dell’attività venatoria, da parte dei soggetti abilitati, su tutto il territorio agro-silvo-pastorale e in tutte le forme consentite rischierebbe di mettere in crisi la consistenza delle popolazioni della fauna selvatica.» (Sentenza n. 116/2012 considerato in diritto punto 2.1. Si veda inoltre la sentenza n. 278/2012).
Pertanto, la normativa regionale nel prevedere l’esercizio cumulativo di diverse forme di caccia deroga in peius alla normativa nazionale sopra citata, introducendo soglie di tutela minore rispetto alla normativa nazionale. L’articolo 12, comma 5 – concorrendo alla definizione del nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica – «stabilisce, in particolare, una soglia uniforme di protezione da osservare su tutto il territorio nazionale (con riguardo a previsioni di analoga ispirazione, sentenze n. 441 del 2006, n. 536 del 2002, n. 168 del 1999 e n. 323 del 1998): ponendo, con ciò, una regola che – per consolidata giurisprudenza di questa Corte – può essere modificata dalle Regioni, nell’esercizio della loro potestà legislativa residuale in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell’innalzamento del livello di tutela (soluzione che comporta logicamente il rispetto dello standard minimo fissato dalla legge statale: ex plurimis, sentenze n. 106 del 2011, n. 315 e n. 193 del 2010, n. 61 del 2009)» (Corte Cost. n. 116/2012 e n. 278/2012). Detta normativa nazionale si inquadra, dunque, nell’ambito materiale della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema: tutela riservata alla potestà legislativa esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Si deve, peraltro, evidenziare che ai sensi dell’articolo 31, comma 1, lett. a) della legge n. 157/1992, chiunque eserciti la caccia in una forma diversa da quella prescelta ai sensi dell'art. 12, comma 5, è punito con una sanzione amministrativa da euro 206 euro 1.239. Il successivo articolo 32, comma 4, prevede, oltre alla sanzione amministrativa, la sospensione per un anno della licenza di porto di fucile per uso di caccia.
Alla luce di quanto sopra esposto, l’articolo 65, comma 1, della legge regionale Veneto n. 18 del 2016, che introduce i commi 1-bis – 1-ter e 1-quinquies all’articolo 14 della legge regionale n. 50/1993, nella parte in cui consente la pratica dell’esercizio venatorio in via non esclusiva, viola l’articolo 117, secondo comma, lett. s) Cost., in riferimento all’articolo 12, comma 5, 31, comma 1, lett. a) e 32, comma 4 della legge n. 157/1992.

Il comma 1-quater dell’articolo 14 della legge regionale n. 50/1993, come introdotto dalla norma regionale in esame, consente, altresì, ai cacciatori che abbiano optato per l’insieme delle altre forme di attività venatoria, la possibilità di esercitare l’attività venatoria alla fauna migratoria, per trenta giorni, in tutti gli Ambiti Territoriali di Caccia.
Detto comma si pone in contrasto con quanto previsto dall’articolo 14, comma 1, in combinato disposto con il comma 5 della legge n. 157/1992 che prevedono che: «1. Le regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata ai sensi dell'art. 10, comma 6, in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali…..
5. Sulla base di norme regionali, ogni cacciatore, previa domanda all'amministrazione competente, ha diritto all'accesso in un ambito territoriale di caccia o in un comprensorio alpino compreso nella regione in cui risiede e può avere accesso ad altri ambiti o ad altri comprensori anche compresi in una diversa regione, previo consenso dei relativi organi di gestione».
La Corte Costituzionale ha già chiarito che, con la legge n. 157 del 1992, il legislatore statale «ha inteso perseguire un punto di equilibrio tra il primario obiettivo dell'adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e l'interesse - pure considerato lecito e meritevole di tutela - all'esercizio dell'attività venatoria, attraverso la previsione di penetranti forme di programmazione dell'attività di caccia» (sentenza n. 4 del 2000).
La stessa Corte, nella sentenza n. 142/2013, ha, altresì, dichiarato che « il legislatore statale ha voluto, attraverso la ridotta dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una più equilibrata distribuzione dei cacciatori sul territorio, e, attraverso il richiamo ai confini naturali, conferire specifico rilievo - in chiave di gestione, responsabilità e controllo del corretto svolgimento dell'attività venatoria - alla dimensione della comunità locale, più ristretta e più legata sotto il profilo storico e ambientale alle particolarità del territorio […]» e quindi ha ritenuto incostituzionale la norma della regione Abruzzo che consentiva l'indiscriminato esercizio della caccia alla selvaggina migratoria in tutti gli ambiti territoriali.
