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Legge regionale per l’accoglienza e l’inclusione. Modifiche di norme. (29-7-2021)
Sicilia
Legge n.20 del 29-7-2021
n.34 del 6-8-2021
Politiche socio sanitarie e culturali
/ Rinuncia impugnativa

RINUNCIA APPROVATA NEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL 28/07/2022
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2021, il Governo ha deliberato l’impugnativa innanzi alla Corte Costituzionale della Legge regione Siciliana n. 20 del 29/07/2021, pubblicata sul BUR n. 34 del 06/08/2021, recante “Legge regionale per l’accoglienza e l’inclusione. Modifiche di norme”.
1) Il Ministero dell’Interno aveva sollevato profili di illegittimità costituzionale con riferimento all’articolo 3, comma 2, lett. c) e d), all’articolo 6, all’articolo 7, comma 2, lett. d) e all’articolo 14, comma 3, in quanto tali disposizioni eccedono dalle competenze attribuite alla Regione Siciliana dagli artt. 14 e 17 dallo Statuto speciale (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), e violano l’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, il quale attribuisce (lett. a) alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, tra l’altro, la materia del “diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini non appartenenti all’Unione Europea” e (lett. b), la materia dell’“immigrazione”.
2) Il Ministero della Salute aveva inoltre sollevato profili di illegittimità costituzionale con riferimento all’articolo 13 ("Elenco regionale dei mediatori culturali"), il quale viola il riparto di competenze legislative di cui all'art. 117, comma 3 della Costituzione.
Successivamente la Regione Siciliana con legge regionale del 22/03/2022, n. 4 “Norme in materia di riutilizzo delle acque reflue urbane. Modifiche alla legge regionale 29 luglio 2021, n. 20”, ha modificato, attraverso l'Art. 7. - "Modifiche alla legge regionale 29 luglio 2021, n. 20" - le disposizioni oggetto di impugnativa, nel senso ritenuto satisfattivo e coerente con le osservazioni formulate da parte del Ministero dell'Interno.
Il Consiglio dei Ministri nella seduta del 12 maggio 2022 ha deliberato la non impugnativa del summenzionato articolo 7. - "Modifiche alla legge regionale 29 luglio 2021, n. 20" della legge regionale del 22/03/2022, n. 4.
Considerato, pertanto, che è venuto meno l’interesse a coltivare il ricorso pendente dinanzi alla Corte Costituzionale con riferimento all’articolo 3, comma 2, lett. c) e d), all’articolo 6, all’articolo 7, comma 2, lett. d), dell'articolo 13 e all’articolo 14, comma 3, su parere conforme del Ministero dell'Interno e del Ministero della Salute e acquisite, peraltro, le rassicurazioni da parte della Regione Siciliana circa la non applicazione “medio tempore” delle norme impugnate, sussistono i presupposti per la rinuncia all’impugnativa pendente.
Si propone, pertanto, la rinuncia totale all’impugnativa della legge regionale n. 20 del 2021.


