Dettaglio Legge Regionale

Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata. (22-11-2018)
Basilicata
Legge n.38 del 22-11-2018
n.50 del 22-11-2018
Politiche economiche e finanziarie
/ Rinuncia parziale
RINUNCIA PARZIALE

Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 17 gennaio 2019 è stata impugnata da parte del Governo la legge della Regione Basilicata del 22 novembre 2018, n. 38 pubblicata sul BUR n. 50 del 22/11/2018 recante: ”Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata”.

Tra le varie disposizioni per le quali è stata deliberata l’impugnativa, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione, sono ricomprese le seguenti:

• l’art. 28, che, nel modificare l’articolo 10, comma 2, l.r. n. 2/1995, rubricato “Soccorso di fauna selvatica in difficoltà”, introduceva, di fatto, la tutela degli animali esotici, non prevista dal legislatore statale nella legge n. 157/1992 ed istituiva i Centri di Recupero degli Animali Selvatici ed Esotici (C.R.A.S.E). In merito, non è ammissibile la tutela contestuale degli animali negli stessi Centri, poiché lo stato sanitario degli animali esotici e la loro provenienza, il più delle volte sconosciuta, ostacolano la prevenzione di malattie. La disposizione violava i principi fondamentali dati dal legislatore statale per tutelare la salute umana e animale, con conseguente violazione dell’art. 117, comma 3, Cost..

• l’art. 42, il quale stabiliva che le disposizioni contenute negli articoli precedenti (29, 30, 31, 34 e 36), relativi a procedure per la realizzazione di impianti energetici, si applicassero anche ai procedimenti pendenti. La norma impugnata si poneva in contrasto con il principio tempus regit actum e violava l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con riferimento alla materia del governo del territorio e dell’energia. Al riguardo, peraltro, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 64 del 2013, ha dichiarato illegittima l’analoga norma della Regione Veneto che disponeva la sua applicazione "ai procedimenti in corso".
Successivamente la Regione Basilicata, con la legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 recante “Ulteriori disposizioni urgenti in cari settori d'intervento della Regione Basilicata”, ha apportato nei confronti delle disposizioni oggetto di censure, rispettivamente con gli articoli 16 e 18, modifiche tali da eliminare i motivi di illegittimità costituzionale.

Il Ministero della Salute ed il Ministero della Giustizia hanno espresso parere favorevole alla rinuncia parziale dell’impugnativa, relativa alle sole disposizioni citate e la Regione Basilicata ha comunicato di non aver dato alle stesse alcuna applicazione.

Considerato che appaiono venute meno le ragioni che hanno determinato l'impugnativa delle disposizioni della legge regionale sopra indicate, sussistono i presupposti per rinunciare al ricorso nei confronti di dette disposizioni.

Si propone pertanto la rinuncia parziale all'impugnazione della legge della Regione Basilicata del 22 novembre 2018, n. 38, limitatamente agli articoli 28 e 42.

Permangono ancora validi gli ulteriori motivi di impugnativa di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 17 gennaio 2019.
17-1-2019 / Impugnata
La legge della Regione Basilicata n. 38 del 22 novembre 2018, recante "Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata", contempla molteplici disposizioni che sono costituzionalmente illegittime, per i profili che di seguito si illustrano e va pertanto impugnata ai sensi dell’articolo 127 Cost.

