Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni di adeguamento della normativa regionale. (7-4-2015)
Liguria
Legge n.12 del 7-4-2015
n.12 del 15-4-2015
Politiche infrastrutturali
11-6-2015 / Impugnata
La legge della Regione Liguria n. 12 del 2015 presenta profili di illegittimità costituzionale in relazione agli articoli 1, 6, 20, e 22 che, per i motivi e nei limiti di seguito specificati, violano l’articolo 117 della Costituzione e pertanto deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

1) L’articolo 1 introduce il comma 1-bis all’articolo 91 della l.r. 18/1999. Tale norma prevede che la Giunta regionale, al fine di realizzare una gestione unitaria dei bacini idrografici la Giunta regionale, “c) può individuare, sulla base di specifici criteri attuativi, corsi d'acqua o loro tratti, che presentino almeno le seguenti caratteristiche: 1) sottendano bacini idrografici di modeste dimensioni, prevalentemente tombinati, e ricadono in contesti urbanistico-edilizi di tessuto urbano consolidato; 2) pur non potendosi classificare canali di drenaggio urbano, abbiano perso, a causa delle trasformazioni territoriali ed urbanistiche verificatesi nel tempo, le caratteristiche originali del corso d'acqua in modo irreversibile tanto da non rendere possibile il loro recupero in termini di spazi e capacità di deflusso”. La lettera d) chiarisce che tale individuazione “è effettuata al fine di provvedere contestualmente ad una gradazione e ad una diversificazione degli obblighi e degli adempimenti in materia di polizia idraulica e di gestione del demanio idrico, ferma restando la necessità di individuare, comunque, misure di tutela della pubblica e privata incolumità e di salvaguardia dei beni esposti”.
Detta previsione, nella parte in cui attribuisce alla Giunta regionale il compito di individuare sulla base di “specifici criteri attuativi” (sembrerebbe determinati dalla Giunta stessa) i corsi d’acqua che presentino almeno i requisiti previsti dalla norma, e di prevedere, sulla base di tale individuazione, alla gradazione e alla diversificazione degli obblighi in materia di polizia idraulica e di gestione del demanio, invade la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, presentando profili di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 117, comma secondo, lett. s) della Costituzione per violazione delle norme interposte di cui agli articoli 74, comma 2, lett. f) e g) e 75, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. “Codice dell’ambiente”), nonché dei Decreti ministeriali 131/2008 e 156/2013, anch’essi espressione del potere legislativo esclusivo dello Stato.
L’articolo 74, comma 2, del D.Lgs. 152/2006, infatti, definisce, alla lettera f), i corpi idrici artificiali come “un corpo idrico superficiale creato da un'attività umana”; e, alla lettera g), quelli fortemente modificati, intendendosi con tale espressione “un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un'attività umana, è sostanzialmente modificata, come risulta dalla designazione fattane dall'autorità competente in base alle disposizioni degli articoli 118 e 120”. L’articolo 118 del Codice dell’ambiente, che rinvia all’Allegato 3 alla parte terza del Codice, definisce le norme che le Regioni devono seguire nel rilevare le caratteristiche del bacino idrografico e nell’analizzare l’impatto esercitato dall’attività antropica. L’Articolo 120, rinviando alle indicazioni contenute agli Allegati 1 e 2 alla parte terza del Codice, definisce i criteri per il rilevamento della qualità dei corpi idrici. Tali Allegati definiscono, ai sensi di quanto previsto all’articolo 75, comma 3, le prescrizioni tecniche necessarie all’attuazione della parte terza del Codice e, ai sensi di quanto previsto dal medesimo articolo, possono essere modificati con regolamenti adottati ex art. 17, comma 3, della l. n. 400/1988, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. In attuazione di tale ultima disposizione i predetti allegati sono stati modificati con il D.M. 16 giugno 2008, n. 131, recante i criteri tecnici per la caratterizzazione dei corpi idrici (tipizzazione, individuazione dei corpi idrici, analisi delle pressioni) e con il D.M. 27 novembre 2013, n. 156, recante i criteri tecnici per l'identificazione dei corpi idrici artificiali e fortemente modificati per le acque fluviali e lacustri. Tali norme sono riconducibili alla tutela dell’ambiente, in quanto attengono direttamente alla tutela delle condizioni intrinseche dei corpi idrici e hanno come obiettivo quello di garantire, attraverso una disciplina uniforme applicabile su tutto il territorio nazionale, determinati livelli quantitativi e qualitativi delle acque.
La disposizione impugnata contrasta con la disciplina statale sopra descritta, in quanto va ad individuare una tipologia di corsi d’acqua che presenta margini di sovrapposizione rispetto alle definizioni individuate dall’art. 74 del Codice, subordinandola alla applicazione di criteri parzialmente indefiniti e comunque non coordinati né coerenti rispetto a quelli individuati dai predetti decreti ministeriali. Pertanto, così disponendo la norma impugnata ha invaso un ambito che deve essere ascritto alla competenza legislativa esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.

