Dettaglio Legge Regionale

Legge di semplificazione dell’ordinamento regionale 2012. (3-12-2012)
Toscana
Legge n.69 del 3-12-2012
n.67 del 7-12-2012
Politiche ordinamentali e statuti
31-1-2013 / Impugnata
Con la legge n. 69/2012 la Regione Toscana intende, con alcuni interventi normativi volti all'attuazione del principio di semplificazione dei rapporti fra cittadini, imprese e istituzioni, eliminare tutte le norme che appesantiscono il corpo legislativo regionale attualmente vigente.
In particolare la legge regionale è censurabile per le seguenti disposizioni:

1) Gli artt. 1, 2 e 3, apportano modifiche alla previgente normativa in materia di esercizio dell’attività di tassidermia e imbalsamazione. In particolare, con l’articolo 1 viene modificato l’articolo 2 della l.r. n.3/1995 ( “Norme sull’attività di tassidermia ed imbalsamazione”), mentre con gli articoli 2 e 3 vengono abrogati gli articoli 3 e 4 della citata legge regionale n. 3/1995, che prevedevano, ai sensi della legge n. 157/1992 (“Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”) che l’accesso all’attività di tassidermia fosse soggetto ad una apposita autorizzazione regionale attraverso una specifica abilitazione rilasciata dalla regione, a seguito di superamento di uno specifico esame presso una commissione regionale nonché una dichiarazione di inizio di attività. Con le disposizioni in esame la regione, oltre a prevedere la SCIA in luogo della preesistente DIA, abroga le disposizioni relative all’abilitazione tramite esame, ai sensi dell’abrogato articolo 3 della l.r. n.3/95, e prevede, in sostituzione, l’obbligo di frequenza di un corso di formazione professionale obbligatoria, i cui contenuti sono da definirsi a cura della regione sulla base delle proprie disposizioni in materia di formazione professionale entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge regionale. Tale previsione contrasta con il costante orientamento della Corte Costituzionale, ( cfr. sentt. Nn. 300/2010; 57/2007; 424/2006; 153/2006.) secondo il quale “la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale.” Le disposizioni in esame, pertanto, per le argomentazioni sopra esposte, violano i principi fondamentali in materia di professioni di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione;