Art.24

Art. 24 - "Personale di enti pubblici economici o di società a totale partecipazione pubblica in servizio presso gli uffici della Regione Basilicata".
L’articolo recita: «Al fine di razionalizzare l'impiego del personale a tempo indeterminato appartenente ad enti pubblici economici o a società a totale partecipazione pubblica in servizio presso gli uffici della Regione Basilicata da almeno cinque anni se ne dispone, a domanda, il passaggio nei ruoli regionali, nel rispetto della normativa vigente in materia di limiti alla spesa per il personale».
La disposizione in questione, che prevede il transito automatico nell’organico della Regione Basilicata del personale dipendente a tempo indeterminato in servizio, da almeno cinque anni, negli enti pubblici economici e società a totale partecipazione pubblica, senza il previo espletamento di una procedura concorsuale pubblica, alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale, non è conforme agli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione .
La medesima potrebbe ascriversi alla categoria delle c.d. leggi provvedimento, ovvero di quelle leggi le quali incidono su un numero determinato e limitato di destinatari, e presentano un contenuto particolare e concreto (per la definizione, si veda per tutte Corte Cost. 20 novembre 2013 n.275).
Come noto, per costante giurisprudenza della Corte, le leggi provvedimento non sono di per sé contrarie alla Costituzione, la quale non contiene alcuna riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a contenuto particolare e concreto: devono però sottostare “ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio".
Applicando tali principi al caso di specie, è indubbia la non conformità della disposizione con il disposto degli articoli 3, 51 e 97 ultimo comma della Costituzione, considerato che la giurisprudenza della Corte Costituzionale afferma che la regola del pubblico concorso ammette eccezioni "rigorose e limitate", subordinate a due requisiti. In primo luogo esse devono rispondere ad una "specifica necessità funzionale" dell'amministrazione, ovvero a "peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico". In proposito, è stato chiarito che non integrano valide ragioni di interesse pubblico né l'esigenza di consolidare il precariato né quella di venire incontro a personali aspettative degli aspiranti (così Corte Cost. 3 marzo 2006 n. 81) né tantomeno esigenze strumentali di gestione del personale da parte dell'amministrazione (cfr. Corte Cost. 4 giugno 2010 n. 195). Al contrario, un concorso riservato può essere giustificato solo quando si tratti di esigenze desumibili da funzioni svolte dall'amministrazione e in particolare, quando si tratti di consolidare specifiche professionalità che non potrebbero essere acquisite all'esterno dell'amministrazione e, quindi, giustificano che ci si rivolga solo a chi già ne è dipendente in una data posizione.
In secondo luogo, le eccezioni alla regola del pubblico concorso devono prevedere comunque adeguati accorgimenti idonei a garantire la professionalità del personale assunto.
Nel caso di specie, non sono individuate le professionalità acquisite da tali soggetti e con riferimento ai soggetti provenienti dalle società a partecipazione pubblica difetta, comunque, il requisito del superamento di un pubblico concorso.
Nella recente sentenza n. 40 del 2018 si afferma che la necessità del concorso pubblico è stata ribadita con specifico riferimento a disposizioni legislative che prevedevano il passaggio automatico all'amministrazione pubblica di personale di società in house, ovvero di società o associazioni private; è stato altresì specificato che il trasferimento da una società partecipata dalla Regione alla Regione stessa o ad altro soggetto pubblico regionale si risolve in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo, in violazione dell'art. 97 Cost.
Sulla stessa impronta le sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del 2014, n. 227 del 2013, n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011, n. 267 del 2010, n. 363 e n. 205 del 2006.
La disposizione regionale contrasta, pertanto, con il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 e dall’articolo 51 della Costituzione, il quale stabilisce che tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza; con l’articolo 97, il quale prescrive la regola del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni.

Art. 28

L’art. 28 modifica l’art. 10 rubricato "Soccorso di fauna selvatica in difficoltà" della legge regionale 9 gennaio 1995, n. 2, con la quale, nel rispetto dei principi stabiliti dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 e delle convenzioni internazionali, il legislatore regionale ha disciplinato la gestione del territorio regionale ai fini faunistici, l'esercizio dell'attività venatoria, la tutela di tutte le specie appartenenti alla fauna selvatica.
Si premette che la legge 157/1992, nel dettare le “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” specifica, all’art. 1, comma 3, che “le Regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità della presente legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie”.
L’art. 10, comma 2, come modificato dall’articolo 28 della legge regionale n. 38/2018, introduce, di fatto, anche la tutela degli animali esotici nei seguenti termini: “Per la cura e la riabilitazione della fauna selvatica, la Regione si avvale dei Centri di Recupero degli Animali Selvatici ed Esotici (C.R.A.S.E)”, la disposizione introduce, quindi, una tutela che non è prevista dal legislatore statale nella legge 157/1992. In merito, è necessario evitare che gli animali esotici, il cui stato sanitario e la cui provenienza il più delle volte non è nota, siano messi nei centri di recupero della fauna selvatica ed in contatto con la stessa, per motivi di benessere animale e in ossequio a evidenti principi di prevenzione e di precauzione. Infatti, gli animali selvatici di cui alla L. 157/1992, qualora in difficoltà, non devono essere gestiti né venire in contatto con altri animali il cui stato sanitario sia ignoto o con animali mantenuti per altre finalità.
La disposizione regionale contrasta in tal senso con i principi fondamentali dati dal legislatore statale per tutelare la salute umana e animale, con conseguente violazione l’art. 117, comma 3, Costituzione in materia di tutela della salute.