2) L’articolo 6, comma 3 modifica l’articolo 6, comma 2, della l.r. n. 16/2008, con l’effetto di includere tra gli interventi di manutenzione ordinaria “l’istallazione di tende da sole, insegne, targhe, impianti tecnologici o elementi di arredo urbano e privato pertinenziali non comportanti la creazione di volumetria”. Con la modifica censurata, oltre ad eliminare la previsione secondo cui dette opere rientrano nella manutenzione ordinaria solo laddove “non comportanti opere edilizie”, si include tra questi interventi l’istallazione di elementi di arredo “privato pertinenziali non comportanti la creazione di volumetria”. La disposizione contrasta con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti all’art. 3 del testo unico dell’edilizia di cui al d.p.r. n. 380/2001 (d’ora in avanti, TUE) che, al comma 1, lettera a), definisce interventi di manutenzione ordinaria come “gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”. La disposizione censurata amplia l’ambito di applicazione della manutenzione ordinaria, correttamente definita al comma 1 del modificato articolo 6, fino a ricomprendervi tipologie di interventi edilizi chiaramente esulanti dalla definizione statale, quali l’istallazione di nuovi impianti tecnologici e di elementi di arredo urbano e privato pertinenziali (l’art. 3, comma 1, TUE ricomprende nella manutenzione straordinaria gli interventi volti a “per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici”, nella ristrutturazione edilizia “l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”, nella nuova costruzione “gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione”). Se anche possa ritenersi ammissibile che la regione esemplifichi gli interventi edilizi rientranti nelle definizioni statali, è evidente che tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con la definizione contenuta nel testo unico dell’edilizia, posto che la definizione delle categorie di interventi edilizi, dovendo trovare applicazione uniforme sul territorio nazionale, costituisce un principio fondamentale in materia di governo del territorio, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi (cfr. C. Cost. n. 309/2011). Difatti, l’articolo 21, comma 1, lettera a) della l.r. n. 16/2008 include nell’ambito dell’attività edilizia libera “gli interventi di manutenzione ordinaria come definiti all’articolo 6”. Dal combinato disposto della disposizione censurata con quella appena richiamata, si evince che interventi che la legge statale assoggetta a SCIA (perché inquadrabili nell’ambito della “ristrutturazione edilizia) o nell’ambito del permesso di costruire (perché considerate di “nuova costruzione”), sono indebitamente incluse nell’ambito dell’attività edilizia libera e, peraltro, sono esclusi dalla comunicazione di inizio lavori prevista dal comma 2 dell’articolo 6 del d.p.r. n. 380/2001, interventi che, per la legislazione statale, vi sarebbero assoggettati.
A questo ultimo riguardo si rilevano analoghi profili di incostituzionalità anche con riferimento ai commi 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino, dell’articolo 6 della l.r. n. 12/2015. Tali norme escludono dall’ambito di applicazione della SCIA “le opere di arredo pubblico e privato, anche di natura pertinenziale” (attraverso la soppressione della lettera i) al comma 1 dell’articolo 21-bis della l.r. n. 16/2008), riconducendole all’ambito dell’attività edilizia libera (attraverso l’inserimento della lettera i-bis) al comma 1 dell’articolo 21), non soggetta a comunicazione di inizio lavori.
Poiché la nozione di “istallazione di opere di arredo pubblico e privato, anche di natura pertinenziale” non rientra nella manutenzione ordinaria di cui all’articolo 3 TUE, né coincide con quella utilizzata all’articolo 6, comma 2, TUE, che assoggetta a comunicazione di inizio lavori “le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici” (la norma regionale è più generale, fa riferimento “a istallazione di opere di arredo PUBBLICHE E PRIVATO”, non “solo” pertinenziale, ma “anche” pertinenziale, non “solo” nelle aree pertinenziali degli edifici, ma “anche di natura pertinenziale”, includendovi, potenzialmente, anche gli interventi di privati su aree demaniali di tipo non pertinenziale), la norma regionale ha l’effetto di ricondurre all’attività libera o alla SCIA interventi che, per la normativa statale, sono considerati di “nuova costruzione” o di “ristrutturazione edilizia”, e quindi soggetti a permesso di costruire o a DIA alternativa a permesso di costruire. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 139 del 2013, ha chiarito che l’art. 6, comma 6, lett. a), TUE, che consente alle Regioni di estendere l’attività edilizia libera a interventi ulteriori rispetto a quelli indicati dal testo unico, non consente di estendere i casi di attività libera ad ipotesi integralmente nuove, dovendo le stesse essere “coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 6”, ciò in quanto “non è … pensabile che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative da soggiacere comunque a permesso di costruire”. Per le ragioni già esposte, l’ambito degli interventi che la Regione Liguria ascrive alla manutenzione ordinaria e che include nell’attività edilizia libera con le norme censurate non appare coerente con le indicazioni della Corte Costituzione e con le norme richiamate del TUE, pertanto risulta violato l’articolo 117, comma 3, della Costituzione, in riferimento alla materia “governo del territorio”.