2) L’articolo 17 della legge regionale in esame sostituisce l’articolo 41 della legge regionale n. 38/2004, relativo alla disciplina dell’avvio dell’attività di utilizzazione dell’acqua minerale naturale e di sorgente e prevede al comma 1 che “l'avvio di un'attività di utilizzazione dell'acqua minerale naturale e di sorgente è assoggettato ad una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 […], presentata allo sportello unico per le attività produttive (SUAP), attestante il possesso dei requisiti previsti dall'articolo 42 e dal regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sull'igiene dei prodotti alimentari […]”. I commi 3 e 4 dell’articolo riformulato prevedono, poi, che “il comune esercita una verifica del rispetto delle disposizioni di legge e di regolamento, entro sessanta giorni dalla data di presentazione della SCIA” e che “l'azienda USL può effettuare, entro trenta giorni dal ricevimento della SCIA di cui al comma 1, un sopralluogo di verifica presso la sede dell'attività di utilizzazione dell'acqua minerale naturale e di sorgente […]”.
Si osserva, al riguardo, che la suddetta disciplina regionale contrasta con la normativa nazionale di riferimento, rappresentata dagli articoli 6 e 22 del d.lgs. N. 176/2011 (di attuazione della direttiva europea 2009/54/CE, sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali), secondo i quali l’utilizzazione di un’acqua minerale naturale e di un’acqua di sorgente è subordinata ad autorizzazione regionale (art. 6, c. 1), e che tale autorizzazione è rilasciata “previo accertamento che gli impianti destinati all'utilizzazione siano realizzati in modo da escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all'acqua le proprietà, corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla sorgente”. Gli articoli 7 e 23 della medesima normativa nazionale, relativi alle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione, stabiliscono gli accertamenti che devono essere effettuati dagli organi regionali ai fini del rilascio dell’autorizzazione medesima.
La disposizione regionale in esame, pertanto, prevedendo, in luogo dell’autorizzazione (forma di controllo preventivo) la SCIA (che implica invece dei controlli successivi), espone i cittadini al rischio di danni per la salute, tanto più in considerazione che la medesima norma regionale prevede i sopralluoghi da parte della USL come meramente facoltativi (“l'azienda USL può effettuare, entro trenta giorni dal ricevimento della SCIA di cui al comma 1, un sopralluogo di verifica … )”.
La Corte, con sentenza n. 244/2012, a seguito di ricorso promosso dalla medesima regione Toscana avverso i citati articoli 6, 7 c.1, 22 e 23 del d.lgs. N. 176/2011 ha ritenuto non fondate le questioni sollevate dalla regione, rilevando in primo luogo che l’istituto dell’autorizzazione è previsto direttamente dalla normativa comunitaria e che non può essere derogato dalla Regione, precisando che “il legislatore comunitario, nell’esercizio della propria discrezionalità normativa, ha ritenuto prevalente, rispetto a quella della semplificazione amministrativa dei procedimenti, la finalità di assicurare la tutela della salute dei consumatori di acque minerali. Nell’ordinamento nazionale analoga finalità costituisce un interesse generale, costituzionalmente rilevante, in quanto species del più ampio genus della salute del singolo individuo e della collettività di cui all’art. 32 Cost. e, nel caso di specie, anche pienamente conforme alla regola introdotta dal legislatore comunitario”.
Infine, la Corte ha affermato che la disciplina di cui al d.lgs. N. 176 del 2011, “proprio perché in larga misura pedissequamente riproduttiva delle previsioni comunitarie – sintetiche per definizione quanto ai loro enunciati – contenute nella direttiva 2009/54/CE, detta nella specie una disciplina di principio della materia, comunque non modificabile dalla fonte regionale, pena la mancata o incompleta attuazione dell’atto comunitario. Poiché tale normativa si pone quale disciplina di principio […] essa non appare in contrasto né con l’art. 117, terzo comma, né con l’art. 118 Cost”. Pertanto, per i motivi suddetti, la disposizione regionale in esame, contrastando con gli articoli 6 e 22 del d.lgs. N. 176/2011, recanti norme di principio in materia di tutela della salute, viola l’articolo 117, terzo comma della Costituzione. Essa, inoltre, disattendendo quanto previsto dalla normativa comunitaria (si veda l’allegato II, paragrafo 1, della direttiva europea 2009/54/CE, ai sensi del quale “l'utilizzazione di una sorgente d'acqua minerale naturale è subordinata all'autorizzazione dell'autorità responsabile del paese in cui l'acqua è stata estratta, previo accertamento della sua conformità ai criteri di cui all'allegato I, parte I), viola altresì l’articolo 117, comma 1 della Costituzione, ai sensi del quale la potestà legislativa regionale, come quella statale, deve essere in ogni caso esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.


3) L’articolo 35 sostituisce l'articolo 16 della L.R. 39/2005 ove al comma 1 viene previsto che: "Gli interventi di cui ai commi 3 e 4 sono soggetti a SCIA, ai fini degli adempimenti in materia edilizia e di energia, nel rispetto delle disposizioni di cui al titolo VI della LR. 1/2005, delle disposizioni di cui ai commi 2, 5 e 6, del presente articolo, nonché nel rispetto degli articoli 3, 3-bis, 3-ter, 8, 10, 18, 20, 21, 26, 39 e 42, della presente legge."
Al riguardo, si ritiene che la predetta disposizione presenti profili dì incostituzionalità in materia di governo del territorio e protezione civile di cui all’art. 117, comma 3, Cost., laddove fa riferimento alla necessità del rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 10 della medesima LR. N. 39/2005 (in materia sismica), per le quali, nella seduta del 3 agosto 2012, il Consiglio dei Ministri aveva deliberato l'impugnativa con riferimento alle modifiche apportate a tale LR n. 39/2005 ad opera della L.R. n. 29/2012, che avevano escluso talune opere dal rilascio delle autorizzazioni per l’inizio dei lavori nelle zone sismiche da parte del competente ufficio tecnico della regione.
Si rammenta che ai sensi dell'articolo 19, comma 1, della legge n. 241/1990, le disposizioni in materia di SCIA non si applicano, tra l'altro, ai casi previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche.
Si fa rilevare, poi, che il fatto che le succitate disposizioni regionali violino i principi fondamentali contenuti nella normativa statale di riferimento nella suddetta materia, che, come noto, impongono specifici obblighi in capo agli Enti regionali, è anche dimostrata dall'abrogazione del comma 5 dell'articolo 12 della LR n. 39/2005 per effetto dell'articolo 32, comma 2, nonché dall'abrogazione della lettera k) del comma 2 dell'articolo 39 della L.R. n. 39/2005, disposta dall'articolo 47, comma 5 della legge in esame.
Infatti, la prima delle predette disposizioni prevedeva, che la Regione potesse intervenire nel procedimento e nella conferenza di servizi di cui al comma 2 (conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione unica), al fine di assicurare il coordinamento interregionale ed infraregionale. La seconda, che il regolamento regionale di attuazione della suddetta LR n. 39/2005 disciplinasse le modalità e forme di redazione e di presentazione degli elaborati progettuali e della documentazione di cui all'articolo 10, commi 5 e 6, da presentare ai competenti uffici regionali ai fini di prevenzione del rischio sismico.

