Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013 – 2015 della regione campania (legge finanziaria regionale 2013). (6-5-2013)
Campania
Legge n.5 del 6-5-2013
n.24 del 7-5-2013
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale
RINUNCIA PARZIALE

Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 26 giugno 2013 è stata impugnata da parte del Governo la legge della Regione Campania n. 5 del 06/05/2013, pubblicata sul BUR n. 24 del 07/05/2013, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013/2015 della regione Campania (legge finanziaria regionale 2013)”.
Tra le varie disposizioni per le quali è stata deliberata l’impugnativa costituzionale, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, è ricompreso l’art. 1, comma 36, lett. C), d) ed e), che, nel sostituire l’art. 1, commi 237-decies, 237-undecies e 237-duodecies, della legge regionale n. 4/2011, proroga il regime dell’accreditamento provvisorio delle strutture sanitarie e socio-sanitarie private, procrastinando i termini stabiliti dalla legislazione statale per la conclusione del processo di accreditamento definitivo, ponendosi in tal modo in contrasto con i principi fondamentali in materia di tutela della salute e di accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie (l’articolo 1, comma 796, lett. T) della legge n. 296/2006), in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Tanto premesso, si deve osservare che il sistema sanitario campano, fondando sul settore privato accreditato una forte percentuale dell’offerta di prestazioni, invero la quasi totalità di quelle relative ad alcuni settings assistenziali, versa in una situazione di eccezionalità e di particolare delicatezza.
In tale contesto, è necessario tenere conto che:
a) i mancati accreditamenti definitivi debbano ascriversi in grande misura a ritardi di carattere burocratico non imputabili ai soggetti privati provvisoriamente accreditati, e per ovviare ai quali la legge regionale in esame procrastina i termini;
b) qualora l’impugnativa avverso le richiamate disposizioni regionali dovesse concludersi favorevolmente per il Governo, con l’accoglimento dei rilievi formulati e l’annullamento delle predette disposizioni regionali, si verrebbe a creare un vuoto normativo che determinerebbe la cessazione degli accreditamenti attualmente efficaci, compresi quelli c.d. provvisori, stante quanto disposto dal citato articolo 1, comma 796, lett. T), della legge n. 296/2006. Ciò potrebbe determinare, in concreto, l’impossibilità di dare effettiva attuazione all’articolo 32 della Costituzione;
c) la regione Campania, in presenza del suddetto vuoto normativo, sarebbe impossibilitata a garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria, a pregiudizio della garanzia di tutela della salute dei cittadini;
d) è necessario consentire che la regione Campania possa erogare i livelli essenziali di assistenza sanitaria, nelle more della conclusione delle procedure finalizzate al rilascio dell’accreditamento definitivo.
Occorre osservare che la stessa Corte Costituzionale fornisce argomenti per una valutazione flessibile dei termini indicati dalla legge statale, ove sussistano, appunto, situazioni di eccezionalità. La Corte, infatti, con la sentenza n. 292 del 2012, nell’affermare che i termini di cui all’articolo 1, c. 796, lettera t), della legge n. 296/2006 sono espressione di “un principio fondamentale che le Regioni sono tenute a rispettare”, ha tuttavia precisato che possono farsi salve “quelle discipline regionali di proroga che, in presenza di situazioni “eccezionali”, lungi dal costituire sanatoria di situazioni illegali, rappresentino un mezzo per consentire e promuovere la regolarizzazione delle posizioni dei soggetti privati ancora aperte”. Con la sentenza n. 93 del 1996 la Consulta inoltre aveva già affermato che eventali deroghe, che il legislatore regionale disponga non per eludere ma, al contrario, per poter rispettare le prescrizioni poste dallo Stato, devono considerarsi costituzionalmente legittime se ragionevolmente e concretamente giustificate in relazione alle situazioni su cui la singola regione deve provvedere.