Art. 30

L’art. 30, comma 1, della legge regionale in oggetto disciplina l’estensione delle aree nelle quali più iniziative possono integrare casi di cumulo degli impianti FER e ciò ai fini della verifica di assoggettabilità alla VIA. In particolare, si prevede che, al fine di evitare l'elusione della normativa ambientale e impedire la frammentazione artificiosa di un progetto, e/o di considerare un singolo progetto anche in riferimento ad altri progetti appartenenti alla stessa categoria localizzati nel medesimo contesto territoriale, che per l'effetto cumulo determinano il superamento della soglia dimensionale fissata dall'allegato IV - Parte II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 , l'ambito territoriale da considerare, ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, per la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (VIA) è definito da una fascia:
• Individuata dal raggio di 1 km misurato a partire dal centro per le opere puntuali, elevato a 2,00 km nelle aree non idonee individuate dalla presente legge;
• di 1 km misurato a partire dal perimetro esterno dell'area occupata per le opere areali, elevato a 2 km nelle aree non idonee ai sensi della presente legge;
• di 500 metri dall'asse del tracciato per le opere lineari.

Il comma 2 dello stesso art. 30 stabilisce poi che la contestuale presenza di almeno due delle suddette condizioni comporta la riduzione al 50% delle soglie relative alla specifica categoria progettuale riportata nell'allegato IV Parte II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

Al riguardo, va osservato che l’art. 30 in commento, violando le disposizioni statali in materia, si risolve in un ingiustificato aggravio procedimentale stabilendo i casi in cui le iniziative siano da considerare tout court come cumulate sotto un profilo della verifica di assoggettabilità a VIA. In particolare è richiamato l’art. 4 del d.lgs. 28 del 2011 il quale al comma 3 prevede che “Al fine di evitare l'elusione della normativa di tutela dell'ambiente, del patrimonio culturale, della salute e della pubblica incolumità, omissis, le Regioni e le Province autonome stabiliscono i casi in cui la presentazione di più progetti per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e localizzati nella medesima area o in aree contigue sono da valutare in termini cumulativi nell'ambito della valutazione di impatto ambientale”. Si vede come la legge regionale in esame abbia applicato alla verifica di assoggettabilità alla VIA ciò che era previsto per la sola VIA e del tutto coerentemente con il sistema e le soglie di potenza per l’assoggettamento alla medesima VIA. L’aggravio procedimentale del tutto ingiustificato è poi acuito dalla previsione di cui al comma 2 dell’art. 30 dove le soglie sono dimezzate in caso di ricorrenza di due delle condizioni previste al comma 1. Si ritiene dunque che la disposizione regionale vada a frustrare l’esigenza di uniformità normativa sul territorio nazionale sia sotto il profilo della tutela ambientale (art. 117, comma 2, lett. s) Cost.) sia sotto il profilo dell’autorizzazione degli impianti alimentati a fonte rinnovabile, violando l’art. 117, comma 3, Cost. produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia.

