Dettaglio Legge Regionale

Istituzione dei parchi naturali regionali ‘Costa Ripagnola’ e ‘Mar Piccolo’. (21-9-2020)
Puglia
Legge n.30 del 21-9-2020
n.132 del 21-9-2020
Politiche infrastrutturali
20-11-2020 / Impugnata
La legge regionale , che istituisce i parchi naturali regionali "Costa Ripagnola" e "Mar Piccolo" , è censurabile con riferimento alle disposizioni contenute negli articoli 8, comma 6, 9, comma 1 lettere f),g) e h), 25, comma 5 e 26, comma 1 e comma 2, lettere g),h) e l) che violano l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., giacché non rispettano il principio della cogente prevalenza dei piani paesaggistici sulla pianificazione delle aree naturali protette, come desunto dall'art. 145, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. n. 42 del 2004 oltre a violare gli articoli da 239 a 253 del codice dell’ambiente, d.lgs. n. 152 del 2006, relativi alla bonifica dei siti inquinanti, materia, quella bonifica, che rientra nelle competenze statali in materia di ambiente.
Si premette che la legge regionale in esame istituisce parchi naturali regionali "Costa Ripagnola" e "Mar Piccolo", ai sensi dell'articolo 23 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e degli articoli 2 e 6 della legge regionale 24 luglio 1997, n. 19 (Norme per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette nella Regione Puglia). In particolare, il Capo I (articoli da 1 a 17) disciplina il parco naturale regionale "Costa Ripagnola", che si estende nei territori dei Comuni di Polignano a Mare e di Monopoli, nonché nell'area marina prospicente, mentre il Capo II (articoli da 18 a 33) disciplina il parco naturale regionale "Mar Piccolo", nel Comune di Taranto.
La normativa regionale, per ciascun parco naturale, stabilisce l'Ente di gestione (articoli 2 e 19), la zonizzazione provvisoria, ossia la suddivisione in tre zone a tutela decrescente (articoli 3 e 20) i contenuti e l'iter di approvazione del Piano per il parco (articoli 4-5 e 21-22), la definizione di misure di salvaguardia (articoli 8 e 25), il regime autorizzatorio (articoli 9 e 26), nonché le sanzioni (articoli 13 e 30).
Entrambi i territori dei parchi naturali, istituiti dalla legge regionale, sono sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in quanto dichiarati di notevole interesse pubblico con i decreti ministeriali 23 dicembre 1982 (Costa Ripagnola) e 1° agosto 1985 (Mar Piccolo).
Si evidenzia che il Piano paesaggistico della regione Puglia (PPTR), approvato nel 2015 e attualmente in vigore, è stato elaborato congiuntamente tra la Regione il Ministero per i beni e le attività culturali , a seguito del Protocollo d'Intesa del 2007 e dell'Accordo del 2015, sottoscritti ai sensi degli articoli 135 e 143, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. n. 42 del 2004. In particolare, è stato oggetto di pianificazione congiunta l'intero territorio regionale, e non soltanto la parte di territorio interessata da specifici vincoli paesaggistici.
Entrambi i territori dei parchi sono quindi sottoposti alla specifica disciplina d'uso prevista nel vigente PPTR, stabilita nelle relative Schede di identificazione e di definizione delle prescrizioni d'uso degli immobili e delle aree di notevole interesse pubblico (Scheda PAE 008 e Scheda PAE 140) e a quella relativa alle componenti presenti nelle aree dei parchi, all'esterno delle aree soggette ai vincoli disposti con i decreti ministeriali sopra richiamati.
I Piani per il parco previsti in relazione alle aree protette individuate dalla legge regionale dovranno quindi essere conformi alle previsioni del PPTR, come peraltro previsto anche dall'articolo 98 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) di quest'ultimo Piano.
Si rappresenta, inoltre, che il Comune di Polignano a mare e il Comune di Taranto non hanno ancora adeguato i propri strumenti urbanistici al PPTR approvato, nonostante sia già trascorso il termine di due anni per l'adeguamento, previsto dall'articolo 145, comma 4, del Codice di settore.
Ciò premesso, si rileva che la normativa regionale in esame, laddove disciplina gli interventi consentiti all'interno dei parchi in modo difforme e peggiorativo rispetto alla disciplina d'uso contenuta nel PPTR vigente, contrasta con il principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico, sancito dall'articolo 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, con ciò violando la competenza esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione.