Peraltro, occorre altresì osservare che il legislatore nazionale ha recentemente manifestato la volontà di tener conto delle difficoltà incontrate da molte regioni nel concludere il passaggio all’accreditamento definitivo, sia pur con riguardo ad alcune specifiche tipologie di strutture. L’articolo 7 della legge n. 150/2013, infatti, ha prorogato al 31 ottobre 2014 il termine entro il quale le Regioni devono adottare i provvedimenti per il passaggio all’accreditamento definitivo (e conseguentemente cessazione di quello provvisorio) delle strutture sanitarie e sociosanitarie, diverse da quelle ospedaliere ed ambulatoriali.
Il Ministero della salute, con nota del 13 maggio 2014, ha comunicato che, per le ragioni sopra rappresentate, sia venuto meno il motivo d’impugnativa esposto.
Tanto premesso, si ritiene di dover proporre la rinuncia all’impugnativa dell’articolo 1, comma 36, lettere c) e d), nonché dell’articolo 1, comma 36, lettera e), ad esclusione del rilievo formulato, sulla base delle motivazioni di cui alla predetta delibera del Consiglio dei Ministri del 26 giugno 2013, avverso la parte della norma di cui al comma 36, lett. E), che prevede la decadenza automatica dei direttori generali delle ASL nel caso del mancato rispetto dei termini per l’accreditamento istituzionale.
Permangono ancora validi gli ulteriori motivi di impugnativa di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 26 luglio 2013.
26-6-2013 / Impugnata
La legge regionale presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:

1) L’art. 1, comma 127, lettere b) e c), nell’integrare il comma 2 dell’art. 12 della legge regionale n. 1/2012, così, rispettivamente, dispongono:
“ b) al comma 2, dopo le parole: "è tenuto al pagamento di un indennizzo" sono inserite le seguenti: "alla Regione Campania";
c) alla fine del comma 2 sono aggiunte le seguenti parole: "Il 50 per cento degli importi riscossi dai comuni sul demanio marittimo di propria competenza è assegnato ai medesimi comuni territorialmente competenti e da essi direttamente trattenuto."
Il nuovo testo del comma 2 dell’art. 12 della legge regionale n. 1/2012 integrato con le modifiche sopra descritte, introdotte dalla legge in esame, così statuisce:
“2. Nel caso di utilizzazioni senza titolo di beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo che comportano mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze, o la realizzazione di opere di facile rimozione, l'occupante abusivo è tenuto al pagamento di un indennizzo alla Regione Campania pari al tributo regionale dovuto, se in possesso di legittimo provvedimento abilitativo, aumentato del 200 per cento. Nel caso di utilizzazioni difformi dal provvedimento abilitativo, l'indennizzo è pari al tributo regionale aumentato del 100 per cento. Nel caso di utilizzazioni senza titolo o difformi dal titolo, che comportano la realizzazione di opere inamovibili non legittimate, l'indennizzo da pagare è pari al valore di mercato del manufatto, aumentato nella misura indicata dai periodi 1 e 2. Rimane ferma l'applicazione delle misure sanzionatorie vigenti, ivi compreso il pagamento dell'indennizzo da corrispondere allo Stato ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito con modificazioni in legge 4 dicembre 1993, n. 494(Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), nonché il ripristino dello stato dei luoghi. Il 50 per cento degli importi riscossi dai comuni sul demanio marittimo di propria competenza è assegnato ai medesimi comuni territorialmente competenti e da essi direttamente trattenuto”.
La suddetta disposizione regionale, che destina alla Regione un indennizzo per i casi di utilizzazione dei beni demaniali marittimi in modo difforme dal titolo abilitativo ovvero senza titolo, introduce un indennizzo da parte dell’occupante abusivo a favore della regione che costituisce una duplicazione dell’indennizzo dovuto allo Stato ai sensi dell’art. 8 della legge n.400/93. Tale previsione regionale si pone pertanto in contrasto con il menzionato art. 8 della legge n. 400/1993, nonché con l’art 1, comma 257, della legge n. 296/2006, e con le disposizioni del codice della navigazione (artt. 32 e seg.) che riservano allo Stato la potestà di imposizione e riscossione degli indennizzi in quanto inerenti alle funzioni dominicali spettanti allo Stato in base all’art. 822 del codice civile. Anche la Corte Costituzionale (con le sentenze n. 343 del 1995 e n. 150 del 2003) ha chiarito che la spettanza degli introiti delle occupazioni del demanio marittimo è attribuita unicamente allo Stato, nella sua qualità di proprietario dei beni.
