Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alle leggi regionali 25/2011, 5/2015, 38/1996 e 9/2011. (13-4-2016)
Abruzzo
Legge n.11 del 13-4-2016
n.59 del 14-4-2016
Politiche infrastrutturali
31-5-2016 / Impugnata
La legge della regione Abruzzo n. 11/2016 presenta profili di incostituzionalità con riferimento agli articoli 1 e 4, e deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione per i motivi di seguito specificati.

1) L’ARTICOLO 1 modifica l’art. 12 della legge regionale 3 agosto 2011, n. 25. In particolare, la lettera a) sostituisce il comma 1 dell’articolo 12, fissando il costo unitario per l'uso idroelettrico, di cui alla lettera c) del comma 5 dell'articolo 93 della legge regionale 17 aprile 2003, n. 7 per le utenze con potenza nominale superiore a 220 Kw, per ogni Kw di potenza efficiente, in euro 35,00, oltre ai relativi aggiornamenti al tasso di inflazione programmata. La lettera b) sostituisce il comma 1-bis, prevedendo che “1-bis. Per la definizione di potenza efficiente si rinvia alla definizione ufficiale utilizzata per la potenza efficiente netta dall'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI)”. La lettera c) sostituisce il comma 1-ter. La norma prevede che il canone annuo, calcolato applicando il valore riportato al comma 1 per ogni Kw di potenza nominale, sia versato entro il 28 febbraio di ciascun anno anticipatamente e a titolo di acconto. La norma prevede le modalità con cui la potenza efficiente deve essere calcolata dall’utente certificata da organismo terzo e comunicata al competente Servizio Regionale. Stabilisce, inoltre, che nel caso in cui il dato della potenza efficiente risulti inferiore alla potenza nominale nulla è dovuto al concessionario a titolo di rimborso. E’ previsto che, in caso di mancata comunicazione della potenza efficiente, il canone dovuto sia triplicato rispetto al canone dovuto calcolato sulla potenza nominale media di concessione. Tale ultima previsione è analoga a quella contenuta all’art. 12, comma 1-quinquies, l.r. 25/2011 (introdotto dall’art. 1, c. 2, lr. 36/2015) e abrogato dalla lettera e). La lettera d) stabilisce che il termine previsto dalla lettera precedente è stabilito, per l’anno 2016, al 31 maggio 2016.

Le norme appena descritte sostanzialmente riproducono disposizioni precedentemente contenute nella legge regionale n. 5/2016 e n. 36/2015, entrambe oggetto di impugnativa da parte del Governo, e presentano i medesimi profili di illegittimità costituzionale.

La disposizione censurata, introduce una “nuova” definizione di potenza efficiente sostanzialmente equivalente a quella contenuta nelle leggi regionali n. 5/2016 e 36/2015, oggetto di precedenti impugnative davanti alla Corte costituzionale, e interviene nuovamente sul criterio per la determinazione dell'entità del canone già oggetto dell'art. 1, comma 2, lett. b) della legge n. 36 del 2015 e dell’art. 11, comma 6, della l.r. n. 5/2016.

L'art. 1 coma 2, lett. b) della legge n. 36 del 2015 definiva la "potenza elettrica efficiente", sulla base della quale calcolare l'entità del canone idroelettrico, come la massima potenza elettrica con riferimento alla potenza attiva comunque realizzabile dall’impianto durante un intervallo di tempo di funzionamento pari a quattro ore supponendo le parti dell'impianto in funzione in piena efficienza e nelle condizioni ottimali di portata e di salto (art. 1, comma 2, lett. b).
Il riferimento alla "potenza efficiente" era già previsto con rinvio alla definizione del GSE (Gestione Servizi Energetici), dall'art 16 della legge regionale 10 gennaio 2012 n. 1 che ha superato il vaglio di costituzionalità avendo la Corte Costituzionale rilevato che non veniva dimostrato “come il riferimento alla potenza efficiente influisca sui costi e quale sia il «verso economico» di tale effetto” (sentenza n. 85 del 2014). L’articolo 16, aveva introdotto modifiche alla legge regionale n. 25 del 3 agosto 2011 (in materia di proventi relativi alle utenza pubbliche) prevedendo l'aumento da 27.50 € a 35.00 € del valore unitario del canone e, per quel che qui interessa, stabilendo come parametro di riferimento non più la potenza nominale concessa o riconosciuta, bensì la potenza efficiente riportata nei rapporti annuali dell’anno precedente dal GSE parte, questa, che veniva poi soppressa dall'art 1, comma 2, lett. a) della citata legge regionale n. 36/2015.

