Dettaglio Legge Regionale

Disciplina in materia di risorse idriche. (11-8-2015)
Sicilia
Legge n.19 del 11-8-2015
n.34 del 21-8-2015
Politiche infrastrutturali
20-10-2015 / Impugnata
La legge della Regione Sicilia n. 19/2015, recante “Disciplina in materia di risorse idriche” presenta profili di illegittimità costituzionale e deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione per i motivi di seguito evidenziati.

PREMESSA: inquadramento generale del tema nel riparto di competenze Stato-Regioni.
Il servizio idrico integrato (SII) rientra, da un punto di vista materiale, nell’ambito dei “servizi pubblici locali”, affidati dall’art. 117, quarto comma, Cost., alla competenza regionale residuale. Tuttavia già da diversi anni la Corte costituzionale ha riconosciuto allo Stato importanti e pervasivi titoli di intervento sul settore che sono in grado di rappresentare altrettanti limiti alla potestà legislativa regionale. In particolare, lo Stato può vantare la riguardo i titoli di intervento costituiti dalla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” e della “tutela della concorrenza” (art. 117, secondo comma, lett. s) ed e).
La giurisprudenza costituzionale riferisce a tali titoli di intervento vasti e numerosi aspetti della disciplina del SII. In particolare, sono ascritti alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”:
i) «i criteri dell’uso delle acque, in relazione alla finalità di evitare sprechi, favorire il rinnovo delle risorse, garantire i diritti delle generazioni future e tutelare, tra l’altro, “la vivibilità dell’ambiente”» (sent. n. 246 del 2009);
ii) le norme volte a garantire il «risparmio della risorsa idrica» (sent. n. 246 del 2009);
iii) gli aspetti fondamentali dell’assetto organizzativo del SII e l’allocazione delle competenze sulla gestione: in tale campo, in particolar modo le norme che affidano all’Autorità d’ambito territoriale ottimale queste competenze, poiché tale scelta «serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della “biosfera” intesa “come “sistema” [...] nel suo aspetto dinamico” (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007)» (sent. n. 246 del 2009, par. 12.2. del Considerato in diritto; cfr. anche la sent. n. 325 del 2010);
iv) le norme concernenti il sistema di tariffazione, con la determinazione «delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare», poiché «attraverso la determinazione della tariffa nell’àmbito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato, infatti, livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e “le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale”» (sentt. nn. 246 del 2009, 29 del 2010, 67 del 2013, 142 del 2015).

Sono invece ascritti al titolo di competenza statale esclusiva in materia di “tutela della concorrenza” i seguenti profili:
i) le norme concernenti «il superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche attraverso l’individuazione di un’unica Autorità d’àmbito, allo scopo (…) di consentire la razionalizzazione del mercato, con la determinazione della tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap, diretto a garantire la concorrenzialità e l’efficienza delle prestazioni» (sent. n. 264 del 2009);
ii) le norme poste «al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e)», tramite la determinazione della tariffa «secondo un meccanismo di price cap (…), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante (sentenze nn. 335 e 51 del 2008)» (sent. n. 246 del 2009; cfr. anche le sentt. nn. 29 del 2010, 325 del 2010, 67 del 2013, 142 del 2015);
iii) l’attività pianificatoria riguardante l’ambito ottimale in quanto «strettamente funzionale alla gestione unitaria del servizio» (cfr., ad es. sent. n. 246 del 2009 e sent. n. 142 del 2010);
iv) la disciplina delle forme di gestione e affidamento del servizio (sent. n. 264 del 2009).