Si segnala inoltre che la circostanza che la previgente formulazione dell’art. 12, comma 2, contenente già la previsione di un indennizzo, non sia stata impugnata da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, non ha alcun rilievo poiché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 139/2013, ha affermato che “l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale”.
La disposizione regionale in esame viola pertanto la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e di sistema tributario di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. l) ed e), della Costituzione, nonché l’art. 119, secondo comma, della Costituzione, secondo il quale le regioni debbono stabilire e applicare entrate proprie in armonia con la Costituzione e i principi di coordinamento della finanza pubblica.

2) L’art. 1, comma 140, stabilisce che “Se sono state accertate le violazioni di cui ai commi 138 e 139, l'autorità competente in materia di VIA, come individuata dalla normativa regionale, può disporre la sospensione dei lavori e, valutata l'entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello eventualmente conseguente all'applicazione delle relative sanzioni, può disporre a cura e spese del proponente, definendone i termini e le modalità:
a) nel caso previsto dal comma 138, la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale;
b) nel caso previsto dal comma 139, l'adeguamento dell'opera o dell'intervento alle prescrizioni impartite”.
I commi 138 e 139 sopracitati prevedono, altresì, che:
“138. Chiunque realizza un'opera o un intervento cui si applicano le disposizioni del titolo III del decreto legislativo 152/2006, in assenza della verifica di assoggettabilità di cui all'articolo 20 del medesimo decreto oppure del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro compresa, in ragione della gravità della violazione, tra un minimo dell'1 per cento e un massimo del 20 per cento del costo di realizzazione del progetto.
139. Chiunque, nella realizzazione di un'opera o di un intervento, viola le prescrizioni impartite in sede di verifica di assoggettabilità di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 152/2006 oppure del provvedimento di VIA, nonché le prescrizioni impartite dalle misure correttive in fase di monitoraggio, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro compresa, in ragione della gravità della violazione, tra un minimo dell'1 per cento e un massimo del 20 per cento del costo di realizzazione del progetto”.
La normativa regionale in questione nel disporre che la sospensione dei lavori sia rimessa ad una scelta discrezionale dell’autorità competente, sia nel caso in cui si realizza un'opera o un intervento in assenza della verifica di assoggettabilità oppure del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, sia nel caso in cui si realizza un'opera o un intervento che viola le prescrizioni impartite in sede di verifica di assoggettabilità oppure del provvedimento di VIA, nonché le prescrizioni impartite dalle misure correttive in fase di monitoraggio, si pone in contrasto con la normativa statale in materia di VIA disciplinata dal d. lgs. n. 152/2006. Infatti l’art. 29 di detto d.lgs., ai commi 3 e 4, così dispone:
“3. Qualora si accertino violazioni delle prescrizioni impartite o modifiche progettuali tali da incidere sugli esiti e sulle risultanze finali delle fasi di verifica di assoggettabilità e di valutazione, l'autorità competente, previa eventuale sospensione dei lavori, impone al proponente l'adeguamento dell'opera o intervento, stabilendone i termini e le modalità. (…)
4. Nel caso di opere ed interventi realizzati senza la previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o di valutazione in violazione delle disposizioni di cui al presente Titolo III, nonché nel caso di difformità sostanziali da quanto disposto dai provvedimenti finali, l'autorità competente, valutata l'entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, dispone la sospensione dei lavori e può disporre la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, definendone i termini e le modalità. (…)”.
Il legislatore nazionale, pertanto, ha rimesso all’autorità competente la possibilità e non l’obbligo di sospendere i lavori solo nel caso in cui le opere e gli interventi siano già stati sottoposti alle fasi di verifica di assoggettabilità e di valutazione di impatto ambientale ma si accertino violazioni delle prescrizioni impartite o modifiche sugli esiti e sulle risultante finali delle suddette fasi.