L’art. 11 comma 6, lett. b) della legge 5/2016, rinviando alla definizione ufficiale utilizzata dal GSE e dall’Autorità dell’Energia Elettrica e il Gas, ha solo apparentemente modificato la legge 36/2015 perpetuando la medesima illegittimità già riscontrata ed evidenziata con il ricorso avverso la suddetta legge. Ed invero, la definizione che GSE e AEEG adottano dal 2014, ai sensi della delibera AEEG 179/2014/R/EFR, è la stessa presente nella legge regionale del 2015 “potenza efficiente o massima potenza elettrica di un impianto di produzione di (una sezione) è la massima potenza elettrica, con riferimento esclusivo alla massima potenza attiva che può essere prodotta con continuità durante un dato intervallo di tempo sufficientemente lungo di funzionamento (almeno quattro ore per gli impianti idroelettrici) supponendo tutte le parti dell’impianto in funzione in piena efficienza di portata e di salto nel caso degli impianti idroelettrici”.

Anche le modifiche apportate dalla legge regionale n. 11/2016, così come le precedenti contenute nella l.r. n. 5/2016, non mutano la sostanza di quanto già previsto nella legge n. 36/2015.

La disposizione contenuta all’articolo 1 della l.r. n. 11/2016, infatti, si differenzia dalle precedenti norme oggetto di impugnativa in quanto espunge il rinvio alla definizione del GSE, mantenendo quella all’AEEG, e in quanto fa riferimento alla potenza elettrica efficiente netta. Quest’ultima va individuata nella potenza efficiente misurata all’uscita dell’impianto, al netto cioè della potenza assorbita dai servizi ausiliari dell’impianto e delle perdite nei trasformatori dell’impianto . Il valore che ne risulta, si discosta dalla potenza efficiente lorda di pochi punti percentuali.
Pertanto, rispetto alle precedenti definizioni, si ha uno scostamento del parametro assolutamente marginale, con la conseguenza che la determinazione del canone è sostanzialmente identica a quella calcolata sulla base delle previsioni normative già impugnate. Anche in questo caso, la determinazione si fonda inoltre sulla potenza di targa della macchina e non sulla potenza nominale media di concessione e comporta i medesimi negativi effetti discriminatori e anticoncorrenziali sugli operatori idroelettrici già denunciati in precedenza.

L’abrogazione dell’art. 11, comma 6, della l.r. n. 5/2016, da parte dell’articolo 1, comma 3, della l.r. n. 11/2016, e la contestuale riproduzione dell’analogo contenuto nella norma oggetto della presenta impugnativa, appare una reiterazione del tentativo della Regione Abruzzo di eludere la definizione del giudizio instaurate con i ricorsi avverso le leggi regionali n. 36/2015 e n. 5/2016.

Atteso che, come più sopra illustrato, l'ultimo intervento legislativo è solo apparentemente modificativo dei termini della questione che rimangono invece nella sostanza invariati, si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 2009 che conferma il pregresso orientamento secondo cui «il principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via di azione non tollera che, attraverso l’uso distorto della potestà legislativa, uno dei contendenti possa introdurre una proposizione normativa di “contenuto” equivalente a quella impugnata e nel contempo sottrarla al già istaurato giudizio di legittimità costituzionale. Si impone pertanto, in simili casi, il trasferimento della questione alla norma che, sebbene portata da una atto legislativo diverso da quello di impugnazione, sopravvive nel suo immutato contenuto precettivo (sentenze nn. 168/2008 e 533/2002). ».
Tale orientamento è confermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 249 del 2014 relativa ad una legge della stessa Regione Abruzzo, nella quale si stabilisce inoltre che «Poiché nella specie, ricorrono (tali condizioni - avendo, come si è detto, la Regione sostituito testo originario con una variante avente analogo contenuto lesivo del precetto comunitario - le censure proposte in riferimento, all’ art. 38 della legge regione Abruzzo n. 55 del 2013 debbono ritenersi trasferite al nuovo testo, con la conseguente pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Abruzzo n. 14 del 2014 per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. ».
In conclusione, si ribadisce che la disposizione incide fortemente sulla capacità di operare in pari condizioni sul mercato unico dell’energia elettrica, perché le imprese operanti in Abruzzo, gravate di un canone maggiore andrebbero a competere con analoghi impianti che avendo, invece, un canone molto più basso sono in grado di offrire sul mercato dell’energia prezzi più bassi di quelli degli impianti abruzzesi.
Per le ragioni esposte, l’articolo 1, comma 1, lettere a), b) e c) contrasta con i principi in materia di tutela della concorrenza contenuti all’art. 37, comma 7, del d.l. 83/2012 e conseguentemente viola l’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione.