Art. 32, “Sostituzione dell'art. 6 della legge regionale 26 aprile 2012, n. 8”, comma 1, lettere a.3), b.3) e b.4) e comma 2
L'articolo 32 della legge regionale in parola abroga e sostituisce interamente l'articolo 6 della legge regionale n. 8 del 26 aprile 2012, recante "Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili".
In materia, il legislatore statale, attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che, per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale, in quanto appunto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
La neointrodotta previsione, sotto la rubrica "Limiti all'utilizzo della PAS per gli impianti eolici e fotovoltaici", stabilisce in 200 kW la soglia di potenza massima entro la quale poter utilizzare la Procedura Abilitativa Semplificata (PAS), rispetto alla soglia di 1 MW stabilita in precedenza; ciò nel rispetto delle previsioni di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante "Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili” che assegna alle Regioni la possibilità di elevare, e di ridurre, la soglia di applicabilità della PAS fino a 1 MW.
Lo stesso articolo 6, al comma 1, lettere a.3) e b.3) nell'elencare, altresì, le condizioni da rispettare per poter accedere alla PAS, introduce la condizione della "distanza dagli altri impianti eolici (e fotovoltaici) o impianti FER presenti ovvero autorizzati, non inferiore a 1 km misurato tra i punti più vicini del perimetro dell'area occupata dall'impianto".
L'indicazione di una distanza minima tra un impianto FER - fonti di energia rinnovabili - e un altro, non prevista in alcuna norma di rango statale, contrasta con l'articolo 117, comma 3, della Costituzione, in relazione alla materia oggetto di potestà legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», con riferimento al parametro interposto statale costituito dall'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), e con il paragrafo 1.2 e 17.1 delle discendenti Linee guida nazionali approvate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), recanti specifici indirizzi in merito alla individuazione delle aree non idonee.
Il paragrafo 1.2 citato recita, infatti, che “Le sole Regioni e le Province autonome possono porre limitazioni e divieti in atti dì tipo programmatorio o pianificatorio per l'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti rinnovabili ed esclusivamente nell'ambito e con le modalità di cui al paragrafo 17.” Il paragrafo 17.1. prosegue stabilendo che “Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee guida, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all'allegato 3. L'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da richiamare nell'atto di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate.”
Lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili costituisce un obiettivo rilevante della politica energetica dell'Unione europea. Per il perseguimento di tale finalità sono state emanate, fra le altre, la direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, nel mercato interno dell'elettricità, e la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE (Testo rilevante ai fini del SEE).
In particolare, i regimi abilitativi degli impianti per la produzione di energia rinnovabile sono regolati dalle Linee guida di cui all'anzidetto decreto ministeriale 10 settembre 2010, adottate in attuazione del comma 10 dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, e richiamate nel decreto legislativo n. 28 del 2011.
Si tratta di atti di formazione secondaria che costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria. Essi rappresentano un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale (cfr. sentenza n. 99 del 2012 Corte Cost.).
Al riguardo, occorre evidenziare che analoga questione ha già costituito esame da parte della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 13 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Campania 1 luglio 2011, n. 11 (Disposizioni urgenti in materia di impianti eolici), per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto “il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale…..non permette in alcun modo che le Regioni prescrivano limiti generali, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea.”
In particolare, tale legge regionale prescriveva le distanze da rispettare per la costruzione di nuovi aerogeneratori, imponendo un vincolo da applicarsi in via generale sul territorio regionale, in violazione dei princìpi fondamentali contenuti nell'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003 e nelle discendenti Linee guida ministeriali.
Alla luce di siffatta previsione normativa la Corte ha ritenuto che, in base a tali disposizioni, alle Regioni sia consentito soltanto individuare, caso per caso, «aree e siti non idonei», avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti.
In precedenza, già con la sentenza n. 308 del 2011, si era affermata l'illegittimità costituzionale di disposizioni che prevedevano un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Da ultimo poi, con sentenza n. 69 del 2018, la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 111, commi 2 e 5, della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 nella parte in cui fissa le distanze minime per la collocazione degli impianti a fonte rinnovabile rispetto alle residenze civili sparse e concentrate.
