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Interpretazione autentica del comma 1 dell’articolo 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2005). (31-5-2019)
Calabria
Legge n.14 del 31-5-2019
n.61 del 3-6-2019
Politiche economiche e finanziarie
19-7-2019 / Impugnata
La legge Regione Calabria n. 14 del 2019 recante "Interpretazione autentica del comma 1 dell'articolo 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005)" presenta aspetti illegittimi per quanto di seguito evidenziato:

L'articolo 1 della legge regionale in oggetto reca un’asserita norma di interpretazione autentica dell'articolo 10, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2005, stabilendo che "Il comma 1 dell’articolo 10 della legge regionale 2 marzo 2005 n. 8 ( ... ) deve intendersi come confermativo, senza soluzione di continuità, dei rapporti di lavoro in essere alla data della sua entrata in vigore".
Orbene, la disposizione in esame sembrerebbe avere un contenuto non limitato a una mera funzione interpretativa dell'articolo 10, comma 1, della legge regionale n. 8/2005, bensì teso ad innovarne il contenuto precettivo determinando, di fatto, la trasformazione degli incarichi assegnati a giornalisti professionisti e pubblicisti (". . .possono essere chiamati a contratto giornalisti professionisti e pubblicisti. . . ") in rapporti di lavoro a tempo indeterminato (“ …deve intendersi confermativo, senza soluzione di continuità, dei rapporti di lavoro in essere...").
In altri termini, la norma sembra essere finalizzata ad attuare una "stabilizzazione" dei giornalisti professionisti e pubblicisti chiamati a lavorare "a contratto" presso l'Ufficio stampa regionale, escludendo qualsiasi soluzione di continuità rispetto all'iniziale contratto stipulato.
Al riguardo, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione (sentenze n. 34 del 2004, n. 194 del 2002, n. 1 del 1999, n. 333 del 1993, n. 453 del 1990 e n. 81 del 1983), ed ha ritenuto che possa derogarsi a tale regola solo "in presenza di peculiari situazioni giustificatrici", nell'esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione ed il cui vaglio di costituzionalità non può che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore.
E' stato, inoltre, precisato che «un interesse pubblico per la deroga al principio del pubblico concorso, al fine di valorizzare pregresse esperienze professionali dei lavoratori assunti, può ricorrere solo in determinate circostanze» (sentenza n. 167 del 2013), indicando, in particolare, che la legge «subordini la costituzione del rapporto a tempo indeterminato all'accertamento di specifiche necessità funzionali dell'amministrazione e preveda procedure di verifica dell'attività svolta» (sentenza n. 167 del 2013 e, tra le tante, sentenza n. 189 del 2011 e n. 215 del 2009) e che la deroga sia «contenuta entro determinati limiti percentuali» (ancora sentenza n. 167 del 2013).
In altri termini, se «il principio dettato dall'art. 97 Cost. può consentire la previsione di condizioni di accesso intese a consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione» (sentenza n. 189 del 2011), occorre, tuttavia, che «l'area delle eccezioni alla regola del concorso» sia «rigorosamente delimitata» e non si risolva «in una indiscriminata e non previamente verificata immissione in ruolo di personale esterno attinto da bacini predeterminati» (sentenza n. 227 del 2013). Tanto premesso, va osservato che la legge regionale in esame non fornisce «elementi precisi» idonei a indurre a ritenere più adeguato, al fine del buon andamento dell'amministrazione regionale, il reclutamento dei giornalisti e pubblicisti chiamati a contratto presso l'Ufficio stampa regionale già utilizzati che possano giustificare «una deviazione dal principio generale del pubblico concorso (sentenze n. 52 del 2011 e n. 195 del 2010)» (sentenza n. 227 del 2013).
Alla luce delle suesposte considerazioni, la legge regionale in esame è incompatibile con l'articolo 97, quarto comma, della Costituzione, che sancisce l'obbligo di accedere agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni mediante concorso.
Inoltre, non può non evidenziarsi come la Corte costituzionale abbia, in più occasioni, affermato che:
a) "va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo' (sentenza n. 424 del 1993). Ed ha chiarito che il legislatore può adottare nonne di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore" (ex plurimis: sentenze n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 del 2011, u. 209 del 2010). Inoltre, questa Corte ha anche più volte affermato che il divieto di retroattività della legge, pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica, non è stato elevato a dignità costituzionale salvo la previsione dell'art. 25 Cost. per la materia penale) per cui, allorquando "una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un'interpretazione più aderente all'originaria volontà del legislatore', non è precluso al legislatore di emanare norme retroattive (sentenza n. 150 del 2015). D'altronde, la questione, come rilevato da questa Corte nelle più recenti sentenze rese in materia, non è tanto quella di verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo e sia perciò retroattiva ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, bensì di accertare se la retroattività della legge trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e sia, altresì, sostenuta da adeguati motivi di interesse generale (ex multjs, sentenze n. 69 del 2014 e n. 264 del 2012)" (Corte cost., lO giugno 2016, n. 132);