Al contrario, nel caso di realizzazione di opere ed interventi realizzati senza previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o di valutazione, l’autorità competente, valutata l’entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, ha l’obbligo di disporre la sospensione dei lavori, eventualmente prevedendo la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale.
Alla luce delle suddette considerazioni, la legge regionale in esame, dettando disposizioni difformi dalla normativa statale di riferimento viola il principio costituzionale di cui all’art. 117, co. 2, lettera s), che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” .


3) L’art. 1, comma 183, concernente la revisione dei prezzi contrattuali per l'acquisto di beni e servizi, prevede l'adeguamento dei prezzi ai parametri di prezzo-qualità delle convenzioni Consip, ove migliorativi, soltanto a partire dal primo rinnovo contrattuale successivo alla data di entrata in vigore della legge regionale.
Al riguardo, si rileva che la disposizione in rassegna, nel differire alla data di scadenza dei contratti in essere il predetto adeguamento, non appare in linea con le prescrizioni di riduzione della spesa per l'acquisto dì beni e servizi e trasparenza delle procedure introdotte dall'articolo 1 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, u, 135, costituenti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. Infatti, per ottenere le predette riduzioni di spesa in tempi brevi, il comma 13 del richiamato articolo i introduce, con effetti di automatica inserzione nei contratti in essere, il diritto di recesso della pubblica amministrazione contraente, da esercitarsi prima della scadenza contrattuale nel caso in cui i parametri delle convenzioni stipulate da Consip successivamente alla sottoscrizione del contratto siano migliorativi e l'appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche tale da adeguare l`onere contrattuale ai citati parametri.

Inoltre sono illegittime ulteriori disposizioni in materia sanitaria.
Si premette che la Regione Campania ha stipulato in data 13 marzo 2007, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1, comma 180, della legge 311/2004, l'Accordo sul Piano di rientro dai disavanzi sanitari 2007-2009.
Successivamente, a luglio 2009, essendo stato disatteso l'Accordo stipulato dalla Regione, il Governo ha esercitato i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 4, comma 2 del decreto-legge 1 ° ottobre 2007 n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, procedendo alla nomina del Presidente della Regione quale Commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro.
Con la legge finanziaria 2010 è stata, poi, concessa alle Regioni che si trovavano in gestione commissariale, come la Regione Campania, la possibilità proseguire il Piano di rientro attraverso programmi operativi, precisandosi ai commi 80 e 95 dell'articolo 2 della legge n. 191/2009, che "gli interventi individuati dal Piano sono vincolanti per la Regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del richiamato Piano di rientro". Con l'approvazione del citato Accordo, la Regione si è impegnata all’attuazione del suddetto Piano di rientro ed al rispetto della legislazione vigente con particolare riferimento a quanto disposto dall'articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
In attuazione delle previsioni della legge finanziaria il Commissario ad acta per la Regione Campania ha adottato il decreto n. 41 del 14 luglio 2010 avente ad oggetto “Approvazione del nuovo Programma Operativo per l’anno 2010”.
Successivamente, con decreto n. 22 del 22 marzo 2011, in attuazione del punto t) del mandato Commissariale, conferito con delibera del Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2010, ha approvato il Piano sanitario regionale 2011-2013 in coerenza con il decreto n.49 del 29 settembre 2010, adottato in attuazione del punto c) del mandato Commissariale.
Il Tavolo per la verifica degli adempimenti ed il Comitato LEA nella riunione del 26 ottobre 2010 hanno prospettato un forte disavanzo non coperto per l’anno 2010 a causa della non completa attuazione del Programma Operativo 2010 ed hanno invitato il Commissario ad approvare entro l’anno il programma operativo 2011-2012. Il Commissario ha trasmesso il 6 aprile 2011 il Programma Operativo 2011-2012.