In particolare:
a) l'art. 8 della legge regionale, concernente le misure di salvaguardia del parco Costa Ripagnola, al comma 6 prevede: "Fatte salve le previsioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), e quelle contenute nel PPTR fino all 'approvazione del piano del parco, l'ente di gestione, ove istituito e operante, oppure il soggetto a cui è affidata la gestione provvisoria ai sensi dell'articolo 14, d'intesa con la struttura regionale di cui all 'articolo 23 della L.R. 19/1997, limitatamente alle zone 2 e 3 di cui all 'articolo 3, per rilevanti motivi dì interesse pubblico e, comunque, nel rispetto delle finalità istitutive del parco, può concedere motivate deroghe ai divieti previsti dal comma 5, per la realizzazione di opere pubbliche, di pubblica utilità e di pubblico interesse".
Nonostante il richiamo al Codice di settore e al PPTR, nella sostanza la Regione consente in realtà all'Ente gestore, in via transitoria, di derogare con propri provvedimenti alla disciplina d'uso contenuta nel PPTR, con ciò violando il predetto principio di gerarchia dei piani, che pone il piano paesaggistico in posizione sovraordinata rispetto a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale o urbanistica, la cui disciplina si impone e non è derogabile dai piani subordinati.
Deve infatti tenersi presente che, ai sensi del PPTR vigente, nell'area corrispondente alla zona 3 del parco Costa Ripagnola, può essere consentita la realizzazione delle sole opere pubbliche e di pubblica utilità, nel caso in cui la Regione, verificata la sussistenza delle condizioni poste dall'articolo 95 delle NTA (ossia la compatibilità dell'intervento con gli obiettivi di qualità di cui all'art. 37 delle stesse NTA e l'assenza di alternative localizzative e/o progettuali), autorizza l'intervento con delibera di Giunta regionale, in deroga alle prescrizioni previste dalla disciplina d'uso.
Conseguentemente, la previsione ora richiamata della legge regionale, se intesa nel senso di fare realmente salve le previsioni del PPTR, risulterebbe priva di ambito applicativo, in quanto prevede un regime di trasformazione del territorio meno stringente rispetto a quello stabilito dalla pianificazione paesaggistica. Come detto, infatti, il PPTR consente, nella predetta zona, soltanto le opere pubbliche e di pubblica utilità, e non anche quelle genericamente di interesse pubblico e permette la realizzazione delle predette opere soltanto sulla base dei rigorosi presupposti stabiliti e previa deliberazione della Giunta regionale. Il vero intento della norma regionale è, quindi, quello di derogare transitoriamente alle previsioni del PPTR, fino all'approvazione del piano per il parco.
Analoghe censure valgono con riferimento con riferimento alle misure di salvaguardia previste per il Parco Mar Piccolo, nel comma 5 dell'articolo 25, che recita : "Fatte salve le previsioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e de/paesaggio ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n 137) e quelle del PPTR, fino all'approvazione del piano del parco, l'ente di gestione, ove istituito e operante, oppure il soggetto a cui è affidata la gestione provvisoria ai sensi dell'articolo 30, d'intesa con la struttura regionale di cui all'articolo 23 della L.R. 19/1997, limitatamente alle zone 2 e 3 di cui all'articolo 20, per rilevanti motivi di interesse pubblico e, comunque, nel rispetto delle finalità istitutive del parco, può concedere motivate deroghe ai divieti previsti dal comma 4, per la realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità.".
b) L'articolo 9 della legge regionale in esame, concernente il regime autorizzatorio del parco Costa Ripagnola, pur facendo formalmente salvi "eventuali vincoli maggiormente restrittivi" nonché "le prescrizioni degli strumenti di pianificazione territoriale e degli strumenti urbanistici vigenti, ove più restrittive", alle lettere f), g) ed h) del comma 1 individua gli interventi edilizi consentiti nelle diverse zone del parco, in contrasto con la disciplina d'uso già prevista nel PPTR.
In particolare, la predetta lettera g) prevede:
"limitatamente alla zona 3 di cui all'articolo 3 e ai fabbricati di recente edificazione, non aventi valore storico-documentale, legittimamente autorizzati alla data di entrata in vigore del parco ricadenti in zona 2 e zona i di cui all'articolo 3, la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del DP.R. 38012001 e gli interventi di nuova costruzione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), del D.P.R. 38012001".
La previsione sembrerebbe consentire la realizzazione, nelle zone i e 2 del parco Costa Ripagnola (cioè quelle sottoposte a maggior grado di tutela ai sensi dell'articolo 3 della legge regionale in esame) solo degli interventi di ristrutturazione dei fabbricati esistenti e legittimi, privi di valore storico-documentale e, nelle zone 3, degli interventi di nuova costruzione, tra i quali sono compresi anche la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati e l'ampliamento di quelli esistenti.