b) "Al legislatore non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La retroattività deve, tuttavia, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata ('sentenza n. 170 del 2013, che riassume sul tema le costanti indicazioni di principio espresse dalla Corte). Questa Corte ha, pertanto, individuato alcuni limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali tra i quali sono ricompresi "il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nei divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle finzioni costituzionalmente riservate ai potere giudiziario" (sentenza n. 170 del 2013, nonché sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). L'affermazione di principio in forza della quale la distinzione tra norme interpretative e disposizioni retroattive deve ritenersi priva di rilievo al fine che occupa merita, tuttavia, una ulteriore precisazione. In più occasioni, infatti, avuto riguardo alle norme che pretendono di avere natura meramente interpretativa, questa Corte ha ritenuto che la palese erroneità ditale auto-qualificazione può costituire un indice, sia pure non dirimente, della irragionevolezza della disposizione impugnata (in tal senso, sentenze n. 103 del 2013 e n. 41 del 2011). Per contro, l'individuazione della natura interpretativa della norma non può ritenersi in sé indifferente nel bilanciamento di valori sotteso al giudizio di costituzionalità che cade sulle norme retroattive. Se, ad esempio, i valori costituzionali in gioco sono quelli dell'affidamento dei consociati e della certezza dei rapporti giuridici, è di tutta evidenza che l'esegesi imposta dal legislatore, assegnando alle disposizioni interpretate un significato in esse già contenuto, riconoscibile come una delle loro possibili varianti di senso, influisce sul positivo apprezzamento sia della sua ragionevolezza " ... sia della non configurabilità di una lesione dell’affidamento dei destinatari (sentenza n. 170 del 2008). 4.3.3.- Occorre dunque procedere alla corretta individuazione della natura delle norme oggetto di censura in parte qua. Sul punto va ribadito ('ex plurirnis, sentenza n. 314 del 2013) che "va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enunciare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo”. Il legislatore, del resto, può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore (in termini, oltre al precedente già citato, anche le sentenze n. 271 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 170 del 2008)" (Corte cost. 12 aprile 2017, n. 73).
Nel caso di specie, l'articolo 10, comma 1, della legge regionale n. 8 del 1996, nella sua originaria formulazione, prevedeva che "È istituita una struttura speciale denominata Ufficio Stampa che include le testate giornalistiche edite dal Consiglio regionale. In detta struttura, fatti salvi i rapporti di lavoro in corso, possono essere chiamati a contratto giornalisti professionisti e pubblicisti iscritti negli albi professionali, con deliberazione dell'ufficio di Presidenza è definito il contingente di personale. L'incarico è conferito per la durata della legislatura e può essere rinnovato".
L'articolo 10, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2005 ha soppresso l'inciso: "L'incarico è conferito per la durata della legislatura e può essere rinnovato".
Alla luce delle predette considerazioni, è evidente che l'asserita disposizione di interpretazione autentica:
1) non assegna alla norma interpretata un significato già in questa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario;
2) non è finalizzata e a chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto;
3) non consente di ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore a tutela della certezza del diritto e della eguaglianza dei cittadini, principi di preminente interesse costituzionale.
Piuttosto, lungi dal fornire un'interpretazione possibile del testo della legge, ne modifica il contenuto, con efficacia retroattiva, ancorché si tratti di disposizioni entrate in vigore a tempo determinato, consentendo la trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato dei contratti di lavoro in essere alla data di entrata in vigore della disposizione abrogatrice.
Conseguentemente , l'articolo 1 della legge regionale in oggetto risulta essere censurabile anche per violazione dell'articolo 3 della Costituzione, dal momento che esso, seppure qualificato dallo stesso legislatore regionale in termini di norma di interpretazione autentica, non si pone in linea con le indicazioni offerte dalla Corte Costituzionale nello scrutinare, attraverso il sopra menzionato parametro costituzionale, la legittimità delle norme di interpretazione autentica o comunque delle norme dotate di efficacia retroattiva.
In definitiva la norma indicata per le esposte motivazioni deve essere impugnata per il contrasto con gli articoli artt. 3 e 97, quarto comma, della Costituzione come prevede l'art. 127 della Costituzione.

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