Alla luce di quanto sopra esposto, appare, dunque, evidente che il nuovo comma 1-quater dell’articolo 14 non consente di garantire, minimamente, quella equilibrata distribuzione dei cacciatori nell'esercizio dell'attività venatoria, alla stregua di quanto, invece, segnatamente previsto dall’articolo 14 della legge n. 157 del 1992 che sancisce il principio della caccia programmata, costituente uno degli obiettivi fondamentali della normativa in materia.
Conclusivamente, l’articolo n. 65, comma 1, della legge regionale de qua, nell’introdurre il comma 1-quater all’articolo 14 della regionale n. 50/1993, si pone in contrasto con l’articolo 117, comma 2, lett. s), Cost., per violazione della normativa interposta di cui all’articolo 14, commi 1 e 5 della legge n. 157/1992.

2) l’articolo 66, commi 1 e 2 , introduce delle modifiche all’articolo 18 della legge regionale n. 50/1993 sostituendone il comma 1 ed integrandolo con il nuovo comma 1-bis. Più precisamente i nuovi commi dispongono che «1. Le Province istituiscono le zone di cui alla lettera e) del comma 2 dell’articolo 9, destinate all’allenamento, all’addestramento e allo svolgimento delle gare dei cani da caccia anche su fauna selvatica naturale o con l’abbattimento di fauna d’allevamento appartenente alle specie cacciabili. 1-bis. Le attività di cui al comma 1 possono svolgersi durante tutto l’anno».
La norma in esame consente, quindi, che l’attività di addestramento e svolgimento delle gare dei cani da caccia possano svolgersi, anche su fauna selvatica naturale e con l’abbattimento di fauna d’allevamento, durante tutto l’anno.
Occorre preliminarmente osservare che, la Corte Costituzionale, nelle sentenze n. 578/1990, n. 350/1991, n. 339/2003, sul presupposto che l'addestramento dei cani, in quanto attività strumentale all’esercizio dell’attività venatoria, sia riconducibile alla materia «caccia», ritiene tale addestramento soggetto ai divieti previsti dalla normativa quadro statale, costituita dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 (sul punto anche Consiglio di Stato, sezione sesta, n. 717/2002 ; TAR Campania, Napoli, prima sezione, n. 4639/2001; TAR Liguria, seconda sezione, n. 368/2004).
Pertanto, l'attività di addestramento dei cani da caccia è assimilabile a quella venatoria e, dunque, deve rispettare gli standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale e le relative garanzie procedimentali.
Tale attività, infatti, provoca un evidente e grave fattore di disturbo durante il periodo riproduttivo degli uccelli e dei mammiferi selvatici.
A tal proposito la legge n. 157/1992 “Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio” all’articolo 10, relativo all’obbligo per le regioni di predisporre i piani faunistico-venatori, finalizzati a garantire la conservazione delle specie mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio, prevede, anche al fine di compenetrare le esigenze della cinofilia venatoria (comma 8, lettera e), che i citati piani indichino «le zone e i periodi per l’addestramento, l’allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale...».
L’ISPRA, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 157/1992, è l’organismo che ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l'evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, nonché di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, formulando i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome.
A tal proposito, l’ISPRA nei pareri rilasciati alle Regioni ai fini della stesura dei calendari venatori, indica il mese di settembre come periodo iniziale dell’addestramento dei cani da caccia, in quanto svolgere detto addestramento prima (o comunque durante tutto l’anno) «determina un evidente e indesiderabile fattore di disturbo, in grado di determinare in maniera diretta o indiretta una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate. Questa attività andrebbe consentita solo nel periodo che precede l’apertura della caccia in forma vagante, in ogni caso mai prima dei primi di settembre ed escludendo quindi i mesi che vanno da febbraio a agosto» (parere ISPRA 22 agosto 2012).