Nelle more, il risultato di gestione per l’anno 2010 ha registrato, nella riunione dei Tavoli Tecnici del 14 aprile 2011, un disavanzo non coperto di 248,888 mln di euro. Questo disavanzo ha determinato, per la Regione Campania, l’applicazione degli automatismi fiscali previsti dall’art. 1, comma 174, della l. n. 311 del 2004, vale a dire “l’ulteriore incremento delle aliquote fiscali di IRAP e addizionale regionale all’IRPEF per l’anno d’imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30 punti, l’applicazione del blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso e l’applicazione del divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo”.
La suddetta norma statale stabilisce, inoltre, che gli atti emanati e i contratti stipulati in violazione dei predetti vincoli sono nulli. Dispone altresì che in sede di verifica annuale degli adempimenti la Regione certifichi il rispetto dei vincoli medesimi.
La Corte Costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi in materia di piani di rientro dal disavanzo sanitario e di gestione commissariale degli stessi. In particolare, con la sentenza n. 100/2010 nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Campania 28 novembre 2008 n. 16 recante “Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo”, ha affermato che una norma statale (vedasi l’allora vigente articolo 1, comma 796, lettera b) della legge n. 296 del 2006) ha reso vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione “necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ivi compreso l'Accordo intercorso tra lo Stato e la Regione Campania". La Corte ha affermato, inoltre, che la suddetta norma statale che assegna a tale Accordo carattere vincolante, per le parti tra le quali è intervenuto, può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica.
La Corte Costituzionale inoltre, con la sentenza n. 78/2011, ha avuto modo di "rammentare - come già sottolineato in passato con la sentenza n. 193 del 2007 - che l'operato del Commissario ad acta, incaricato dell'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all'esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti - malgrado il carattere vincolante dell'accordo concluso dal Presidente della Regione - ad un'attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica ((articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007»). E’, dunque, proprio tale dato - in uno con la constatazione che l'esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell'unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale qual è quello alla salute (articolo 32 Cost.) - a legittimare la conclusione secondo la quale le funzioni amministrative del commissario ad acta, ovviamente fino all'esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli Organi regionali.
Ciò premesso, la legge in esame, dal punto di vista sanitario, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:

4) L’art. 1, comma 36, lett. c): sostituisce il comma 237-decies del predetto articolo 1 della l.r. n. 4/2011, prevedendo quanto segue: “Alle strutture sanitarie e socio-sanitarie private che hanno presentato domanda di accreditamento istituzionale definitivo ai sensi del comma 237-quinquies e hanno dichiarato di essere in possesso dei requisiti di cui al comma 237-sexies, al fine di assicurare i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale e il rispetto dei principi fondamentali in materia di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di cui al Titolo II del decreto legislativo 502/1992, si applica, in via transitoria, il regime vigente alla data del 31 dicembre 2010, fino all'adozione ai sensi del comma 237-duodecies dei decreti commissariali di rilascio o di rigetto dell'accreditamento istituzionale definitivo”.
Tale disposizione si pone in netto contrasto con la normativa statale in materia di accreditamento.
Occorre infatti rilevare che essa, prorogando, di fatto, il regime dell’accreditamento provvisorio, procrastina - peraltro in maniera indefinita - i termini per la conclusione del processo di accreditamento definitivo, previsti dall’articolo 1, comma 796, lett. t) della legge n. 296/2006, secondo cui “le regioni provvedono ad adottare provvedimenti finalizzati a garantire che dal 1° gennaio 2011 cessino gli accreditamenti provvisori delle strutture private ospedaliere e ambulatoriali, di cui all'articolo 8-quater, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, non confermati dagli accreditamenti definitivi di cui all'articolo 8-quater, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 502 del 1992; le regioni provvedono ad adottare provvedimenti finalizzati a garantire che dal 1° gennaio 2013 cessino gli accreditamenti provvisori di tutte le altre strutture sanitarie e socio-sanitarie private, nonché degli stabilimenti termali come individuati dalla legge 24 ottobre 2000, n. 323, non confermati dagli accreditamenti definitivi di cui all’articolo 8-quater, comma 1, del decreto legislativo n. 502 del 1992”.