IL RIPARTO DELLA COMPETENZA LEGISLATIVA IN MATERIA DI SII NEL CASO DELLA REGIONE SICILIANA.
Il quadro sopra delineato riguarda in prima battuta le Regioni ordinarie. Circa la sua applicabilità anche alle Regioni speciali, alla luce dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, deve osservarsi quanto segue.
Sul punto rilevano alcune sentenze della Corte costituzionale concernenti la Regione Valle d’Aosta e la Provincia autonoma di Trento (sentt. nn. 142 del 2015 e 233 del 2013). Le decisioni in questione hanno evidenziato come gli approdi della giurisprudenza costituzionale sopra menzionata non sono «immediatamente trasponibil(i)» alle suddette autonomie speciali, in quanto dotate, in tema di SII, di competenza legislativa esclusiva in base ai rispettivi statuti (nonché della relativa competenza amministrativa, in virtù del principio del parallelismo). In particolare, alla Provincia di Trento è stata riconosciuta la titolarità della potestà legislativa esclusiva nella materia de qua in virtù delle clausole statutarie concernenti le materie degli «acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale», della «assunzione e gestione di servizi pubblici», dell’«urbanistica» e delle «opere idrauliche» (sent. n. 233 del 2013). Alla Regione Valle d’Aosta la medesima competenza è stata riconosciuta in virtù delle clausole concernenti le materie dei «lavori pubblici di interesse regionale», dell’«urbanistica», delle «acque minerali e termali», nonché delle «acque pubbliche destinate ad irrigazione ed uso domestico» (sent. n. 142 del 2015). Analogamente a quanto appena evidenziato, anche alla Regione siciliana non può non riconoscersi una competenza esclusiva in tema di SII, in virtù della potestà legislativa primaria riconosciutale dall’art. 14 del relativo statuto speciale nelle materie dell’«urbanistica» (lett. f), dei «lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale» (lett. g), nonché delle «acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale» (lett. i).
La rilevata circostanza esclude, dunque, che possa senz’altro applicarsi il riparto di competenza in tema di SII sopra delineato dalla giurisprudenza costituzionale in relazione alle Regioni ordinarie anche alla Regione siciliana, poiché alla medesima deve essere riconosciuta una competenza primaria statutariamente prevista su tale settore. Tale ultima considerazione, tuttavia, non vale evidentemente ad affermare che la menzionata competenza primaria possa esplicarsi senza alcun limite, dovendo viceversa rispettare, oltre che, in generale, i precetti costituzionali, le c.d. “norme di grande riforma economico-sociale” poste dallo Stato nell’esercizio delle proprie competenze legislative (cfr., per lo statuto siciliano, l’art. 14, comma 1, che discorre di «riforme agrarie e industriali»: sulla soggezione della potestà primaria della Regione siciliana alle norme di grande riforma economico-sociale cfr., ad es., le sentt. nn. 21 del 1978, 385 del 1991, 153 del 1995). In tale senso, del resto, depone chiaramente la già menzionata sent. n. 142 del 2015, nella quale si respinge la censura statale avverso la norma della Regione Valle d’Aosta che prevedeva la competenza regolatoria della Giunta in materia di tariffa per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale in quanto essa si limitava a precisare che tale competenza «deve essere esercitata dalla Giunta “nel rispetto dei principi europei e statali vigenti in materia”». Da ciò la conclusione del Giudice delle leggi secondo la quale «l’organo regionale è (…) tenuto a conformarsi alle direttrici della metodologia tariffaria statale, con la conseguenza che, per tale via, risulta salvaguardato l’interesse statale a una regolazione stabile e idonea a garantire gli investimenti necessari, un servizio efficiente e di qualità, nonché la tutela degli utenti finali». Il rigetto della questione, dunque, si fonda sul necessario rispetto, da parte dell’organo regionale competente ad esercitare i poteri regolatori in materia tariffaria, delle norme di grande riforma economico-sociale dettate dallo Stato, ed in particolare di quelle volte a garantire la «regolazione stabile» del settore capace di assicurare «gli investimenti necessari», l’efficienza del servizio, e la «tutela degli utenti finali».
In sintesi, la Regione siciliana risulta dotata della competenza legislativa a regolare il SII, ma deve esercitare tale competenza nel rispetto delle norme di grande riforma economico-sociale stabilite dalla legislazione dello Stato. Tra queste ultime, per quel che qui è di più prossimo interesse, rilevano quelle poste dalla legislazione statale in tema di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e di «tutela della concorrenza», innanzi tutto in relazione alle direttrici della metodologia tariffaria – come esplicitamene riconosce la citata sent. n. 142 del 2015 – ma, evidentemente, anche in relazione ad altri ambiti.