Per la Corte infatti, "alle Regioni è consentito soltanto individuare, caso per caso, «aree e siti non idonei», avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti. Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale non permette invece che le Regioni prescrivano limiti generali, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell'Unione europea".
La soluzione legislativa adottata dalla Regione, nello stabilire, in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla disciplina statale, non garantisce il rispetto dei principi fondamentali di tutela della salute e di legalità, di cui all'articolo 117, terzo comma e 97 Costituzione, e non permette un'adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.
I principi stabiliti dalla sentenza citata sono stati più volte espressi dalla Corte anche in pronunce precedenti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale che si colloca all'interno del quadro normativo statale ed eurounitario che regola la materia.
Sul punto si evidenzia che il principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile può trovare eccezione in presenza di esigenze di tutela della salute, paesaggistico-ambientale e dell'assetto urbanistico del territorio (sentenze n. 13 del 2014 e 224 del 2012 Corte Cost.). Tuttavia la compresenza dei diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente rilevanti, ha come luogo elettivo di composizione il procedimento amministrativo, come previsto al paragrafo 17.1 dalle Linee guida, secondo cui, come già enunciato, «[...] l'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione [...]».
È dunque nella sede procedimentale che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, nel confronto sia con l'interesse del soggetto privato operatore economico che (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela.
La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibile l'emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi): efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza.
Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l'imparzialità della scelta, alla stregua dell'articolo 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso articolo 97 Cost. In definitiva viene in tal modo assicurato il rispetto del principio di legalità - anch'esso desumibile dall'art. 97 Cost. - in senso non solo formale, come attribuzione normativa del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la fonte normativa di attribuzione.
Pertanto la soluzione legislativa adottata dalla Regione, nello stabilire in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla disciplina statale, non garantisce il rispetto di questi principi fondamentali e non permette un'adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.
Anche la disposizione di cui al punto b.4) del comma 1 del medesimo art. 32, che introduce l’ulteriore condizione della “disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a 3 volte la superficie del generatore fotovoltaico, sul quale non potrà essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile” contrasta con l’art. 12 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 che per l’autorizzazione unica (cioè per un regime abilitativo più complesso) prevede al comma 4 bis “la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto”. Ricorre dunque la violazione di un principio fondamentale della materia, ineludibile dalle Regione con un aggravamento ingiustificato degli oneri a carico dell’operatore anche sotto il profilo del divieto di altre iniziative nell’area, per la quale si concretizza non solo la violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., per contrasto con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, e del paragrafo 1.2. delle Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (DM 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le modalità di individuazione delle aree non idonee, ma anche dell’art. 41 Cost sulla libertà di iniziativa economica privata e dell’art. 117, comma primo, Cost. (cfr art 1 del d. lgs. 79/1999 che sancisce, in attuazione della direttiva 96/92/CE, la liberalizzazione del mercato elettrico, ivi compresa dell’attività di produzione di energia elettrica).
Il comma 2 del medesimo art. 32 stabilisce le condizioni in presenza delle quali più impianti, che singolarmente presi hanno potenza inferiore a 200 kW, sottostanno ad autorizzazione unica quando siano “riconducibili ad un solo soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, ovvero siano riconducibili allo stesso centro decisionale ai sensi dell'articolo 2359 del Codice Civile o per qualsiasi altra relazione sulla base di univoci elementi che fanno presupporre la costituzione di un'unica centrale eolica ovvero fotovoltaica”. Sebbene l’intento della disposizione possa (forse) rinvenirsi nell’esigenza di evitare l’elusione della soglia di potenza dei 200 kW per l’applicazione della procedura semplificata (PAS), la stessa introduce un vincolo per l’applicazione della PAS sulla base di un criterio soggettivo assai generico – “relazione, anche di fatto” - e quindi di difficile riscontro.
La disposizione, oltre a riproporre i profili di incostituzionalità sopra illustrati per il tema delle distanze tra impianti, pone un ingiustificato vincolo per gli operatori, contrario all’art. 117, comma terzo, Cost. non trovando dette limitazioni alcun riscontro nei principi fondamentali della materia di cui ai decreti legislativi 387 del 2003 e 28 del 2011.