29-9-2021 / Impugnata
La legge regionale n. 20/2021, recante “Legge regionale per l’accoglienza e l’inclusione. Modifiche di norme” presenta profili di illegittimità costituzionale con riferimento all’articolo 3, comma 2, lett. c) e d), all’articolo 6, all’articolo 7, comma 2, lett. d) e all’articolo 14, comma 3, in quanto tali disposizioni eccedono dalle competenze attribuite alla Regione Siciliana dagli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), e violano l’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, il quale attribuisce (lett. a) alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, tra l’altro, la materia del “diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini non appartenenti all’Unione Europea” e (lett. b), la materia dell’“immigrazione”.
Con la legge in esame, la Regione Siciliana detta disposizioni in materia di accoglienza e inclusione sociale che, nell’asserito “esercizio delle proprie competenze”, si riferiscono ai cittadini di stati non appartenenti all’Unione europea - ivi compresi i richiedenti e i titolari di protezione internazionale, nonché i beneficiari di protezione complementare – e agli apolidi dimoranti nel territorio della Regione.
Al riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr., ex multis, sentenza 12 aprile 2010, n. 134), deve essere riconosciuta la possibilità di interventi legislativi delle Regioni con riguardo al fenomeno dell’immigrazione, per come previsto dall’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo n. 286/1998, recante il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero”, secondo cui “Nelle materie di competenza legislativa delle Regioni, le disposizioni del presente testo unico costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione”.
Tuttavia tale potestà legislativa regionale non può riguardare profili fondamentali di disciplina della materia dell’immigrazione (quali, ad esempio, le politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale), rimessi alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ma “altri ambiti, rientranti nelle competenze regionali, come il diritto allo studio o all’assistenza sociale, attribuiti alla competenza concorrente e residuale delle Regioni (sentenze n. 50 del 2008 e n. 156 del 2006), ovvero l’assistenza in genere e quella sanitaria in particolare, peraltro secondo modalità (in necessario previo accordo con le prefetture) tali da impedire comunque indebite intrusioni” (sentenza n. 300 del 2005).
Si sottolinea, altresì, che, secondo il medesimo articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, le disposizioni del citato Testo unico “hanno il valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica”.

Quanto sopra premesso, dall’esame dell’articolato si individuano talune disposizioni che appaiono illegittime per contrasto con il predetto articolo 117, secondo comma, lett. a) e b).

1) In particolare, si richiama in primo luogo l’articolo 3, comma 2, lett. c) e d) della legge regionale.
La lettera c) prevede che la Regione “valuta l’efficacia e l’efficienza degli interventi attuati sul territorio regionale ... effettuando l’analisi e il monitoraggio del fenomeno migratorio…”: la formulazione riportata potrebbe determinare distorsioni in sede interpretativa ed applicativa, laddove le valutazioni sull’efficacia ed efficienza degli interventi e il monitoraggio andassero ad interessare attività o interventi disposti dallo Stato per i profili di propria competenza esclusiva, ovvero le prestazioni e i servizi resi nei centri e strutture di accoglienza presenti nel territorio regionale, con evidente violazione delle prerogative statali in materia.
Per quanto riguarda i centri e strutture di accoglienza dei richiedenti asilo, infatti, l’articolo 20 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, norma interposta, rimette al Ministero dell’interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, che si avvale anche delle Prefetture del territorio, il monitoraggio e il controllo della gestione delle strutture di accoglienza previste dal medesimo decreto.

2) Con riferimento all’articolo 3, comma 2, lett. d) - il quale prevede che la Regione “promuove la formazione e l’aggiornamento degli operatori della pubblica amministrazione e delle associazioni ed enti che svolgono servizi specifici in materia di accoglienza ed inclusione” - si evidenzia preliminarmente che l’articolo 10 del decreto legislativo n. 142/2015 (norma interposta), al comma 5, dispone che “Il personale che opera nei centri è adeguatamente formato ed ha l’obbligo di riservatezza sui dati e sulle informazioni riguardanti i richiedenti presenti nel centro”. Quest’ultima disposizione, riferita al personale operante dei centri e strutture di accoglienza di cui agli articoli 9 e 11 del cennato decreto legislativo, è espressione della competenza esclusiva statale in subiecta materia, rispetto alla quale non appare conforme al principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione una sovrapposizione da parte della normazione regionale.