4) L’art. 37, che sostituisce l’art. 17 della l.r. 39/2005, ai commi 2, lett. a) b) f), 3 lett. a), 5 lett. a) b) c), e 11 individua una serie di interventi inerenti l’installazione di impianti a fonti rinnovabili che producono energia elettrica e termica che “non necessitano di titolo abilitativo”.
Tali disposizioni disciplinano in modo diverso il regime abilitativo per gli interventi sopra previsti in difformità con la normativa statale di cui agli articoli 6, comma 11, e 7, commi 1, 2 e 5 del d.lgs. N.28/2011 e con le disposizioni di cui alle linee guida nazionali approvate con D.M. 10 settembre 2010, e pertanto si pone in contrasto con essa in relazione alla natura di principio fondamentale della materia dei regimi di abilitazione alla costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili, eccedendo dalla competenza legislativa concorrente di cui all’articolo 117, comma 3 della Costituzione.
In particolare, l'art. 6, comma 11, del d.lgs. 28/2011, tramite rinvio alle linee guida nazionali, individua gli interventi da assoggettare a mera comunicazione, precisando che "Le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione di cui al precedente periodo ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche”. Lo stesso va affermato per quanto riguarda il regime di abilitazione per gli impianti di produzione di energia termica da fonti rinnovabili come disciplinato dall'art. 7 del d.lgs. 28/2011.
L’art. 7 del d.lgs. 28/2011, commi 1, 2 e 5, prevede, in base alla tipologia di impianto e in presenza di determinate condizioni, l'applicazione di due differenti regimi della Comunicazione (quella di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, e quella di cui ai D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).
Dal raffronto delle disposizioni regionali indicate con le evocate disposizioni nazionali, i profili di contrasto possono essere così sintetizzati:

a) la norma statale (art. 7, commi 1 e 2) consente la comunicazione di inizio lavori secondo il regime speciale di cui al D.P.R. 380/2001 ovvero al d.lgs. 115/2008, qualora ricorrano talune specifiche condizioni; la disposizione regionale (nuovo art. 17, comma 2, lett. a) e b) prevede per gli stessi interventi il regime della comunicazione, senza tuttavia specificare a quale dei due tipi di comunicazione ci si debba riferire (quella di cui al DPR 380/2001 ovvero quella di cui al d.lgs. 115/2008) e senza recepire le condizioni indicate nella norma statale per l'applicazione di tale regime semplificato.
B) la norma statale (art. 6, comma 11) consente alle Regioni di prevedere la Comunicazione per gli impianti a fonte rinnovabile, indipendentemente dalla fonte rinnovabile di alimentazione e dal tipo di energia che producono (elettrica o termica), a condizione che tali impianti abbiano una potenza non superiore a 50 KW; la norma regionale (comma 2, lett. f), prevede illegittimamente l'applicazione della comunicazione agli impianti alimentati da biomassa fino a 0,5 MW termici e quindi di potenza superiore alla soglia dei 50 KW di cui alla norma statale;
c) dal combinato disposto dell’art. 6, comma 11, del d.lgs. 28/2011 e ad paragrafo 12.5, lett. a) delle linee guida nazionali, il regime della comunicazione è applicabile ai singoli generatori eolici, a condizione che siano collocati su edifici esistenti e che abbiano una potenza nominale massima di 50 KW; la disposizione regionale (comma 3, lett. a) non fissa il limite di potenza di 50 KW, ed estende l'applicazione del predetto regime anche agli impianti non collocati su edifici (ad es., a terra).
D) la norma regionale (comma 5, lett. a) contrasta con la norma statale (art. 6, comma 11, d.lgs. 28/2011), nella parte in cui ricomprende tra gli impianti assoggettati a comunicazione anche gli impianti di produzione di energia elettrica e termica alimentati da fonti rinnovabili non fissando per questi ultimi il limite di potenza fino a 50 KW come indicato dalla norma statale;
e) la norma regionale (comma 5, lett. b), assoggetta a comunicazione di inizio lavori gli impianti che producono energia elettrica aventi una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto (che sono quelli con capacità di generazione fino a 200 KW, e in alcuni casi anche superiore a 200 KW) mentre la norma statale (art. 6, comma 11) per l'applicazione della comunicazione fissa il limite di potenza fino a 50 KW.
F) la norma regionale (comma 5, lett.c) contrasta con le norme statali (art. 7, commi 1 e 2. del d.lgs. 28/2011), nella parte in cui assoggetta a comunicazione gli impianti solari termici senza richiamare le condizioni previste dalla predetta norma statale; Inoltre, non viene specificato a quale tipo di comunicazione occorre riferirsi (quella di cui al DPR 380/2001 ovvero quella di cui al d.lgs. 115 /2008); la medesima norma contrasta, inoltre, con l'art,7, comma 5, in quanto consente la collocazione degli impianti in siti diversi da quelli contemplati dalla norma statale che sono gli edifici e gli spazi liberi privati annessi.
Altri profili di incostituzionalità si rilevano nel nuovo art. 17, comma 11, della legge regionale 39/2005, come sostituito dall'art. 37 della legge in esame.
Tale disposizione stabilisce che non necessitano di titolo abilitativo le modifiche e manutenzioni degli impianti di cui agli articoli 11, 13, 15, 16. comma 3, e 16 bis, comma 4, esistenti o in corso di realizzazione; l'art. 13 reca disposizioni relative all'autorizzazione unica e al relativo procedimento di rilascio per la realizzazione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Il predetto art. 17, comma 11, contrasta con quanto previsto dalla normativa nazionale all'art. 5, comma 3, del d.lgs. 28/2011, secondo cui “ Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati per ciascuna tipologia di impianto e di fonte, gli interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica, fermo restando il rinnovo dell’autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Fino all'emanazione del decreto di cui al periodo precedente non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina di cui all'articolo 6 (cioè alla procedura abilitativa semplificata PAS) gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell'area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse. Restano ferme, laddove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto ambientale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152….”

La previsione nazionale rinvia ad un apposito decreto statale la definizione degli interventi di modifica sostanziale degli impianti a fonti rinnovabili che sono da assoggettare ad autorizzazione, dettando i criteri valevoli in via transitoria per individuare le modifiche non sostanziali degli impianti esistenti da assoggettare alla procedura abilitativa semplificata (PAS) nelle more dell'emanazione di detto decreto.

Al riguardo, va ribadito che la individuazione del regime abilitativo anche delle modifiche, in quanto principio fondamentale della materia, spetta al legislatore statale. Ciò sia perché il regime non può che essere lo stesso su tutto il territorio nazionale, pena l’ingiustificata discriminazione tra le iniziative economiche nelle diverse Regioni del Paese, sia perché tale uniformità del regime abilitativo garantisce la sussistenza di un equilibrio tra la competenza esclusiva statale in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia, garantendo, in tal modo, una preventiva ponderazione concertata tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi ambientali, anche attraverso la prevista intesa della Conferenza unificata in ossequio al principio di leale cooperazione in ragione delle diverse materie interessate (tutela del territorio, tutela dell'ambiente, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia).

La norma regionale in quanto assoggetta tout court le modifiche impiantistiche (senza specificarne la natura sostanziale o non) al regime della libera attività, prevedendo quindi la mera comunicazione, contrasta con l'art. 5, comma 3, del d.lgs. 28/2011, che in via transitoria assoggetta a PAS (quindi ad un regime che sebbene semplificato è tuttavia più stringente della mera comunicazione) le sole modifiche non sostanziali e per i soli impianti esistenti.

Per quanto riguarda le modifiche sostanziali degli impianti, va osservato che in attesa dell'emanazione del predetto decreto interministeriale, il legislatore nazionale ha implicitamente fatto salvo il principio, corollario del generale principio di legalità, della identità di forma (contrarius actus) tra il provvedimento abilitativo originario e la sua variante. Le disposizioni regionali indicate contrastano quindi con l'art. 117, comma 3, della Cost., in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”.

Per questi motivi, si ritiene di proporre l’impugnativa della legge regionale in esame dinanzi alla Corte Costituzionale.

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