A tal riguardo, si osserva che la Corte Costituzionale, ha chiarito che tali termini, definiti dalla legislazione statale per il passaggio dall’accreditamento provvisorio all’accreditamento definitivo, sono “espressione di un principio fondamentale che le Regioni sono tenute a rispettare”. (sent. n. 292/2012).
Peraltro, la norma regionale in questione, non chiarendo le modalità con cui il titolo di accreditamento verrà poi concesso alle strutture, né definendo il termine ultimo entro il quale dovranno essere emanati i decreti commissariali di rilascio o di rigetto dell’accreditamento istituzionale definitivo, vanifica le finalità di tutela della salute dei cittadini, che sono insite nella disciplina dell’accreditamento, così come previsto dalla normativa statale. Essa prevede infatti, che l’accreditamento definitivo possa essere rilasciato dalla regione alle strutture che siano già state precedentemente autorizzate, solo “subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti” (art. 8-quater, c. 1, del d.lgs. n. 502/1992).
Come efficacemente ricostruito dalla Corte costituzionale, con la sent. n. 292/2012, il legislatore statale ha previsto “un passaggio graduale dal sistema precedente (convenzionale, basato sul pagamento dei fattori produttivi) a quello nuovo (basato sul pagamento delle prestazioni, previo accreditamento delle strutture). Si è così previsto un “accreditamento temporaneo” (art. 6, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica») per le strutture precedentemente convenzionate che avessero accettato il sistema di pagamento a prestazione, nonché un “accreditamento provvisorio” per le strutture nuove, o per attività nuove in strutture accreditate per altre attività, in attesa della verifica del volume e della qualità delle prestazioni (art. 8-quater, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992)”.
Il Giudice delle leggi ha quindi rilevato che “conseguenza della disciplina transitoria di cui sopra […] è il fatto che, in attesa che si perfezioni il procedimento di verifica, potrebbero operare, addirittura in regime di accreditamento (temporaneo o provvisorio), strutture che poi si vedano negare, per mancanza dei requisiti, l’accreditamento definitivo o l’autorizzazione all’esercizio di ulteriori attività sanitarie; ciò sia in ragione di difetti strutturali, sia in conseguenza di eventuali violazioni dei tetti di spesa.
Per questo, il legislatore statale ha previsto che le Regioni avviino una procedura di accreditamento (definitivo o istituzionale) anche per le strutture temporaneamente accreditate [oltre che per quelle provvisoriamente accreditate] (art. 8-quater, comma 6, del d.lgs. n. 502 del 1992), da concludersi inderogabilmente entro un termine finale stabilito dalla legge”.
Tutta la disciplina dell’accreditamento è infatti strumentale a far sì che possano operare “per conto” del Servizio sanitario nazionale solo quelle strutture che, in ragione del possesso di determinati requisiti, garantiscano, a tutela della salute dei cittadini, un’assistenza di qualità, in condizioni di sicurezza e in coerenza con gli indirizzi di programmazione.
La norma regionale in questione, invece, procrastinando ulteriormente il regime dell’accreditamento provvisorio, non rispetta i limiti temporali previsti dalla legislazione statale per la conclusione del processo di accreditamento definitivo, così violando l’articolo 117, comma 3 della Costituzione per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute.

5) L’art 1, comma 36, lett. e), sostituisce il precedente art. 1, comma 237-duodecies della legge regionale n. 4/2011, disciplinando le azioni di verifica circa il possesso dei requisiti per l’accreditamento definitivo, da parte delle strutture interessate. Tale norma presenta diversi profili di illegittimità.
In primo luogo, essa dispone che le procedure di verifica così disciplinate debbano effettuarsi entro “centoquaranta giorni dalla adozione del decreto commissariale previsto dal comma 237-undecies” dell’articolo 1, della predetta legge regionale n. 4/2011. Quest’ultimo comma, che è stato a sua volta modificato dall’articolo 1, comma 36, lettera d) della legge regionale in esame, dispone ora che “Con decreto del Commissario ad acta per la prosecuzione del Piano di rientro del settore sanitario, che è adottato entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede alla ricognizione delle istanze regolarmente presentate ai sensi del comma 237-quinquies”.