3) In relazione all’articolo 6, che prevede e disciplina il “Piano triennale per l’accoglienza e l’inclusione”, si richiama l’articolo 16 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (norma interposta), il quale, al comma 1, prevede che “Il Tavolo di coordinamento nazionale, insediato presso il Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, di cui all'articolo 29, comma 3, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, individua le linee di indirizzo e predispone la programmazione degli interventi diretti a ottimizzare il sistema di accoglienza previsto dal presente decreto, compresi i criteri di ripartizione regionale dei posti da destinare alle finalità di accoglienza di cui al presente decreto. I criteri di ripartizione regionale individuati dal Tavolo sono fissati d’intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281”.
Il successivo comma 3 prevede che “Le linee di indirizzo e la programmazione predisposti dal Tavolo di cui al comma 1 sono attuati a livello territoriale attraverso Tavoli di coordinamento regionale insediati presso le prefetture - uffici territoriali del Governo del capoluogo di Regione, che individuano, i criteri di localizzazione delle strutture di cui agli articoli 9 e 11, nonché i criteri di ripartizione, all'interno della Regione, dei posti da destinare alle finalità di accoglienza di cui al presente decreto, tenuto conto dei posti già attivati, nel territorio di riferimento, nell'ambito del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati di cui all'articolo 14”.
La disposizione regionale, che prevede una programmazione di “linee strategiche e indirizzi”, avulsa dai cennati strumenti di coordinamento, è suscettibile di impattare con la competenza esclusiva statale di cui all’articolo 117, secondo comma.

4) In relazione all’articolo 7 della legge, rubricato “Programma annuale”, si richiama l’attenzione, in particolare, sul comma 2, lett. d).
Tale disposizione prevede che “La Regione, attraverso il programma annuale, promuove l’azione dei comuni che, anche in forma associata, favoriscono l’esercizio dei diritti dei destinatari della presente legge… e, in particolare, attivano i seguenti servizi…: d) interventi di assistenza e di prima accoglienza per coloro che versano in condizioni di vulnerabilità;”.
Sul punto, occorre richiamare l’articolo 8 del decreto legislativo n. 142/2015 citato, rubricato “Sistema di accoglienza”, come sostituito dall’articolo 4, comma 1, lett. a), del decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173: la norma, al comma 2, prevede che “Le funzioni di prima assistenza sono assicurate nei centri di cui agli articoli 9 e 11, fermo restando quanto previsto dall’articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per le procedure di soccorso e di identificazione dei cittadini stranieri irregolarmente giunti nel territorio nazionale”.
Il successivo comma 3 dispone che “L’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale è assicurata, nei limiti dei posti disponibili, nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione, di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39”.
L’articolo 9 del cennato decreto legislativo, rubricato “Misure di prima accoglienza”, al comma 1 prevede che “Per le esigenze di prima accoglienza e per l’espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica, lo straniero è accolto nei centri governativi di prima accoglienza istituiti con decreto del Ministro dell’interno… secondo la programmazione e i criteri individuati dal Tavolo di coordinamento nazionale e dai Tavoli di coordinamento regionale ai sensi dell’articolo 16….”. Il comma 2 prevede che “La gestione dei centri di cui al comma 1 può essere affidata ad enti locali, anche associati…”

Ciò premesso, l’articolo 7, comma 2, lett. d) citato, nel prevedere una programmazione che può incidere sui summenzionati aspetti di competenza esclusiva statale, senza alcun riferimento agli strumenti di coordinamento all’uopo istituiti dalla vigente normativa nazionale, si pone in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, della Costituzione.
Inoltre, appare illegittimo, in quanto invasivo della competenza esclusiva statale, il riferimento alla “prima” accoglienza, atteso che i vulnerabili sono destinati all’accoglienza nel Sistema di accoglienza e integrazione di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 “in via prioritaria” (art. 9, comma 4-bis, d. lgs. n. 142/2015).

5) Un ulteriore rilievo va effettuato in relazione all’articolo 14, comma 3, della legge regionale, rubricato “Assistenza socio-sanitaria”.
La disposizione prevede che “L’Assessore regionale per la salute promuove: a) l’adozione di strumenti … per il monitoraggio della situazione sanitaria e degli interventi attuati dagli enti competenti”.
La formulazione appare foriera di incertezze interpretative, che potrebbero sfociare nell’ipotesi di un monitoraggio generalizzato sui centri e strutture di accoglienza, con un evidente impatto sulla competenza esclusiva statale in materia di immigrazione. Ciò deriva, in particolare, dal riferimento generalizzato al monitoraggio “degli interventi attuati dagli enti competenti”, che appare configurare un monitoraggio esteso anche all’attività poste in essere dagli organi statali, con un’evidente violazione del riparto di competenze delineato dall’articolo 117 Cost.