3) L’articolo 6, comma 6, modifica l’articolo 18, comma 1, della L.R. n. 16/2008. La norma consente di realizzare “gli interventi sul patrimonio edilizio esistente fino alla ristrutturazione edilizia, nonché gli interventi di recupero dei sottotetti esistenti… nel rispetto dell'allineamento dell'edificio preesistente purché non comportanti sopraelevazioni che determinino la creazione di un nuovo piano della costruzione. Non costituisce creazione di un nuovo piano della costruzione il recupero dei sottotetti non abitabili ai sensi della L.R. n. 24/2001…”. La riformulazione del predetto articolo, con la sostituzione delle parole “ivi compresi” con la parola “nonchè”, ha mutato la valenza della norma rispetto alla precedente formulazione. Ciò, in quanto l’inciso “interventi di recupero dei sottotetti esistenti”, non più collegato ad ipotesi di “interventi sul patrimonio edilizio esistente fino alla ristrutturazione edilizia”, può ora essere riferito anche ad interventi di carattere puntuale. Ne consegue che la disciplina derogatoria ai limiti di distanza fissati dall’articolo 9 del D.M. n. 1444/1968 è estesa anche ad interventi su singoli edifici non oggetto di un più ampio intervento sul patrimonio edilizio esistente.
La disposizione, pertanto, non è conforme all’articolo 2-bis del d.p.r. n. 380/2001, che attribuisce alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano la facoltà di prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al D.M. n. 1444/1968 “nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”. Tale previsione, che recepisce consolidata giurisprudenza costituzionale, va intesa nel senso che, ferma restando la competenza legislativa statale esclusiva sulla disciplina delle distanze minime tra costruzioni, ascrivibile alla materia dell’ordinamento civile (sentenze n. 6 del 2013, n. 114 del 2012, n. 232 del 2005; ordinanza n. 173 del 2011), alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nella normativa statale, ma unicamente a condizione che tale deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. La legislazione regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile, è quindi legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, demandando l’operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 232 del 2005). Ciò è stato ribadito, da ultimo, nella recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 134 del 2014.
Nel caso di specie, non ricorre quella finalizzazione urbanistica dell’intervento regionale, intesa alla costruzione di un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, che costituisce l’estrinsecazione della relativa competenza legislativa regionale.
Di conseguenza, la disposizione invade la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile” (art. 117, secondo comma lettera l), nonché di quella concorrente nella materia “governo del territorio” (art. 117, terzo comma).