Appare chiaro che il legislatore regionale, nel dettare una nuova procedura per la verifica dei requisiti (attraverso la modifica del comma 237-duodeciesm), abbia voluto riaprire i termini per la conclusione della stessa (prevedendo, infatti, che la stessa debba concludersi entro centoquaranta giorni dall’adozione del decreto commissariale di cui al comma 237-undecies, il quale prevede, a sua volta, che quest’ultimo debba essere adottato entro dieci giorni dalla “data di entrata in vigore della presente legge [da intendersi “disposizione]”).
Stando così le cose, non si può non rilevare, anche in questo caso, la violazione dei termini previsti dalla legislazione statale per la conclusione del processo di accreditamento definitivo (di cui al predetto articolo 1, comma 796, lett. t) della legge n. 296/2006).
Già solo per questo, quindi, si deve rilevare la violazione dell’articolo 117, comma 3 della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali in materia di “tutela della salute”.
In secondo luogo, la disposizione in esame presenta ulteriori profili di illegittimità, in quanto essa si limita a prevedere che, all’esito negativo delle verifiche, il Commissario ad acta rigetta, con proprio decreto, la domanda di accreditamento definitivo, senza alcun riferimento alla sospensione o alla revoca dell’accreditamento provvisorio, come invece previsto dal combinato disposto dell’articolo 8-quater, comma 7 del d.lgs. n. 502/1992 e dal predetto art. 1, comma 796, lett. 7) della legge n. 296/2006.
Infine si osserva che le azioni di verifica previste dalla disposizione regionale in esame non appaiono adeguate poiché limitate alla valutazione dei soli atti documentali, mentre i requisiti autorizzativi e di accreditamento devono essere verificati anche mediante accessi diretti in loco come si desume dai criteri cui la regione deve conformarsi, ex art. 8 quater, comma 4, d.lgs. 502/1992, nel definire il procedimento per la verifica dei requisiti.
Sempre nel merito della disciplina così dettata dal legislatore regionale, occorre rilevare un ulteriore profilo di illegittimità dell’articolo 1, comma 36, lett. e), nella parte in cui prevede che “nel caso di mancato rispetto del termine di centoquaranta giorni per la verifica del possesso dei requisiti ulteriori previsti dalla normativa vigente e richiesti per l’accreditamento istituzionale, i direttori generali delle aziende sanitarie della Regione Campania decadono”. Tale norma contrasta con l’art. 3-bis, comma 7 del D.lgs. n 502/1992 e successive modificazioni, che individua specifiche cause di decadenza del direttore generale, quali: gravi motivi, la situazione di grave disavanzo, la violazione di leggi e del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione. In tal caso, ai sensi dell’articolo citato, la Regione risolve il contratto dichiarando la decadenza del direttore generale e provvedendo alla sua sostituzione, peraltro nel rispetto della procedura ivi prevista (es. acquisizione del parere della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale). Inoltre la disposizione regionale in esame appare irragionevole, in quanto sanziona i direttori generali per inadempienze che non sono imputabili agli stessi, bensì alla commissioni locali che, ai sensi della medesima norma regionale, devono effettuare le verifiche.
Per tutti questi motivi è da ritenere che anche le lettere d) ed e) dell’articolo 1, comma 36, della legge regionale in esame, violino l’articolo 117, comma 3 della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute e, in particolare, di accreditamento e di requisiti di decadenza dei direttori generali.


6) L’art. 1, comma 44, lettera a) della legge in esame, che modifica il comma 244 dell' articolo 1 della legge regionale n. 4/2011, prevede l’adozione di un regolamento regionale per l’organizzazione dell'ARSAN, quale struttura tecnica di supporto all'attività della Giunta stessa e del Consiglio regionale in materia sanitaria.