6) L'articolo 13 si propone di favorire l’individuazione dei mediatori culturali operanti sul territorio e promuove una maggiore diffusione di tale figura professionale anche presso i servizi sanitari.
A tal proposito, è opportuno precisare che, in assenza di un’organica disciplina nazionale della figura del mediatore culturale, anche altre Regioni hanno assunto iniziative per razionalizzare i percorsi di formazione professionale rivolti all’acquisizione della relativa qualifica, ma l’iniziativa della regione Sicilia non si limita a questo inserendo tale figura nel Repertorio delle qualificazioni professionali.
La legge in esame, quindi, non solo istituisce un elenco regionale, ma attribuisce all’assessore competente la funzione di disciplinare, con proprio decreto, i requisiti di iscrizione a tale elenco.
Si rileva, inoltre, che la peculiare situazione normativa concernente il riconoscimento della professione del mediatore culturale dipende anche dal fatto che le sue competenze siano richieste, con differenti aree di specializzazione, in settori eterogenei.
Tale norma con riferimento all'ambito sanitario e socio-sanitario è illegittima per violazione dei principi fissati a livello statale in materia di "professioni" ai sensi dell'articolo 117, comma 3, Cost.
In particolare, si fa presente che l'articolo 14, comma 4, del decreto legge 158 del 2012 stabilisce che "con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono disciplinati il funzionamento e l'organizzazione dell'Istituto" Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà (INMP).

In attuazione di tale disposizione è stato emanato il decreto del ministero della salute n. 56 del 2013 che evidenzia che il legislatore ha individuato nell'INMP il centro di riferimento nazionale per la mediazione transculturale e che il decreto ministeriale n. 56 del 2013 ha assegnato all’Istituto la funzione di promuovere “l’adozione, a livello nazionale, del curriculum educativo-formativo del mediatore transculturale in ambito sanitario, attraverso la previsione di specifici percorsi formativi specializzanti con il coinvolgimento delle regioni”.
Le disposizioni normative in materia sono espressione del principio secondo cui “l"individuazione delle fìgure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifìco collegamento con la realtà regionale” (C. cost. 98/ 2013 e 47/ 2018) e, dunque, oltre a poter essere considerate nell'ambito della verifica precedentemente suggerita, convergono verso la necessità di una stretta e leale collaborazione tra amministrazione regionale e amministrazione statale nell'individuazione di requisiti che possano integrare, in concreto, il profilo professionale del mediatore transculturale in ambito sanitario e sociosanitario.
Ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lett. b), del decreto, è l'INPM a dover promuovere "l'adozione, a livello nazionale, del curriculum educativo-formativo del mediatore transculturale in ambito sanitario, attraverso la previsione di specifici percorsi formativi specializzanti con il coinvolgimento delle regioni".

Ne consegue l'illegittimità costituzionale della norma regionale segnalata nella parte in cui la stessa prevede l'inserimento della figura del mediatore culturale nel Repertorio delle qualificazioni professionali e attribuisce all'assessore competente la funzione di disciplinare, con proprio decreto, i requisiti di iscrizione a tale elenco, essendo, invece, tale competenza ad appannaggio esclusivo dell'INMP, in contrasto con la normativa statale sopra richiamata, in violazione dell'articolo 117, terzo comma Cost. in materia di "professioni".


Per i suesposti motivi, si ritiene di sollevare la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale in relazione agli articoli 3, comma 2, lett. c) e d), 6, 7, 13 e 14, comma 3.

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