Dettaglio Legge Regionale

Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti. (3-12-2007)
Valle Aosta
Legge n.31 del 3-12-2007
n.52 del 18-12-2007
Politiche infrastrutturali
14-2-2008 / Impugnata
La legge della Regione Valle d'Aosta n. 31 del 3/12/2007, recante disposizioni in materia di rifiuti, presenta diversi profili di illegittimità costituzionale. Si premette che, nonostante le Regioni abbiano una competenza legislativa concorrente in materia di "governo del territorio", competenza riconosciuta anche alle Regioni a statuto speciale attraverso l'applicazione della clausola di maggior favore, di cui all'art. 10 della l.cost. 3/2001, la materia gestione dei rifiuti rietra nella potestà esclusiva statale per i profili attinenti la tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera s, Cost. Sono, pertanto, vincolanti per i legislatori regionali le disposizioni di cui al d.lgs. 152/2006, che costituiscono standards minimi ed uniformi di tutela dell'ambiente validi sull'intero territorio nazionale. Si segnala, inoltre, che in materia è intervenuto anche il legislatore comunitario con le direttive 75/442/CE e 2006/12/CE, nonché la Corte di giustizia che ha elaborato una consolidata giurisprudenza ed ha provveduto a delineare dei principi generali, soprattutto per quanto concerne la definizione di "rifiuto". Si tratta di principi che non possono essere derogati dalla Regione dato il vincolo del rispetto del diritto comunitario derivante dal combinato disposto dell'art. 117, comma 1, Cost e dell'art. 2, comma 1, l. cost. 4/1948, recante lo Statuto speciale per la Regione Valle d'Aosta.
Sulla base di tali premesse sono censurabili in quanto in contrasto con la normativa statale e comunitaria di riferimento le seguenti disposizioni:
- l'art. 14 è censurabile per diversi aspetti. In primo luogo i commi 1 e 2 che stabiliscono le condizioni al presentarsi delle quali i materiali inerti da scavo costituiscono o meno rifiuti, contrastano con i principi comunitari generali in materia di definizione di rifiuto. In proposito, la Corte di giustizia ha più volte ribadito che al fine di individuare quando una sostanza rientri nella nozione di rifiuto è necessario effettuare una valutazione “caso per caso”. In particolare, nella sentenza C- 9/00, il giudice comunitario ha precisato che il campo di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine “disfarsi”, puntualizzando che l'esecuzione di un'operazione menzionata negli allegati II A o II B della direttiva non permette, di per sé, di qualificare una sostanza o un oggetto come rifiuto e che, inversamente, la nozione di rifiuto non esclude sostanze ed oggetti suscettibili di riutilizzo economico. Infatti, non è possibile adottare esclusioni generalizzate o presunzioni assolute di esclusione dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti, ma è necessario effettuare una valutazione, caso per caso, al fine di verificare se l’intenzione del detentore sia quella di disfarsi del bene o della sostanza stessi dal momento che la dir. 2006/12 stabilisce all'art. 1 che per "rifiuto" debba intendersi qualsiasi sostanza o oggetto che rientri nelle categorie indicate negli allegati e di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi. Tale contrasto con i principi comunitari determina la violazione del combinato disposto degli artt. 117, comma 1, Cost e 2, comma 1 della l.cost. 4/1948 che impongono il rispetto del diritto comunitario e conseguentemente della giurisprudenza comunitaria. Inoltre, le disposizioni in esame contrastano anche con la normativa statale, ossia il d.lgs. 152/2006, che disciplina in modo puntuale le ipotesi in cui le terre e rocce da scavo che siano reimpiegate in un ciclo produttivo non siano da considerasi quali rifiuti, subordinando a condizioni e procedure molto dettagliate, la possibilità di impiegare tali materiali, in esclusione dall'ambito di applicazione della normativa in materia di rifiuti. In particolare, l'art. 186 del decreto su citato prevede che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie ed i residui della lavorazione della pietra destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti sono esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente, ove ciò sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell'ambiente, sempre che la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore a determinati limiti massimi. Si tratta di disposizioni finalizzate alla tutela dell'ambiente; pertanto la loro violazione determina una lesione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ex art. 117, comma 2, lettera s, Cost.
Per le stesse ragioni è censurabile anche il comma 3 della presente disposizione che disciplina la gestione dei materiali inerti da scavo che non costituiscono rifiuti ai sensi dei due commi su indicati.
Il comma 6 della norma in esame prevede che la realizzazione e l'esercizio delle aree di stoccaggio attrezzate dei materiali inerti da scavo non sono assoggettate alle procedure autorizzative di cui al d.lgs. n. 152/2006. Tale regime di esclusione contrasta con quanto disposto dall'art. 186 del decreto su citato che detta una disciplina procedurale per il riutilizzo dei materiali da scavo molto rigorosa e che ne esclude l'applicazione solamente per i materiali inerti da scavo già oggetto di caratterizzazione, non contaminati e, quindi, non rientranti nel regime dei rifiuti. Il mancato rispetto del regime procedurale d cui all'art. 186 del d.lgs. 152/2006 fa venir meno gli standards minimi e uniformi di tutela dell'ambiente di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera s, Cost e detemina, pertanto, la violazione di tale parametro costituzionale.

-L'art. 21, nella misura in cui prevede che i centri comunali di conferimento dei rifiuti urbani non debbano essere autorizzati e che le operazioni di conferimento non siano considerate quali operazioni di recupero o di smaltimento, non appare confome alla normativa comunitaria e nazionale di riferimento. Infatti la direttiva 2006/12/CE ed il d.lgs. 152/2006 prevedono che le "ecopiazzole", o “isole ecologiche” presso cui viene effettuato il conferimento dei rifiuti urbani differenziati devono essere considerate quali centri di stoccaggio (nelle forme della messa in riserva, nel caso in cui i rifiuti siano destinati a successive operazioni di recupero - punto R13 dell'Allegato 2 B della direttiva 2006/12 e punto R13 dell'Allegato C alla parte quarta al D.Lgs.152/06; o del deposito preliminare, nel caso in cui gli stessi siano destinati a successive operazioni di smaltimento - punto D 15 dell'allegato 2 A della direttiva 2006/12/CE e punto D15 dell'Allegato B alla parte quarta al D.Lgs.152/06). Conseguentemente, le operazioni di conferimento dei rifiuti presso tali isole ecologiche e la gestione delle strutture stesse devono essere effettuate nel pieno rispetto delle relative autorizzazioni previste dal D.Lgs.152/06, come più volte statuito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. La norma regionale in questione, dettando disposizioni confliggenti con la normativa comunitaria e nazionale vigente viola il combinato disposto degli artt. 117, comma 1, Cost e 2, comma 1 della l.cost. 4/1948, nonché l'art. 117, comma 2, lettera s, Cost. ai sensi del quale lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di tutela dell'ambiente.

Tali disposizioni sono censurabili anche a fronte delle modifiche apportate agli artt. 183 e 186 del d.lgs. 152/2006 dal d.lgs. 4/2008 che è stato pubblicato il 29 gennaio 2008 seppure non ancora in vigore.

A fronte delle ragioni su evidenziate, la legge in esame deve essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale.

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