IL RISPETTO DELLE NORME DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA.
La normativa regionale de qua, evidentemente, deve rispettare anche le norme del diritto dell’Unione europea concernenti il servizio idrico e l’utilizzazione della risorsa idrica, la cui violazione comporterebbe la lesione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
Al riguardo, rileva soprattutto la direttiva 2000/60/CE, la quale, per quel che qui più specificamente rileva, stabilisce che «gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l’analisi economica effettuata in base all’allegato III e, in particolare, secondo il principio: “chi inquina paga”» (Considerando n. 38), prevedendo inoltre che i medesimi provvedono a «che le politiche dei prezzi dell’acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente e contribuiscano in tal modo agli obiettivi ambientali della presente Direttiva», nonché ad «un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell’acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura, sulla base dell’analisi economica effettuata secondo l’allegato III e tenendo conto del principio “chi inquina paga”» (art. 9, comma 1).
Si noti peraltro che il principio del recupero dei costi risulta fondamentale, nell’impianto della direttiva, per tutte le attività di utilizzo idrico (cfr. art. 2, punto 39, art. 5 e all. III).

LA CONFORMAZIONE GENERALE DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO NELLA LEGGE DELLA REGIONE SICILIANA N. 19 DEL 2015.
L’obiettivo dichiarato della legge in esame è quello di definire principi per la tutela, il governo pubblico e partecipativo della gestione delle acque, il conseguimento dell’equilibrio idrologico del suolo contrastando il rischio frane ed alluvioni, nonché il processo di desertificazione, in modo tale da garantire un uso della risorsa rispettoso dei criteri di sostenibilità, solidarietà, trasparenza, equità sociale ed efficacia (art. 1, comma 2). In questo quadro, la scelta politica che qualifica l’intervento legislativo è quella di considerare l’acqua un «bene comune pubblico non assoggettabile a finalità lucrative in quanto risorsa pubblica limitata, essenziale ed insostituibile per la vita e per la comunità, di alto valore ambientale, culturale e sociale», ritenendo altresì che «la disponibilità e l’accesso all’acqua potabile ed all’acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto umano, individuale e collettivo, non assoggettabile alle ragioni di mercato» (art. 1, comma 1).
In coerenza con le scelte appena richiamate, la legge della Regione siciliana n. 19 del 2015 individua i principi che devono ispirare la governance e la pianificazione dell’utilizzo della risorsa idrica e, in conseguenza, disciplina la gestione della risorsa e l’erogazione dei relativi servizi. Nello specifico, la L.R. 19/2015 in esame, oltre a disciplinare l’assetto territoriale ed organizzativo del servizio idrico integrato (art. 3), ne disciplina l’affidamento, in via transitoria e definitiva (artt. 4 e 5), oltre che i modelli tariffari (art. 11) e dispone in merito alla proprietà delle infrastrutture idriche e dotazioni patrimoniali afferenti al SII (art. 1, c. 2, lett. c). Per quel che qui è di più prossimo interesse, la legge regionale siciliana stabilisce quanto segue.