4) L’articolo 6, comma 11, secondo trattino, sostituisce l’articolo 21-bis, comma 1, lettera e) della l.r. n. 16/2008. La modifica ha l’effetto di assoggettare a SCIA “la ristrutturazione edilizia come definita dall'articolo 10 comportante incrementi della superficie all'interno delle singole unità immobiliari o dell'edificio con contestuali modifiche all'esterno, nonché nell'ipotesi di trasformazione d'uso di locali costituenti superficie accessoria in superficie agibile”. La norma, nel fare riferimento alle “contestuali modifiche all’esterno” si pone in contrasto con l’articolo 10, co. 1, lett. c), del testo unico dell’edilizia. Secondo questa disposizione, infatti, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, sono assoggettati a permesso di costruire o a DIA alternativa (art. 22, co. 3, lett. a), d.p.r. n. 380/2001). Occorre, poi, ricordare che:
- le disposizioni sulla SCIA, si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal TUE, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire. (cfr. art. 5, co. 2, lett. c), D.L. n. 70/2011);
- le disposizioni sulla SCIA, attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
Si ritiene, pertanto, che la disposizione regionale di cui trattasi, contrastando con i principi fondamentali di cui ai menzionati articoli del TUE, nonché con la norma di interpretazione autentica sopra richiamata in materia di SCIA, sia stata adottata in violazione della competenza esclusiva dello Stato di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. e della competenza concorrente di cui all’articolo 117, terzo comma Cost. “governo del territorio”.

5) L’articolo 6, al comma 15, inserisce tra gli interventi di ristrutturazione edilizia assoggettati a comunicazione inizio lavori e a DIA obbligatoria, gli interventi comportanti mutamenti della destinazione d’uso “aventi ad oggetto immobili compresi nelle zone omogenee A o nelle zone o ambiti ad esse assimilabili e non rientranti nei casi di cui all’articolo 21-bis, co. 1, lett. f) (i mutamenti di destinazione d'uso di aree, di edifici e di unità immobiliari, senza esecuzione di opere edilizie e comportanti il passaggio a diverse categorie di funzioni o comunque comportanti il passaggio a funzioni che richiedano la corresponsione di oneri di urbanizzazione maggiori – che sono assoggettati a SCIA). La disposizione contrasta con l’art. 10, co. 1, lett. c) del testo unico dell’edilizia, che assoggetta a permesso di costruire o a DIA alternativa (art. 22, co. 3, lett. a), d.p.r. n. 380/2001) la suddetta tipologia di interventi edilizi. Pertanto, la disposizione regionale di cui trattasi, contrastando con i principi fondamentali di cui ai menzionati articoli del d.p.r. n. 380/2001, è stata adottata in violazione della competenza concorrente di cui all’articolo 117, terzo comma Cost. (con riferimento alla materia “governo del territorio”).