2) L’ARTICOLO 4, nella parte in cui consente lo svolgimento di attività cinofile e cinotecniche per otto mesi l’anno su una superficie non inferiore al cinquanta per cento delle zone B, C e D dei parchi naturali regionali e non inferiore al trenta per cento di quella delle riserve naturali regionali guidate, controllate e speciali, oltre alla possibilità, nelle more dell’adozione dei necessari provvedimenti, di svolgerle per dodici mesi l’anno sull’intera superficie delle zone B, C e D dei parchi naturali regionali e sull’intera superficie di tutte le riserve naturali regionali, non rispetta i vincoli derivanti dalla legislazione nazionale espressione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e viola l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. Inoltre, per i motivi che saranno di seguito specificati, contrasta con gli obblighi assunti dall’Italia sul piano internazionale e comunitario, e quindi viola l’articolo 117, comma 1, della Costituzione. La norma, infatti, pone un serio pericolo per specie animali prioritarie quali, ad esempio, il lupo (che è ubiquitario), l’orso bruno marsicano (specie minacciata di estinzione e presente nelle principali aree protette regionali) ed il camoscio appenninico (di recente reintrodotto all’interno del Parco naturale regionale “Sirente-Velino”); nel restringere l’oggetto della tutela prevista dalle norme (nazionali, europee e internazionali) in materia di protezione della fauna di seguito indicate, la disposizione censurata viola l’articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», e l’articolo 117, comma 1, della Costituzione, che impone al legislatore, anche regionale, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

In particolare, si rileva:

2.1) CONTRASTO CON L’ART. 8, COMMA 1, D.P.R. N. 357/1997 (“Attuazione della direttiva 92/43/C EE relativa alla conservazione degli habitat”), che vieta di perturbare determinate specie animali (individuate in un allegato al regolamento), durante particolari fasi biologiche (segnatamente, il ciclo riproduttivo o durante l'ibernazione, lo svernamento e la migrazione).

Il CONTRASTO CON GLI ARTICOLI 2, COMMA 2 E 12, COMMA 1, LETT. B) E D) DELLA DIRETTIVA 92/43/CEE «HABITAT», cui il d.p.r. 357/1997 dà attuazione. Detta norma, al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario, obbliga gli Stati membri ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali di cui allegato IV lett. a) della direttiva con il divieto, fra gli altri, di: perturbare deliberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione; nonché di deteriorare o distruggere i siti di riproduzione o le aree di riposo.

Poiché le attività cinofile e cinotecniche consentite dalla norma potrebbero essere svolte all’interno delle aree classificate come SIC, le stesse, potendo incidere sullo stato di conservazione dell'equilibrio ambientale, dovrebbero essere approvate caso per caso solo a seguito di adeguata Valutazione d’Incidenza ai sensi dell’articolo 5 del D.P.R. 357/97, in attuazione dell’articolo 6, comma 2, della direttiva 92/43/CEE.
Secondo quanto asserito dalla giurisprudenza costituzionale, «la disciplina della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette ai sensi di "Natura 2000", contenuta nell'art. 5 del regolamento di cui al D.P.R. n. 357 del 1997, deve ritenersi ricompresa nella "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", rientrante nella competenza esclusiva statale, e si impone a pieno titolo, anche nei suoi decreti attuativi, nei confronti delle Regioni ordinarie (cfr. Corte Cost. sentenza n. 104 del 2008 e n 38/2015).
Pertanto, l’articolo 4 della legge regionale 11/2016, esentando indebitamente alcune attività dalla valutazione di incidenza, comporta un affievolimento della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e viola l’articolo 117, primo comma, per contrasto con la disciplina contenuta nella Direttiva 92/43/CEE e l’articolo 117, comma 2, lett. s), in riferimento agli articoli 8, comma 1, lett. b) e articolo 5 del D.P.R 357/1997.

La norma, inoltre, si pone in CONTRASTO CON L’ARTICOLO 6, COMMA 1, LETTERA C), DELLA “CONVENZIONE RELATIVA ALLA CONSERVAZIONE DELLA VITA SELVATICA E DELL'AMBIENTE NATURALE IN EUROPA”, ADOTTATA A BERNA IL 19 SETTEMBRE 1979, E RATIFICATA ED ESEGUITA IN ITALIA CON LEGGE 5 AGOSTO 1981, N. 503, che vieta di “molestare intenzionalmente la fauna selvatica, specie nel periodo della riproduzione, dell'allevamento e dell'ibernazione, nella misura in cui tali molestie siano significative in relazione agli scopi della presente Convenzione”.