L’attività di addestramento cani è assimilabile in tutto e per tutto alla materia della caccia, come affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 350 del 1991: «nessun dubbio può sussistere ne in ordine al fatto che , in quanto attività strumentale all’esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia della caccia(...)». Il principio è stato enunciato sotto la vigenza della precedente disciplina nazionale prevista la legge 27 dicembre 1977, n. 968 recante «Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia», ma può essere rapportato alla legge n. 157 del 1992, posto che le due normative disciplinano in maniera analoga la materia. «E se è pur vero che l’assimilazione dell’attività in questione non può essere spinta fino alla totale identificazione (così questa Corte, nella citata sentenza del 1991, e il Consiglio di Stato, nella decisione 17 aprile 2009, n. 4706), e che pertanto si può giustificare per essa una disciplina diversa da quella generale della caccia, ciò non esclude che tale disciplina debba essere dettata con le stesse modalità fin qui delineate. Solo così, infatti, l’acquisizione dei pareri tecnici – su cui si è concentrato il contraddittorio – diviene un passaggio naturale e formale di quella pianificazione che il legislatore ha voluto, come garanzia di un giusto equilibrio tra i molteplici interessi in gioco». (Corte Cost. n. 193/2013 considerato in diritto, punto 7.4).
L’articolo 18, comma 1, della legge n. 157/1992 detta disposizioni sulle specie cacciabili e i periodi in cui è consentito il prelievo venatorio, prevedendo, altresì, al comma 1-bis che «L'esercizio venatorio è vietato, per ogni singola specie:
a) durante il ritorno al luogo di nidificazione;
b) durante il periodo della nidificazione e le fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli.».
Al successivo comma 2 stabilisce che i termini in cui è consentito l’esercizio dell’attività venatoria «possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali. Le regioni autorizzano le modifiche previo parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. I termini devono essere comunque contenuti tra il 1°(gradi) settembre ed il 31 gennaio dell'anno nel rispetto dell'arco temporale massimo indicato al comma 1. L'autorizzazione regionale è condizionata alla preventiva predisposizione di adeguati piani faunistico-venatori.».
La norma regionale de qua, dunque, sebbene sia riconducibile alla materia «caccia» spettante alla competenza legislativa residuale delle regioni, nel consentire l’attività di addestramento e lo svolgimento delle gare dei cani da caccia durante tutto l’anno, incide in un ambito attribuito alla competenza esclusiva del legislatore statale. Ciò risulta confermato dall’articolo 7 della direttiva n. 79/409/CEE, secondo cui «In funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità le specie elencate nell'allegato II possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale».
In attuazione della menzionata normativa, l’articolo 18 della legge n. 157 del 1992 contempla appositi elenchi nei quali sono individuate le specie cacciabili, i relativi periodi in cui ne è autorizzato il prelievo venatorio, nonché i procedimenti diretti a consentire eventuali modifiche a tali previsioni.
«Ne consegue che lo stesso art. 18 garantisce, nel rispetto degli obblighi comunitari contenuti nella direttiva n. 79/409/CEE, standard minimi e uniformi di tutela della fauna sull'intero territorio nazionale […] in quanto indica il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica il cui rispetto deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale». (Corte Cost. n. 233/2010).
Da ultimo, si deve peraltro evidenziare che l’articolo 30, comma 1, lett. a), della legge n. 157/1992 dispone «a) l'arresto da tre mesi ad un anno o l'ammenda da lire 1.800.000 a lire 5.000.000 (da euro 929 a euro 2.582) per chi esercita la caccia in periodo di divieto generale, intercorrente tra la data di chiusura e la data di apertura fissata dall'art. 18». È, inoltre, prevista, ai sensi dell’articolo 31, comma 1, lett. a), della legge da ultimo citata, la sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, per un periodo da uno a tre anni.
Conclusivamente, l’articolo 66 della legge regionale n. 18/2016 nel consentire l’attività di addestramento e lo svolgimento delle gare dei cani da caccia durante tutto l’anno, viola l’articolo 117, primo comma, Cost. per contrasto con l’articolo 7 della direttiva 79/409/CEE e l’articolo 117, secondo comma, lett. s) cost. per contrasto con gli articoli 10, comma 8, lett. e), 18, comma 1, 1-bis e 2, 30,comma 1, lett. a) e 31, comma 1, lett. a) della legge n. 157/1992.

3) L’articolo 68, comma 1, della legge regionale in oggetto, modifica il quinto comma dell’articolo 24 della legge regionale n. 50/1993 prevedendo che le parole «di cui ai commi 8, 9, 11 e 12 dell’articolo 21» siano sostituite con le parole «di cui ai commi 5, 5-bis, 5-ter, 8, 9, 11 e 12 dell’articolo 21».