I. L’autorità di governo del SII.
In merito all’assetto territoriale ed organizzativo del SII, l’art. 3, commi 1 e 2, stabilisce che l’Assessorato regionale per l’energia e per i servizi di pubblica utilità individui «in numero di 9» gli Ambiti territoriali ottimali (ATO), coincidenti con le zone omogenee dei bacini idrografici o con i preesistenti. Si prevede, inoltre, la costituzione, in ogni ATO, di un’Assemblea Territoriale Idrica dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia amministrativa, contabile e tecnica, composta dai sindaci dei Comuni appartenenti all’Ambito i quali eleggono tra loro il Presidente dell’Assemblea. A questo organismo sono affidate, dal successivo comma 3 dell’art. 3, le funzioni di governo del servizio. Risulta tuttavia consentita, al fine di salvaguardare le forme e le capacità gestionali esistenti, procedere alla costituzione di sub-ambiti, entro i quali siano i Comuni a provvedere alla gestione diretta, in forma associata, del servizio (art. 4, comma 7).
II. L’affidamento del servizio.
L’affidamento del SII avviene, a cura delle Assemblee territoriali idriche, o secondo la formula dell’in house, o – nel caso in cui in tal modo sia possibile conseguire condizioni di migliore economicità del servizio, all’esito di procedure di evidenza pubblica (art. 4, commi 1-3) – con la previsione di clausole particolarmente rigorose, da stabilire necessariamente nel bando a pena di nullità, a carico dell’affidatario (art. 4, comma 4). In sintesi, emerge dalle disposizioni in esame un chiaro favor per l’affidamento in house del servizio. Vengono inoltre previsti casi in cui è fatto salvo l’affidamento diretto ulteriori rispetto a quello di cui all’art. 147 del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti i Comuni montani con meno di 1000 abitanti (art. 4, commi 7 e 8 e art. 5, comma 6).
III. Tariffa, quantitativo minimo e fondo di solidarietà.
La legge regionale n. 19 del 2015 prevede che il servizio sia finanziato secondo meccanismi tariffari (art. 4, comma 1). I caratteri della tariffa sono definiti dall’art. 11, il quale riproduce, in gran parte, le disposizioni contenute nell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedendo tra l’altro: a) che la tariffa, in tutte le sue componenti, ha carattere di corrispettivo; b) che deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio; c) che deve essere rispettato il principio chi inquina paga. A fianco di tali prescrizioni, è inoltre reperibile quella secondo cui «la tariffa è ridotta in una misura pari al 50 per cento» nel caso in cui la risorsa idrica non sia utilizzabile ai fini alimentari.
L’art. 4, comma 12, prevede invece la costituzione di un «Fondo di solidarietà a sostegno dei soggetti meno abbienti», alimentato, per il primo anno, attraverso le risorse derivanti dalla tariffa, e successivamente a mezzo di accantonamenti a carico del gestore nella misura dello 0,2 per cento del fatturato annuo. Nei limiti di capienza di tale fondo è, infine, prevista l’erogazione giornaliera di un quantitativo minimo vitale di 50 litri per persona anche in caso di morosità.