Per i motivi esposti, si ritiene di impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale l'articolo 32, comma 1, lettere a.3), b.3) e b.4) e comma 2 della legge 38 del 2018, per violazione degli articoli 41, limitatamente al punto b.4), 97 e 117, primo comma, per non rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e terzo comma, Cost., in riferimento ai parametri statali di cui all'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003 e delle richiamate Linee guida (paragrafi 1.2. e 17.1), in relazione alla materia oggetto di potestà legislativa concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», i cui princìpi fondamentali, in ordine ai regimi autorizzativi, sono stabiliti dallo Stato.

Art. 37

L’art. 37 pone addirittura una moratoria per le PAS che interessino impianti in aree potenzialmente impegnate da un progetto presentato per acquisire l’autorizzazione unica da parte della Regione, con sospensione del loro perfezionamento fino alla conclusione del procedimento di autorizzazione unica, che dura 90 gg al netto della procedura di VIA che può durare anche oltre 2 anni. La norma regionale lede i principi fondamentali che disciplinano il regime abilitativo degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, tra i quali va ascritto anche il termine di conclusione dei relativi procedimenti (artt. 12, comma 4, d. lgs. 387/2003).
Rilievi di illegittimità costituzionale si pongono con riguardo al possibile contrasto con la disciplina sia nazionale che europea in materia di fonti rinnovabili. In particolare con:
• la direttiva n. 28/2009/CE (sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE);
• il decreto legislativo n. 28/2011 (in attuazione della direttiva 2009/28/CE e ad a modifica dell’articolo 12, comma 4 del d.lgs. 387/2003).
Sul punto, l’orientamento della Corte Costituzionale è costante nel ritenere che le moratorie per l’abilitazione degli impianti a fonte rinnovabile integrino una violazione dell’articolo 117, primo comma, Cost. sotto il profilo del favor che le direttive europee e gli Accordi internali riconoscono alla massima diffusione delle fonti rinnovabili. E’ configurabile altresì la violazione dell’articolo 117, comma 3, Cost. che attribuisce alla legislazione concorrente la “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia”. Al riguardo, l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 enuncia i principi fondamentali in materia cui le Regioni devono attenersi. La giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto all’articolo 12, comma 4 del d.lgs. n. 387/2003 natura di principio fondamentale nella suddetta materia, in quanto tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo (cfr. sentenze Corte Cost. n. 364/2006, n. 282/2009 e n. 168/2010). Stesso ragionamento può essere esteso in via analogica ai termini per la conclusione della PAS, la cui uniformità deve essere garantita sul territorio nazionale.

Gli artt. 38, 39 e 40 recano molte prescrizioni sulle distanze e pertanto ripropongono i profili di incostituzionalità sopra evidenziati con riferimento all’articolo 32.

Art. 42
«Le disposizioni di cui agli articoli 29, 30, 31, 34 e 36 si applicano anche ai procedimenti pendenti»
Al riguardo, la sentenza n. 64 del 2013 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma della Regione Veneto che disponeva la sua applicazione "ai procedimenti in corso".