Tale disciplina è in contrasto con quanto previsto dalla Scheda PAE 008, riferita alle prescrizioni dei territori costieri, ove ricadono in gran parte le zone 3, poiché all'interno ditali territori, costituiti dalle fasce di tutela paesaggistica dei 300 metri dalla costa, non è consentita, ai sensi del PPTR, la realizzazione di qualsivoglia opera edilizia, salvo la trasformazione di manufatti legittimamente preesistenti per una volumetria aggiuntiva non superiore al 20 per cento e in presenza di tutte le condizioni predeterminate dal medesimo PPTR, ossia che gli interventi: (i) siano finalizzati all'adeguamento strutturale o funzionale, all'efficientamento energetico e alla sostenibilità ecologica degli immobili; (ii) comportino la riqualificazione paesaggistica dei luoghi; (iii) non interrompano la continuità naturalistica della fascia costiera, assicurando nel contempo l'incremento della superficie permeabile e la rimozione degli elementi artificiali che compromettono visibilità, fruibilità e accessibilità del mare nonché percorribilità longitudinale della costa; (iv) garantiscano il mantenimento, il recupero o il ripristino, di tipologie, materiali, colori coerenti con i caratteri paesaggistici del luogo, evitando l'inserimento di elementi dissonanti e privilegiando l'uso di tecnologie eco-compatibili; (v) promuovano attività che consentono la produzione di forme e valori paesaggistici di contesto (agricoltura, allevamento, ecc.) e fruizione pubblica (accessibilità ecc.) del bene paesaggio.
Analoghe censurabili previsioni, volte a individuare gli interventi edilizi consentiti all'interno del parco, sono contenute nell'articolo 26, comma 1, lettere g), h) e i), per il Parco Mar Piccolo.
Anche in questi casi le norme regionali, ponendosi in contrasto con la disciplina d'uso dei beni paesaggisticamente vincolati posta dal PPTR, sono illegittime per violazione del principio della gerarchia dei piani, sancito dall'articolo 145 del Codice di settore. Il generico richiamo al Codice di settore o al PPTR, in presenza di una disciplina vistosamente difforme, non può certamente servire a mantenere le richiamate previsioni regionali entro il perimetro della legittimità costituzionale, poiché non priva di rilievo o rendendo meno significativa la dedotta violazione.
Nell'impianto del sistema nazionale della tutela del paesaggio, infatti, il piano paesaggistico si pone quale piano direttore generale, sovraordinato a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale, sia urbanistica, sia settoriale. Esso pertanto rappresenta, per così dire, la "Costituzione del territorio", in quanto esprime le scelte di fondo della pianificazione futura del territorio e deve porsi evidentemente e necessariamente in una dimensione temporale di stabilità e di lungo periodo. Conseguentemente, un po' come avviene per la Costituzione nel sistema delle fonti normative, la modifica del predetto piano deve richiedere procedure non ordinarie, ma "rinforzate" e aggravate, che consentano da un lato una più approfondita e meditata valutazione, dall'altro lato una più ampia condivisione, acquisita con la partecipazione determinante di una pluralità di attori istituzionali, che trascenda la singola compagine politico-amministrativa regionale che, in un determinato momento politico-istituzionale, si trova a essere titolare della funzione.
La Corte Costituzionale , anche recentemente, ha affermato: "(...) non può ritenersi ammissibile che una disposizione di legge regionale limiti o alteri, in qualsivoglia forma, il principio di gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali che va considerato, come già affermato nella sentenza n. 182 del 2006, «valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale»; principio ribadito nelle recenti sentenze di questa Corte n. 64 del 2015, n. 197 del 2014 e n. 211 del 2013" (sentenza n. 210 del 2016).
Il piano paesaggistico, a differenza degli altri strumenti di pianificazione, è finalizzato alla protezione e alla pianificazione della tutela delle zone di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori tutelati mediante una disciplina d'uso dei vincoli idonea ad assicurare il superamento dell'episodicità, inevitabilmente connessa all'esame dei singoli interventi autorizzatori, ove decisi "caso per caso" in assenza di piano.
Il piano paesaggistico costituisce pertanto uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico, condizionando, prevalentemente in negativo, la successiva attività di pianificazione del territorio vincolato anche sotto il profilo urbanistico.
Gli strumenti territoriali o urbanistici regionali non possono pertanto prevedere disposizioni diverse o peggiorative rispetto alle disposizioni del piano paesaggistico, potendo eventualmente disciplinare le aree vincolate solo con previsioni aggiuntive e più restrittive, tali da tutelare in modo ancora più pregnante il paesaggio e/o l'ambiente.
Con le norme sopra illustrate, invece, la Regione Puglia ha disciplinato unilateralmente, in maniera diversa e meno restrittiva rispetto alla disciplina d'uso dettata dal PPTR vigente, adottato d'intesa con Io Stato, beni paesaggisticamente vincolati, per di più richiamando, formalmente, il rispetto della predetta disciplina d'uso contenuta nel PPTR, che viene tuttavia svuotata dei suoi contenuti di tutela.