LA QUESTIONE DELLA RILEVANZA ECONOMICA DEL SII: LA SCELTA DEL LEGISLATORE REGIONALE ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE.
Risulta evidente che la scelta del legislatore siciliano si caratterizza soprattutto per la chiara esclusione della possibilità di remunerare il capitale di rischio e di realizzare profitti attraverso la gestione del SII. Da tale scelta politica qualificante l’intero intervento legislativo discendono tutti i più importanti aspetti di maggior dettaglio della normativa regionale.
A questo riguardo – anche alla luce del referendum abrogativo nazionale celebratosi il 12 e il 13 giugno 2011, nonché della giurisprudenza costituzionale successiva – non pare sia possibile escludere in radice che il legislatore regionale possa compiere una scelta di tal genere. Come accennato, peraltro, in tema la Regione siciliana dispone di una competenza legislativa esclusiva, mentre le Regioni ordinarie possono vantare la competenza legislativa residuale in materia di “servizi pubblici locali” in base all’art. 117, quarto comma, Cost. Ciò non toglie, tuttavia, che, nella concreta conformazione del servizio, il legislatore regionale debba adeguarsi alle specifiche prescrizioni dettate dalle norme statali di grande riforma economico-sociale, ed in particolare a quelle posta in vista della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (art. 117, secondo comma, lett. s), e della «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lett. s).
Quanto ai limiti posti in virtù di tale ultimo titolo di intervento statale («tutela della concorrenza»), tuttavia, è necessaria qualche precisazione. La giurisprudenza costituzionale, sin dalla sent. n. 272 del 2004, ha chiarito che questi limiti dispiegano i propri effetti nei confronti della legislazione regionale in tema di servizi pubblici locali, solo ove essi siano organizzati in modo da essere caratterizzati da «rilevanza economica». Probabilmente in ragione dell’intento di sottrarsi all’applicazione delle norme proconcorrenziali il legislatore regionale – oltre ad escludere esplicitamente le finalità lucrativa nella gestione del SII – qualifica quest’ultimo come «servizio pubblico locale di interesse generale», omettendo l’aggettivo “economico” che invece è riscontrabile negli articoli 14 e 106 del TFUE, nei quali si fa menzione – appunto – di «servizi di interesse economico generale» e non di servizi di interesse generale.
In effetti, ove si prenda in considerazione la giurisprudenza amministrativa, la sussistenza del requisito della rilevanza economica, da valutare in concreto e non solo in astratto, dipende dalla possibilità che dalla gestione del servizio si producano ricavi e come tale sia contendibile sul mercato dei servizi. Sul punto si tende ad adottare, dunque, un criterio che tiene conto delle peculiarità del caso concreto, quali l’effettiva struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio (Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488). Alla luce di tale definizione, il SII così come configurato dalla della Regione siciliana n. 19 del 2015 non sembrerebbe essere caratterizzato dalla rilevanza economica.
La giurisprudenza costituzionale, tuttavia, nella ben nota sent. n. 325 del 2010, ha fatto propria una definizione ben più ampia della nozione di “rilevanza economica”. Tale requisito, secondo la menzionata decisione della Corte costituzionale, sussiste ove ricorrano le seguenti condizioni: «a) che l’immissione del servizio possa avvenire in un mercato anche solo potenziale, nel senso che (…) è condizione sufficiente che il gestore possa immettersi in un mercato ancora non esistente, ma che abbia effettive possibilità di aprirsi e di accogliere, perciò, operatori che agiscano secondo criteri di economicità; b) che l’esercizio dell’attività avvenga con metodo economico, nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici)». Ebbene, alla luce di tale criterio – ovviamente dirimente, alla luce della sua provenienza, ai fini della valutazione della legittimità costituzionale della normativa in oggetto – non vi è dubbio che anche il SII come configurato dalla legge regionale in esame è caratterizzato da “rilevanza economica”. Basta, al riguardo, il richiamo all’art. 11, comma 1, ai sensi del quale la tariffa è determinata «in modo tale che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio chi inquina paga». In considerazione di quanto appena esposto, è necessario concludere che, in base ai percorsi della giurisprudenza costituzionale sopra menzionati, le norme della legge della Regione siciliana n. 19 del 2015, pur se dettate in un ambito di competenza esclusiva di tale ente territoriale, devono rispettare le prescrizioni dettate dallo Stato non solo in nome della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, ma anche in vista della “tutela della concorrenza”, in quanto norme di grande riforma economico-sociale. In tale senso depone del resto la sentenza della Corte costituzionale n. 187 del 2011, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma regionale che esplicitamente escludeva la qualificazione del SII quale servizio a rilevanza economica.