6) L’articolo 6, al comma 20, assoggetta a contributo di costruzione gli interventi edilizi di frazionamento di unità immobiliari relativi ad edifici di qualunque destinazione d'uso che determinino un numero di unità immobiliari superiore al doppio di quelle esistenti, con aumento di superficie agibile superiore a 25 metri quadrati. Al comma 21, primo trattino, prevede che il contributo di costruzione non è dovuto per alcuni interventi di accorpamento e di frazionamento di unità immobiliari anche se comportanti, tra l’altro, incrementi di superficie delle unità immobiliari inferiori a 25 metri quadrati. Al comma 21, secondo trattino, prevede che gli interventi di manutenzione straordinaria, qualora comportanti un aumento del carico urbanistico determinato da incremento della superficie agibile all'interno dell'unità immobiliare pari o superiore a 25 metri quadrati e non derivante dalla mera eliminazione di pareti divisorie, sono soggetti al contributo di costruzione commisurato all'incidenza delle sole opere di urbanizzazione e da applicarsi sulla totalità della superficie dell'unità immobiliare interessata dall'incremento.
Tali disposizioni contrastano con l’articolo 17, comma 4, del Testo unico dell’edilizia, come modificato dal D.L. n. 133/2014, il quale prevede, tra l’altro, che per gli interventi di manutenzione straordinaria (tra i quali quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari), qualora comportanti aumento del carico urbanistico, il contributo di costruzione è commisurato all’incidenza delle sole opere di urbanizzazione, purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile.
Ciò, in quanto:
- la disciplina statale, in ogni caso non pone alcun limite rispetto all’aumento della superficie calpestabile o al numero delle unità immobiliari soggette a frazionamento o accorpamento, ai fini dell’obbligo della corresponsione dei soli oneri di urbanizzazione a fronte dell’aumento del carico urbanistico e della superficie agibile;
- diversamente dal dettato della normativa statale, si esonerano del tutto dal contributo di costruzione alcuni tipi di interventi;
- sono assoggettati a contributo di costruzione gli interventi edilizi di frazionamento di unità immobiliari relativi ad edifici di qualunque destinazione d'uso che determinino un numero di unità immobiliari superiore al doppio di quelle esistenti, con aumento di superficie agibile superiore a 25 metri quadrati.
Le richiamate disposizioni regionali contrastano, quindi, con il canone di ragionevolezza, a cagione della eccessiva gravosità degli oneri economici imposti agli interessati, nonché con il principio fondamentale nella materia “governo del territorio”, di cui al comma 4 dell’articolo 17 del testo unico dell’edilizia. Si ritiene, pertanto, che la disposizione in esame violi gli articoli 3 e 97 della Costituzione per contrasto con il canone di ragionevolezza, nonché l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione.

7) L’articolo 20, comma 1, che inserisce il comma 1-bis all’articolo 5 della L.R. n. 15/1989, prevede che “In caso di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro, risanamento, ristrutturazione edilizia anche parziale di edifici non già adeguati alle norme sul superamento delle barriere architettoniche che siano sedi di attività aperte al pubblico, le medesime opere non devono determinare un peggioramento delle caratteristiche originarie di accessibilità delle unità immobiliari interessate dalle stesse".
La disposizione contrasta con l’articolo 82, d.p.r. n. 380/2001, che prevede:
- che le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l'accessibilità e la visitabilità, siano eseguite in conformità alle disposizioni in materia di eliminazione delle barriere architettoniche;
- la possibilità di realizzare opere provvisionali nel caso di edifici pubblici e privati aperti al pubblico soggetti ai vincoli culturali e paesaggistici;
- che le opere realizzate negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione dell'opera da parte delle persone handicappate, sono dichiarate inagibili.
Anche alla luce delle indicazioni della Corte Costituzionale (sentenza n. 111 del 2014) la disposizione in esame viola la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, di cui all’articolo 117, comma 2, lett. m), Cost.

8) L’articolo 22 sostituisce il comma 1, dell’articolo 6-bis della legge regionale 21 luglio 1983, n. 29. Con riferimento all’ultimo periodo della disposizione modificata, che esclude dalla preventiva autorizzazione sismica gli interventi sul patrimonio edilizio soggetti a SCIA, si rileva la violazione della competenza esclusiva dello Stato di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione (poiché la SCIA non è applicabile agli atti previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche), nonché della competenza concorrente nelle materie “protezione civile” e “governo del territorio” di cui all’articolo 117, terzo comma della Costituzione, per contrasto con l’articolo 94 del TUE (che ne prevede l’obbligo prima dell’inizio dei lavori nelle località sismiche ad eccezione di quelle a bassa sismicità). Ciò anche alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale.

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