Articoli 43 e 52
Si premette che la legge regionale in esame introduce modifiche all'atto normativo n. 54 del 2015, con lo scopo, tuttavia non pienamente raggiunto, di assicurare il sostanziale recepimento di quanto osservato in occasione di precedenti interventi normativi (legge regionale n. 19 del 24 luglio 2017 impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale dal Consiglio dei Ministri del 23 settembre 2017; legge regionale n. 21 del 2017 per la quale è stata proposta impugnativa costituzionale con delibera del Consiglio dei Ministri del 27 ottobre 2017).
A partire dall'art. 29, quasi tutti gli articoli, ad eccezione del 43 e 52 integrano e modificano la normativa vigente in materia di procedimenti autorizzativi di impianti da F.E.R. con particolare riguardo alle problematiche di inserimento dei medesimi nel paesaggio e sul territorio, estendendo le linee guida per il corretto inserimento degli impianti, alimentati da fonti rinnovabili, già approvate con la Legge regionale n. 54 del 2015, anche agli impianti con potenza superiore ai limiti stabiliti nella tabella A) del Decreto legislativo n. 387 del 2003 e non superiori a 1 MW.
Tale obiettivo risulta messo in discussione da quanto introdotto unilateralmente dalla Regione Basilicata, in particolare dagli artt. 43 e 52 della legge in esame, che contrastano con le norme di tutela dei beni culturali e del paesaggio, per i motivi che seguono.
In particolare:
in merito all'art. 43 "Integrazioni all'Allegato A della legge regionale 30 dicembre 2015, n. 54 e ss.mm.ii ", comma 1, si rileva come l'attuazione di tale previsione ridurrebbe drasticamente l'applicazione dei "Buffer" di cui al punto "1.2 Beni monumentali, 1.4 Beni paesaggistici (laghi ed invasi artificiali, fiumi, torrenti e corsi d'acqua, centri urbani, centri storici), 2.4 Rete Natura 2000, così come individuati e definiti nell'Allegato A della legge regionale n. 54 del 2015 e ss.mm.ii, "esclusivamente nelle aree territoriali visibili dal bene monumentale vincolato se l'impianto FER in progetto non risulta in correlazione visiva con lo stesso bene vincolato da punti di vista privilegiati".
Tale previsione limiterebbe l'applicazione di tutte le aree "Buffer", a prescindere dalla natura delle medesime, a due circostanze:
1) che nell'intorno dell'area di "buffer" medesima sia presente un bene monumentale;
2) che l'impianto FER sia in "correlazione visiva con lo stesso bene vincolato da punti di vista privilegiati".
Al di là delle difficoltà, facilmente immaginabili, che potrebbero nascere in sede di elaborazione delle linee guida, previste dal comma 2 del medesimo articolo, finalizzate ad una corretta applicazione del principio sancito dal comma 1 per la definizione dei "punti di vista privilegiati ", sia la prima che la seconda circostanza sono da considerarsi assolutamente in contrasto con i principi ispiratori posti alla base della individuazione delle "aree non idonee" stabiliti dall'Allegato 3 (paragrafo 17) "Criteri per l'individuazione di aree non idonee" del citato D.M. 10 settembre 2010 " Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili".
L'applicazione del parametro della "correlazione visiva" con un bene vincolato, sarebbe, infatti, assolutamente strumentale alla significativa riduzione della natura e specificità delle diverse categorie di aree ritenute particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni territoriali o del paesaggio, elencate nell'Allegato 3 del su citato Decreto del 2010. In questo contesto, le modifiche introdotte alla legge regionale n. 54 del 2015 con la legge in esame, sebbene da un lato sembrerebbero estendere l'applicazione dei criteri e delle modalità per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio alle tipologie di impianti F.E.R. di qualunque potenza (art. 29), dall'altra, ed in maniera assolutamente incoerente, introducono, con l'art. 43, una norma la cui applicazione annullerebbe di fatto l'istruttoria condotta dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, di concerto con la Regione Basilicata, che ha portato alla definizione delle aree di buffer di cui agli allegati A e C e agli elaborati di cui all'allegato B della Legge Regionale n. 54 del 2015, inficiandone, pertanto, la validità.

In merito all'art. 52 "Definizione di area attinente ad un parco eolico", si deve anche in questo caso, evidenziare come tale norma, intervenendo su una materia già ampiamente regolamentata dalla legislazione statale con il Decreto legislativo n. 152 del 2006, oltre ad introdurre una nuova definizione (area attinente ad un parco eolico), stabilirebbe un nuovo criterio per la definizione della sostanzialità delle varianti ai parchi eolici, che, sostituendosi ai criteri elencati nell'Allegato V alla Parte II del medesimo Decreto legislativo, crea conflitti ed incertezze applicative soprattutto nei procedimenti di verifica di assoggettabilità a V.I.A. statale di cui all'art. 19 del decreto citato che, si ricorda, a seguito delle modifiche introdotte dal Decreto legislativo n. 104 del 2017, riguarda anche gli impianti eolici di potenza superiore ai 30 MW.
Gli articoli 43 e 52, oltre a rappresentare una contraddittorietà interna alla medesima legge ed un mancato rispetto degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa per la elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale, stipulato ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del decreto legislativo n. 42 del 2004, tra il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e la Regione Basilicata, in data 14 settembre 2011, confliggono con le norme a tutela dell’ambiente, di cui al D.lgs. n. 152 del 2006 e del patrimonio culturale, di cui al D.lgs. n. 42 del 2004, e con l'articolo 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione, nelle materia della tutela dell'ambiente e dei beni culturali.

• Art. 47

L’articolo recita « 1. Le graduatorie delle selezioni riservate indette ai sensi dell'articolo 4, comma 6 del D. L. n. 101/2013, convertito con modificazioni dalla L.n. 125/2013, oggetto delle procedure di stabilizzazione, ex art. 20, comma 1 del D. Lgs. n. 75/2017 e ss.mm.ii, sono prorogate fino alla conclusione delle procedure stesse.
2. I candidati idonei ricompresi nelle graduatorie di cui all'articolo 4 della legge regionale 25 ottobre 2010, n. 31, relative a selezioni per progressioni verticali indette antecedentemente all'entrata in vigore del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, approvate al 31 dicembre 2010, sono inquadrati fino ad esaurimento delle stesse, nelle categorie per le quali hanno concorso, a decorrere dal 1° marzo 2019. I posti resisi liberi, per effetto dei predetti inquadramenti sono soppressi. »