Fatte queste premesse, si ritiene che sussistano profili di illegittimità costituzionale in relazione: alle norme in materia di affidamento del servizio idrico integrato (in particolare, l’art. 4, commi 2,3,4,7 e 8); alle norme che determinano la frammentazione gestionale dell’ambito territoriale ottimale (art. 3, comma 3, lett. i), art. 4, commi 7 e 8 e, in via conseguenziale, art. 9, comma 1); alle norme in materia di tariffe e Fondo di solidarietà (art. 11, art. 5, comma 2, art. 7, comma 3; art. 4, comma 6 e comma 12); alle norme in materia di proprietà delle reti (art. 1, comma 2, lett. c). In particolare, le disposizioni della legge regionale n. 19/2015 si ritengono affette da incostituzionalità per i seguenti motivi:

IN MATERIA DI AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO

1) L’art. 4, nella parte in cui non prevede, al comma 2, alcun termine per l’affidamento in house della gestione del servizio idrico, mentre prevede, al comma 3, un termine massimo di nove anni per l’affidamento della gestione mediante procedura di evidenza pubblica, oltre a violare l’art. 3, comma 1, Cost. e il principio di eguaglianza-ragionevolezza in esso sancito, eccede dalle competenze di cui all’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana contrastando con l’art. 117, comma secondo, lett. e) ed s), Cost., in riferimento agli artt. 119, e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’art. 10, comma 14, lett. d), del d.l. n. 70 del 2011, nonché in riferimento agli articoli 149-bis e 151, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006. Inoltre, la disposizione censurata viola gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 14 e 106 TFUE e al principio di pari trattamento tra impresa pubblica e impresa privata.
Le disposizioni determinano una disparità di trattamento tra situazioni analoghe, che contrastano con il richiamato principio di eguaglianza-ragionevolezza, oltre che con i principi di non discriminazione sanciti dal diritto europeo in materia di affidamenti (e recentemente ribaditi dall’art. 19, comma 1, lettera c) della legge delega n. 124 del 2015). La normativa statale in materia di affidamenti, con finalità di tutela della concorrenza, da una parte non ammette discriminazioni in base alla natura – pubblica, mista o privata – del soggetto affidatario (art. 149-bis, d.lgs. n. 152 del 2006); dall’altra attribuisce all’AEEGSI (art. 151, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 152 del 2006) il compito di predisporre la convenzione tipo di gestione, definendo in questa sede anche “la durata dell'affidamento, non superiore comunque a trenta anni”.
Nel rendere possibili affidamenti in house a tempo indeterminato, la disposizione contrasta anche con le norme secondo cui il servizio deve essere organizzato in modo da garantire il recupero dei costi (art. 119 e art. 154 del d.lgs. n. 152/2006). Come evidenziato anche dalla Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico nel documento di consultazione nell’ambito del procedimento avviato con la deliberazione 26 settembre 2013, 412/2013/R/IDR, infatti, «la durata dell’affidamento (…) è un elemento fondamentale per determinare la possibilità di recupero dei costi, inclusi quelli di investimento». Poiché il principio di non discriminazione tra imprese pubbliche e imprese private e il principio del recupero dei costi sono di derivazione comunitaria, dunque, risultano violati anche gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. (con riferimento all’art. 9 e al Considerando n. 38 della direttiva 2000/60/CE). Risultano violati, inoltre, gli artt. 14, comma 1, dello Statuto della Regione siciliana, e 117, secondo comma, lettere e) ed s), dato che il principio del recupero dei costi è stato fatto proprio, con finalità di “tutela della concorrenza” e di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, dagli artt. 119 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 e dall’art. 10, comma 14, lett. d), del d.l. n. 70 del 2011, e costituisce senza dubbio un norma di grande riforma economico-sociale.

2) Il medesimo art. 4, comma 2, nella parte in cui non prevede che gli enti di diritto pubblico cui è possibile affidare la gestione del servizio idrico integrato svolgano la loro attività in prevalenza nei confronti dell’ente affidante, presenta profili di incostituzionalità anche per violazione dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana e dell’art. 117, comma 2, lett. e), Cost., in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché degli art. 11 e 117, comma 1, Cost., in riferimento agli artt. 14 e 106TFUE.
La disposizione censurata, in particolare, non rispetta le condizioni stabilite dal diritto dell’Unione europea per l’affidamento in house. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, infatti, per procedere all’affidamento in house, oltre ai necessari requisiti del c.d. “controllo analogo” e del capitale totalmente pubblico, previsti dalla disposizione de qua, deve ricorrere anche un ulteriore requisito consistente nella prevalenza dell’attività dell’affidatario nei confronti l’ente affidante (sentt. 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, Parking Brixencfr, e 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal). In altre parole, le prestazioni del primo devono essere destinate in via principale ed esclusiva all’ente di riferimento e, conseguentemente, le altre attività devono avere carattere marginale e sussidiario.
La mancata previsione di tale requisito determina l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, per contrasto con le norme del diritto dell’Unione europea più sopra menzionate - con conseguente violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. - nonché con l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, che a quelle norme, a fini di tutela della concorrenza, fa esplicito rinvio - con la conseguente violazione dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana e dell’art. 117, comma 2, lett. e), Cost.