L’articolo 24 disciplina i Comprensori alpini stabilendo che allo stesso si applicano i commi 5, 5-bis, 5-ter, 8, 9, 11 e 12 dell’articolo 21 riguardante gli organi degli ambiti territoriali di caccia. Il Comprensorio Alpino di caccia, ai sensi dell’articolo 24, comma 2, legge regionale n. 50/1993 è una struttura associativa senza fini di lucro, e persegue scopi di programmazione dell'esercizio venatorio e di gestione della fauna selvatica su un territorio delimitato dal piano provinciale. Il suo comitato direttivo, a seguito della modifica introdotta dalla legge regionale in esame, è composto - tra gli altri – anche da «tre rappresentanti designati dalle strutture locali delle associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale o regionale».
L’art. 14, comma 10, della legge n. 157 del 1992 sancisce, invece, che «Negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia deve essere assicurata la presenza paritaria, in misura pari complessivamente al 60 per cento dei componenti, dei rappresentanti di strutture locali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni venatorie nazionali riconosciute, ove presenti in forma organizzata sul territorio. Il 20 per cento dei componenti è costituito da rappresentanti di associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente e il 20 per cento da rappresentanti degli enti locali.».
Detta disposizione prevede, dunque, che negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia debba essere assicurata la presenza paritaria delle associazioni venatorie, esclusivamente con riferimento a quelle nazionali riconosciute.
La Corte Costituzionale ha affermato che «il principio di rappresentatività, di cui al citato art. 14, comma 10, della legge n. 157 del 1992, ha carattere inderogabile (sentenza n. 299 del 2001) e, in particolare, che detta disposizione, nello stabilire «i criteri di composizione degli organi preposti alla gestione dell'attività venatoria negli ambiti territoriali individuati secondo le modalità indicate, fissa uno standard minimo ed uniforme di composizione degli organi stessi che deve essere garantito in tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 165 del 2009)» (Corte Cost. n. 268/2010. Recentemente sentenza n. 124/2016).
La stessa Corte si è, recentemente, pronunciata, in via incidentale, nell’ordinanza n. 133/2015 riguardante l’articolo 21, comma 5, della legge regionale Veneto 50/1993, come modificato dall’articolo 22 della legge regionale Veneto n. 37/1997, disciplinante gli ambiti territoriali di caccia.
Detta norma viene espressamente richiamata dall’articolo 24 della legge regionale n. 50 del 1993, concernente i Comprensori alpini, quale norma di riferimento per definire l'organizzazione e la composizione degli organi direttivi di questi ultimi.
Al riguardo la stessa Corte ha affermato, nella ordinanza sopracitata, che « l'art. 21, comma 5, della legge impugnata, relativo agli Ambiti territoriali di caccia, non si applica alla nomina dei componenti del Comitato direttivo dei Comprensori alpini, come si desume chiaramente anche dall'art. 24, comma 5, ove sono indicati i commi dell'art. 21 applicabili ai Comprensori alpini, senza menzionare il comma 5. […] la questione è di conseguenza manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza».
A seguito della modifica introdotta con la disposizione in esame, viene esteso anche alle associazioni venatorie riconosciute a livello regionale la rappresentanza negli organi direttivi degli Ambiti territoriali di caccia e dei Comprensori alpini, violando “lo standard minimo”, imposto dall’articolo 14, comma 10, della legge n. 157 del 1992, riconosciuta come disposizione a tutela dell'ambiente, e dunque, in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Alla luce delle precedenti considerazioni, l’articolo 68, comma 1, della legge regionale in oggetto, nell’estendere la disciplina prevista dai commi 5, 5-bis, 5-ter, dell’articolo 21 della legge regionale n. 50/1993 ai consigli direttivi dei Comprensori Alpini, si pone in contrasto con l’articolo 117, comma 2, lett. s) Cost. in riferimento all’articolo 14, comma 10, della legge n. 157/1992.