Le norme regionali sopra richiamate, pertanto, violano l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., giacché non rispettano il principio della cogente prevalenza dei piani paesaggistici sulla pianificazione delle aree naturali protette, come desunto dall'art. 145, comma 3, del Codice di settore (cfr. Corte cost., sentenza n. 180 del 2008).
c) Il medesimo 26 rubricato “Regimi autorizzativi” risulta censurabile in relazione alle disposizione contenute negli articoli da 239 a 253 del codice dell’ambiente, d.lgs. n. 152 del 2006 , relativi alla bonifica dei siti inquinanti , considerato che la materia della bonifica rientra nelle competenze statali in materia di ambiente. La disposizione regionale infatti , al comma 1, prevede espressamente che:
«Fermi restando eventuali vincoli maggiormente restrittivi, fino all'approvazione del piano per il parco, oltre agli interventi autorizzati ai sensi dell'articolo 25, comma 5, sono consentiti:
j) gli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale definiti nell'ambito della procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica del Sito di interesse nazionale di cui al decreto ciel Ministero dell'Ambiente 10 gennaio 2000 (Perimetrazione del sito di interesse nazionale di Taranto) e ,finalizzati a minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito».
Un'interpretazione rigorosa della disposizione potrebbe portare a ritenere non consentiti gli interventi diversi da quelli specificamente menzionati (tra cui le misure d'emergenza).
Al contrario, un'interpretazione sistematica della norma stessa parrebbe, invece, condurre all'opposta soluzione di includere tra gli interventi consentiti anche le ulteriori misure di cui alla parte Quarta, Titolo Quinto del decreto legislativo 3 aprile 2006, n, 152.
L'eventuale adesione, dunque, alla prima delle due opzioni interpretative, maggiormente rigorosa, fa emergere profili di illegittimità costituzionale della disposizione regionale per violazione dell'art. 117, secondo comma , lettera s) della Costituzione, che attribuisce alla competenza esclusiva statale la materia "tutela dell'ambiente", in cui è ricompresa la disciplina dei rifiuti (ex plurimis, Corte Cost. sentenze n. 180, n. 149 e n, 58 del 2015, n. 269 del 2014, n. 285 del 2013, n, 54 dei 2012. n.244 e n. 33 del 2011, n.331 e n.278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), nonché, in particolare, la bonifica dei siti inquinati come disciplinata dagli articoli da 239 a 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (sentenze Corte Cost. n. 247 del 2009 e n. 214 del 2008).
Spetta dunque allo Stato disciplinare, pure con disposizioni di dettaglio e anche in sede regolamentare, le procedure amministrative dirette alla prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati (Corte Cost. sentenza n. 126 del 2018), stante la peculiarità dei siti in questione, cui il legislatore ha inteso riconoscere specifica rilevanza attraverso la previsione di una normativa differenziata legata alla specifica destinazione delle suddette aree
La stessa Corte con la sentenza n. 214 del 2008, affrontando il tema della bonifica dei siti contaminati, dopo le modifiche introdotte dal suddetto decreto legislativo n. 152 del 2006, ha precisato che «la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie dì loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato" (Corte Cost. sentenza n. 62 del 2008; sentenza n. 378 del 2007).
Spetta, infatti, alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell'ambiente. "In tali casi, infatti, una eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa in tema di tutela dell'ambiente, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e sproporzionata gli altri interessi confliggenti considerati dalla legge statale nel fissare misure emergenziali specifiche in relazione alla specificità dei siti ivi compresi i cosiddetti valori soglia "(Cfr. Corte Cost. sentenze n. 247 dei 2009, n. 246 del 2006 e n. 307 del 2003).
Pertanto, anche qualora possano rilevarsi ambiti di competenza spettanti alle Regioni, deve ritenersi prevalente la disciplina statale, anche in ragione della sussistenza di un interesse unitario alla regolamentazione omogenea di siti che travalicano l'interesse locale e regionale.
Quanto sopra tenuto, altresì, conto della necessaria incidenza sul «governo dei territorio» di detta disciplina), da ciò derivandone, per tutti gli aspetti concernenti la bonifica latu sensu considerata, "la conseguente compressione delle attribuzioni regionali in materia dì pianificazione, come diretta conseguenza delle esigenze di tutela ambientale, di competenza esclusiva statale, senza che possa profilarsi una violazione delle disposizioni costituzionali sul riparto dì competenze" (Corte Cost. sentenza n. 126 del 2018 anzidetta.

Per questi motivi le disposizioni della legge regionale sopra indicate devono essere impugnate ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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