La disposizione citata, quindi, inserisce una disciplina derogatoria, in materia di proroga di graduatorie regionali, in favore soltanto di determinati soggetti.
Al riguardo, la proroga sine die "fino alla conclusione delle procedure" inerenti alle graduatorie di cui al comma 1 dell'articolo in esame contrasta con la prescrizione del comma 1148 - lett. a), art. 1 della L. 27/12/2017 n. 205 (Legge di Bilancio 2018), per disposizione del quale "l’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data del 31 dicembre 2017 e relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni" è prevista unicamente fino al 31 dicembre 2018.

La disposizione regionale introduce una deroga in favore di determinati soggetti che contrasta, oltre che con la normativa nazionale citata, con i principi di uguaglianza, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione, e con l'articolo 117, secondo comma, lettera l), che riserva la materia dell'ordinamento civile (che comprende anche i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile e dai contratti collettivi) alla competenza esclusiva dello Stato e terzo comma, per violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica.
Su questione analoga, di fronte alla Corte costituzionale è pendente il ricorso n. 16 del 27 febbraio 2018 con la Regione autonoma Valle d'Aosta.


Articoli 53 e 55.

Le norme di cui agli artt. 53 e 55 del testo in argomento disciplinano la proroga dei contratti di collaborazione presso enti e strutture connesse all'amministrazione regionale. Tali proroghe non sono, tuttavia, conformi a quanto previsto dall'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 165/2001, che ammette il ricorso ai contratti di collaborazione unicamente in caso di accertata impossibilità oggettiva di utilizzare per il medesimo scopo il personale già a disposizione dell'amministrazione.
Significativa al riguardo la modifica introdotta dal comma 147 dell'art. 1 della L. 228/2012 all'art. 7, comma 6 lettera c) del D. Lgs. 165/2001, laddove viene specificato il carattere del tutto temporaneo e straordinario del ricorso al lavoro autonomo nelle pubbliche amministrazioni: "la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico".
Più distintamente, le proroghe al 31 dicembre 2019 di tutta una serie di contratti di collaborazione di cui alle determinazioni dirigenziali indicate dall'articolo 53 e quelle al 31 dicembre 2023 previste dall'articolo 55 costituiscono proroghe generiche e non sufficientemente motivate alla luce dello stringente dettato normativo dell'art. 7, comma 6, del D. Lgs. 165/2001 citato, “che vieta di ricorrervi, se non quando sia stata accertata l'impossibilità oggettiva di utilizzare per il medesimo scopo il personale già a disposizione dell'amministrazione. È questa una previsione che dovrebbe scongiurare alla radice il rischio che si abusi delle collaborazioni esterne pur in presenza di un elevato numero di dipendenti pubblici" (Corte Costituzionale. sentenza n. 43 dei 2016).
Sul punto la Corte dei Conti (Delibera n. SCCLEG/24/20 11 /PREV) ha rimarcato che non sono conformi alle previsioni dell'art. 7, comma 6 del Testo Unico sul pubblico impiego, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa che, non appena scaduti, vengono poi riaffidati agli stessi soggetti per le medesime finalità, senza che venga rispettato il requisito della temporaneità e senza una procedura di comparazione tra candidati.
Il citato articolo 7 è infatti finalizzato ad evitare che la reiterazione di incarichi a soggetti estranei possa tradursi in forme anomale di reclutamento, contravvenendo alle disposizioni in materia di accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni; l'indirizzo giurisprudenziale predominante è pertanto quello che considera come non prorogabile l'incarico di collaborazione coordinata e continuativa, se non nel caso in cui sia avallato da una specifica motivazione e quando si intenda completare l'attività già avviata.
Le disposizioni regionali de quibus contengono una disciplina incompatibile con le previsioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, che riserva la materia dell'ordinamento civile alla competenza esclusiva dello Stato.

Per le motivazioni sopra indicate, le norme regionali citate devono essere impugnate ai sensi dell’art. 127, comma 1, della Costituzione.

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