4) L’articolo 69, comma 2, della legge de qua inserisce il comma 3-bis nell’articolo 20 della legge regionale n. 50/1993 prevedendo che «dove non in contrasto con la disciplina sull'uso dei mezzi a motore, in territorio lagunare e vallivo e più in genere nelle zone umide, quali laghi, fiumi, paludi, stagni, specchi d'acqua naturali o artificiali, è ammesso l'uso della barca a motore quale mezzo di trasporto per raggiungere e ritornare dagli appostamenti di caccia. È altresì ammesso l'uso della barca per il recupero della fauna selvatica ferita o abbattuta. Il recupero è consentito anche con l'ausilio del cane e del fucile, entro un raggio non superiore ai duecento metri dall'appostamento».
Ai sensi dell’articolo 12, commi 2 e 3, della legge n. 157/1992 «2. costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di fauna selvatica mediante l'impiego dei mezzi di cui all'art. 13. 3. E' considerato altresì esercizio venatorio il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla».
Pertanto, ai sensi dell’articolo da ultimo citato il recupero dei capi feriti, anche con l’ausilio dei cani o con l’uso della armi di cui all’articolo 13 della legge statale, è considerato esercizio venatorio ed è sottoposto ai medesimi divieti e garanzie procedurali.
L’articolo 21, comma 1, della legge n. 157/1992 dispone, altresì, che: «E’ vietato a chiunque: […] i) cacciare sparando da veicoli a motore o da natanti o da aeromobili».
Infine, l’articolo 30, comma 1, lett. i), della legge da ultimo citata dispone «l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a lire 4.000.000 (euro 2.065) per chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, da natanti o da aeromobili».
Pertanto, l’articolo 69, comma 2, che inserisce il comma 3-bis nell’articolo 20 della legge n. 50/1993, prevedendo la possibilità per il cacciatore, anche con l’ausilio del fucile, di recuperare la fauna selvatica abbattuta, tramite l’utilizzo di barca a motore si pone in contrasto con l’articolo 117, comma 2, lett. s) Cost. per violazione della normativa interposta di cui agli articoli 12, commi 2 e 3, 21, comma 1, lett. i) e 30, comma 1, lett. i) della legge n. 157/1992.

5) L’articolo 71 introduce delle misure per il contenimento del cormorano (Phalacrocorax carbo).
Al riguardo si deve evidenziare che, la specie Cormorano non rientra nell’elenco delle specie cacciabili ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 157/1992.
L’articolo 19-bis della legge da ultimo citata, dispone, tuttavia, che «le regioni disciplinano l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai principi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alle disposizioni della presente legge. 2. Le deroghe possono essere disposte dalle regioni e province autonome, con atto amministrativo, solo in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, in via eccezionale e per periodi limitati. Le deroghe devono essere giustificate da un'analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni e devono menzionare la valutazione sull'assenza di altre soluzioni soddisfacenti, le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le particolari forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa […]».
Pertanto, l’articolo 71 non indicando la condizioni necessarie per accedere al regime di deroga, né tantomeno le modalità e i requisiti necessari per l’applicazione della stessa, contrasta con quanto previsto dall’articolo 9 della direttiva 2009/147/CE e dall’articolo 19-bis della legge n. 157/1992.
La Commissione europea, nel parere motivato relativo alla procedura di infrazione 2006/2131 ha affermato che «[…] sono contrarie alla direttiva le legge regionali che contengono già l’indicazione esplicita della specie che potranno essere oggetto di deroga ex articolo 9 in quanto identificano già in maniera generale ed astratta e senza limiti di tempo le specie oggetto della deroga mentre, nel sistema della direttiva, la deroga è un provvedimento eccezionale di carattere provvedimentale, che viene adottato in base ad una precisa e puntuale analisi dei presupposti e delle condizioni di fatto stabilite dall’articolo 9. La normativa che recepisce le condizioni di adozione delle deroghe deve disciplinare le modalità, le procedure e le attribuzioni delle autorità competenti ma non può identificare a priori l’oggetto della stessa deroga, poiché questo è il risultato dell’analisi di una situazione di fatto che varia di volta in volta. La previsione delle specie oggetto della deroga già nelle disposizioni della legge si colloca fuori dell’obbiettivo della deroga, in quanto costituisce un’autorizzazione all’esercizio regolare della caccia a specie di uccelli protette (non cacciabili) ai sensi della direttiva.» (Punto 32 del parere motivato).