Si segnala, preliminarmente, che l’articolo in esame, nella formulazione introdotta dall’art. 1, comma 244, legge regionale n. 4/2011, che già prevedeva l’adozione di un regolamento regionale per l’organizzazione dell'ARSAN, quale struttura tecnica di supporto all'attività della Giunta stessa è oggetto di impugnazione pendente dinanzi alla Corte Costituzionale per violazione degli artt. 117, terzo comma, 118, e 120, secondo comma, della Costituzione.
Pertanto, la disposizione regionale in esame è censurabile per le stesse motivazioni deliberate in riferimento al citato art. 1, comma 244, della legge regionale n. 4/2011 di seguito riportate:
“ Il configurarsi dell’ARSAN, che è un ufficio strumentale ai fini dell’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario e dei programmi operativi di prosecuzione dello stesso, esclusivamente quale struttura tecnica di supporto all'attività degli organi regionali interferiscono con le funzioni attribuite al Commissario ad acta dall'articolo 4, commi 1 e 2, del d.l. n. 159/2007, in violazione dell’art. 120, comma 2, della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione. Inoltre ponendo in capo alla Giunta Regionale interventi in materia sanitaria che contrastano con le previsioni contenute nell’Accordo del 13 marzo 2007 e nel relativo Piano di rientro dal disavanzo sanitario, violano i principi di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, comma 3, Cost., contenuti nei commi 80 e 95 dell'articolo 2 della legge n. 191/2009.”


7) Art. 1, comma 51, prevede che: “il Ceinge (Biotecnologie avanzate società consortile srl), organismo di diritto pubblico ai sensi del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione alla direttiva 2004/17/CE e alla direttiva 2004/18/CE - Codice degli appalti), è centro regionale di riferimento per la diagnostica di biologia molecolare clinica e delle malattie congenite del metabolismo e delle malattie rare. Con decreto del Commissario ad acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario, è stabilito il finanziamento alle attività assistenziali sulla base del tariffario regionale. Il finanziamento, modificabile annualmente in base ad eventuali e motivati fabbisogni integrativi, è erogato a partire dall'anno 2013, mediante convenzioni quinquennali con la Regione Campania. Per colmare la carenza dell'offerta della rete laboratoristica regionale, il Ceinge può presentare domanda di accreditamento istituzionale, previa verifica di rispondenza ai requisiti di qualificazione richiesti. I contratti sono stipulati nei limiti fissati da appositi provvedimenti commissariali. Il predetto istituto opera sulla base di accordi istituzionali in coerenza e nei limiti dei vincoli finanziari previsti dal piano di rientro e connessi programmi operativi e comunque fatte salve le spettanze di cui alle poste dei bilanci regionali degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012.”
A tal riguardo si osserva la predetta disposizione, nel prevedere il finanziamento alle attività assistenziali sulla base del tariffario regionale, di una struttura quale il CEINGE che, come reso evidente dalla stessa norma, non è ancora accreditato (tant’è che il legislatore regionale si fa carico di precisare che esso “può presentare domanda di accreditamento istituzionale previa verifica di rispondenza ai requisiti di qualificazione richiesti”), contrasta con la normativa statale di cui agli articoli da 8-bis ad 8-sexies del citato d.lgs. n. 502/1992, dai quali emerge che le strutture che erogano prestazioni sanitarie possono essere poste “a carico” del Servizio sanitario nazionale solo dopo stipulazione di appositi accordi contrattuali con le strutture interessate, i quali, a loro volta, presuppongono che le stesse siano state previamente accreditate. In altri termini, l’accreditamento (che, a sua volta, implica la previa autorizzazione) consente alla struttura accreditata di operare “per conto” del Servizio sanitario nazionale. Per poter operare anche “a carico” dello stesso, invece, è necessaria la stipulazione di un apposito “accordo contrattuale”, il quale, però, non può intervenire in assenza dell’accreditamento, che pertanto deve necessariamente precedere, temporalmente parlando, l’erogazione delle prestazioni poste a carico del SSN.
Per questi motivi, è da ritenere che l’articolo 51, comma 1 della legge regionale in esame violi l’articolo 117, comma 3 della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute.

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