2.3) CONTRASTO CON L’ARTICOLO 10, COMMA 8, LETTERA E), CON L’ARTICOLO 21, COMMA 1, LETT. B) E ARTICOLO 30, COMMA 1, LETT. D) DELLA LEGGE 157/1992 E CON L’ARTICOLO 5, PUNTO 1, DELLA DIRETTIVA 2009/147/CE.
Posto che lo svolgimento di attività cinofile e cinotecniche comprende l’attività di allevamento e addestramento di cani per l’esercizio dell’attività venatoria, riconducibile alla materia della caccia (C. Cost., n. 350/1991), la disciplina dell’attività cinofila deve essere ricondotta in linea di principio nell’alveo di quella della attività venatoria (sentenza n. 193 del 2013).
In questo ambito, spetta allo Stato stabilire standard minimi e uniformi di tutela della fauna, con regole che le regioni possono modificare, nell’esercizio della loro potestà legislativa in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell’innalzamento del livello di tutela (ex plurimis, sentenze n. 303 del 2103, n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012).
La Regione, dunque, deve attenersi ai divieti previsti dalla normativa quadro statale (legge 11 febbraio 1992 n. 157, come evidenziato anche nella consolidata giurisprudenza Costituzionale -sentenze nn. 578/1990, n. 350/1991, n. 339/2003 e amministrativa Consiglio di Stato, sezione sesta, n. 717/2002 ; TAR Campania, Napoli, prima sezione, n. 4639/2001; TAR Liguria, seconda sezione, n. 368/2004).
La legge 11 febbraio 1992, n. 157 («Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»), all’articolo 10, comma 8, lettera e), stabilisce che spetta ai piani faunistici-venatori fissare «le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili, la cui gestione può essere affidata ad associazioni venatorie e cinofile ovvero ad imprenditori agricoli singoli o associati».
Inoltre, l’articolo 21, comma 1, lett. b) della medesima legge pone una serie di divieti all’esercizio dell’attività venatoria nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali, nelle riserve naturali, nelle oasi di protezione, nelle zone di ripopolamento e cattura, nei parchi e giardini urbani, nei terreni adibiti ad attività sportive.
Ne consegue che, in assenza di specifica esclusione circa la possibilità che lo svolgimento delle attività cinofile e cinotecniche di cui all’articolo 4 della legge regionale n. 11 del 2016, possa essere applicabile anche all’attività di allevamento e addestramento di cani da caccia, la medesima norma si pone in contrasto con l’articolo 10, comma 8, lettera e), della legge n. 157 del 1992 e, più a monte, con l’articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione. Le manifestazioni cinofile consentite dalla norma, infatti, possono arrecare un consistente disturbo, determinare catture o distruzione di nidi e creare altre situazioni di danno e disagio alla fauna selvatica (nel periodo di nidificazione e dipendenza, durante il periodo di iperfagia e letargia per l’Orso marsicano o lo spostamento nelle aree di svernamento del Camoscio appenninico). La presenza di cani liberi di vagare privi di guinzaglio nelle aree protette, spinge gli animali a spostarsi durante le fasi del corteggiamento e della cova, causando l’abbandono dei nidi e delle covate, esercitando un impatto negativo sulla sopravvivenza dei giovani limitando il successo riproduttivo. Si evidenziano, in particolare, i rischi per i galliformi e la Lepre italica. Sia consentito rinviare, a questo riguardo, a quanto osservato dall’ISPRA nei pareri rilasciati alle Regioni ai fini della stesura dei calendari venatori (parere ISPRA 22 agosto 2012).

La disposizione censurata, per gli stessi motivi, si pone in contrasto anche con L’ARTICOLO 5, PUNTO 1, DELLA CITATA DIRETTIVA 2009/147/CE, recepita dalla legge 157/1992, violando così anche l’articolo 117, comma 1, della Costituzione (con particolare riferimento).

2.4) CONTRASTO CON GLI ARTT. 1, COMMA 3, LETTERA A); 11, COMMA 1, 3 E 4 E 12 DELLA LEGGE 394 DEL 1991 “LEGGE QUADRO SULLE AREE PROTETTE”.
Tale legge detta, in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, i principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese. Le funzioni relative alla tutela sono affidate all'Ente parco, che le persegue attraverso lo strumento del piano per il parco (cfr. art. 1, comma 3, lettera a); art. 11; art. 12; in argomento, cfr. Corte costituzionale sentenze n. 263 e 44 del 2011 e n. 387 del 2008).
L’articolo 11, comma 3, della legge quadro dispone che nei parchi sono vietate le attività che possono compromettere la salvaguardia degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali. Il legislatore regionale non può discostarsi da tale disposizione, in quanto stabilisce livelli minimi uniformi su tutto il territorio nazionale di tutela dell’ambiente ed è espressione della competenza esclusiva dello Stato in materia di "tutela dell'ambiente" ex art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. (sul punto si v., ex plurimis, le sentenze della Corte Cost. nn. 282/2000, 108/2005, 263/2011 e 44/2011, 14/2012).

Dunque, l’articolo 4 della legge regionale 11/2016 si pone in contrasto con l’articolo 117, comma 2, lett. s), per contrasto con gli articoli 1, comma 3, lett. a) e articolo 11, comma 1, 3 e 4 della legge 394/1991.

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