La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha, inoltre, chiarito che «il potere di deroga di cui all'art. 9 della direttiva 79/409/CEE è esercitabile dalla Regione in via eccezionale, «per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto, più in generale, l'abbattimento o la cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima» (sentenza n. 168 del 1999). […] il legislatore regionale, nello stabilire che l'esercizio delle deroghe avvenga attraverso una legge-provvedimento, ha introdotto una disciplina in contrasto con quanto previsto dal legislatore statale al cennato art. 19-bis. In particolare, l'autorizzazione del prelievo in deroga con legge preclude l'esercizio del potere di annullamento da parte del Presidente del Consiglio dei ministri dei provvedimenti derogatori adottati dalle Regioni che risultino in contrasto con la direttiva comunitaria 79/409/CEE e con la legge n. 157 del 1992; potere di annullamento finalizzato a garantire una uniforme ed adeguata protezione della fauna selvatica su tutto il territorio nazionale.». (Corte Cost. n. 250/2008).

Il successivo comma 4 dell’articolo 71 disciplina l’elenco dei soggetti autorizzati al prelievo degli animali, indicando: «a) la polizia provinciale e locale; b) gli agenti venatori volontari; c) le guardie giurate; d) gli operatori della vigilanza idraulica; e) i proprietari o conduttori di aziende vallive dedite all'acquacoltura e fondi agricoli; f) i soggetti muniti di licenza per l'esercizio dell'attività venatoria; g) altri soggetti all'uopo autorizzati dalle province e Città metropolitana di Venezia».
La normativa regionale si pone in contrasto con l’articolo 19 della legge n. 157/1992 che prevede, al comma 2, che i piani di abbattimento «devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio».
Il citato articolo dispone quindi che i piani di abbattimento debbano essere attuati esclusivamente dalle guardie venatorie provinciali, dai proprietari e conduttori dei fondi e dalle guardie forestali e comunali.
A tal riguardo, la stessa Corte Costituzionale ha già riconosciuto che «l’identificazione delle persone abilitate all’attività in questione compete esclusivamente alla legge dello Stato e che, al riguardo, l’art. 19 della legge n. 157 del 1992 contiene un elenco tassativo (sentenza n. 392 del 2005; ordinanza n. 44 del 2012)» (sentenza n. 107 del 2014).
La normativa regionale ampliando la platea dei soggetti preposti ad attuare gli interventi di controllo contravviene alle finalità dell’articolo 19 sopra citato che contiene un elenco tassativo anche allo scopo di assicurare una attenta ponderazione al fine di evitare che la tutela degli interessi sanitari, di protezione delle produzioni zootecniche, di selezione biologica ecc..., perseguiti con i piani di abbattimento, possa determinare una compromissione della sopravvivenza di altre specie faunistiche.
I piani di abbattimento, infatti, sono presi in considerazione solo come extrema ratio ed esclusivamente per scopi di tutela dell’ecosistema; non trattandosi, chiaramente, di attività svolta a fini venatori (sul punto sentenza Corte Cost. n. 392/2005). A tal riguardo, l’articolo 19, comma 2, contiene un elenco tassativo di soggetti autorizzati all'esecuzione di tali piani (guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani di abbattimento, guardie forestali e guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio), nel quale non sono compresi i cacciatori, come, invece, prevede la legge regionale de qua alla lett. f).
La Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che la previsione dell’articolo 19 della legge n. 157 del 1992 «nella parte in cui disciplina i poteri regionali di controllo faunistico, costituisce un principio fondamentale della materia a norma dell'art.117 della Costituzione, tale da condizionare e vincolare la potestà legislativa regionale […]. La rigorosa disciplina del controllo faunistico recata dall'art.19 della legge n. 157 del 1992 è infatti strettamente connessa all'ambito di operatività della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione di uccelli selvatici» (sentenza n. 392/2005 e n. 135/2011).
Da ciò consegue che le norme statali rappresentano un limite invalicabile per l’attività legislativa della Regione, in quanto prevedono norme imperative che devono essere applicate sull’intero territorio nazionale per soddisfare ed essere coerenti con le primarie esigenze di tutela ambientale.
Alla luce delle precedenti considerazioni, l’articolo 71 della legge regionale in esame viola l’articolo 117, primo e secondo comma, Cost. per violazione dell’articolo 9 della direttiva 2009/147/CE e degli articoli 19, comma 2 e 19-bis della legge n. 157/1992.


Per i motivi esposti, la legge regionale , limitatamente alle disposizioni sopra indicate, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo127 della Costituzione.

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