3) L’art. 4, comma 3, secondo cui l’affidamento del servizio idrico integrato all’esito di procedure di evidenza pubblica «ha luogo previa verifica, da parte delle Assemblee territoriali idriche, della sussistenza di condizioni di migliore economicità dell’affidamento rispetto alle ipotesi» di affidamento c.d. in house, è incostituzionale per violazione dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana e dell’art. 117, comma secondo, lett. e), Cost., in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché degli art. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 14 e 106 TFUE.
Tale disposizione costruisce chiaramente – insieme a quelle contenute nei commi 4 e 7 del medesimo articolo 4, prese in esame più avanti – un regime di favore per l’affidamento in house rispetto all’affidamento tramite procedura di evidenza pubblica, dovendo il soggetto affidante che sceglie quest’ultimo assolvere ad uno speciale onere motivazionale. Si tratta di una previsione che contrasta con le norme del diritto dell’Unione europea a tutela del principio di libera concorrenza, per le quali l’affidamento in house – come ha rilevato la Corte costituzionale nella sent. n. 325 del 2010 – rappresenta una «eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara», ossia una strada perseguibile, anche alla luce dell’art. 106, comma 2, del TFUE, quando ciò sia reso necessario dal perseguimento degli obblighi del servizio pubblico. A questo riguardo è stata, di recente, del tutto esplicita la sent. n. 32 del 2015, che ha evidenziato, come anche a seguito dell’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, non possa «condividersi l’assunto (…) in base al quale l’applicabilità diretta del diritto comunitario non porrebbe limiti all’affidamento in house del servizio idrico, giacché, secondo l’insegnamento di questa Corte, il sistema normativo interno basato sull’art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come modificato dall’art. 14 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, induce a ritenere che «i casi di affidamento in house, quale modello organizzativo succedaneo della (vietata) gestione diretta da parte dell’ente pubblico, debbono ritenersi eccezionali e tassativamente previsti» (sentenza n. 325 del 2010)».
Per queste ragioni si deve ritenere che l’art. 4, comma 3, nei limiti sopra precisati, violi, oltre gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. (in riferimento agli artt. 14 e 106 TFUE, cui l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, indirettamente rinvia) anche l’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., e l’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana.

4) L’art. 4, comma 4, lettera a), stabilisce, solo nel caso di affidamento a privati, l’invarianza delle condizioni economiche dell’affidamento, ponendo a carico dell’affidatario anche «gli oneri relativi ad eventuali varianti, per qualsiasi causa necessarie, ove funzionali all’espletamento del servizio»; alla lettera b), prevede la risoluzione di diritto del contratto di affidamento per gravi disservizi (interruzione del servizio per più di quattro giorni con incidenza su almeno il 2 per cento della popolazione) e il pagamento di penali “ove qualsiasi interruzione anche di diversa natura si protragga per più di un giorno”.
Tali previsioni, nel porre a carico dell’affidatario ogni variazione economica che possa intervenire nel periodo di affidamento per qualsiasi causa, anche non imputabile al gestore, contrastano con il principio, di derivazione comunitaria (art. 14, TFUE; art. 9 e Considerando n. 38 direttiva 2000/60/CE), di copertura dei costi e di equilibrio economico finanziario della gestione; pertanto, violano l’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale e gli artt. 11 e 117, primo e secondo comma, lettere e) ed s), della Costituzione in riferimento agli artt. 119 e 154, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006; agli articoli 2, lett. e), e 3, comma 1, lett. c) del D.P.C.M. del 20 luglio 2012 e l’art. 10, comma 11 e comma 14, del d.l. n. 70 del 2011, che recepiscono il suddetto principio.
La disposizione censurata collide, inoltre, con l’art. 151, d.lgs. 152/06, il quale attribuisce all’AEEGSI il compito di definire, nell’ambito della convenzione tipo, “le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile” (lett. o) e “i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dall'ente di governo dell'ambito e del loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze” (lett. e).

5) Lo stesso art. 4, comma 4, nella parte in cui prevede condizioni per l’affidamento del SII tramite procedure di evidenza pubblica ulteriori e più rigorose rispetto a quelle previste per l’affidamento c.d. in house, è incostituzionale anche per violazione dell’art. 3, comma 1, Cost. e del principio di eguaglianza-ragionevolezza, dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana e dell’art. 117, comma 2, lett. e), Cost., in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché degli art. 11 e 117, comma 1, Cost.
La disposizione censurata, infatti, determina una disparità di trattamento tra situazioni analoghe, in violazione dell’art. 3, Cost., e del principio di eguaglianza-ragionevolezza in esso sancito, nonché una chiara situazione di favore per l’affidamento in house. In particolare, la norma rende eccessivamente difficile l’organizzazione di un servizio in grado di recuperare efficacemente i costi nell’ambito di una gestione (massima) così breve, minando così l’effettività del ricorso all’affidamento mediante procedure concorsuali, in violazione delle norme del diritto dell’Unione europea rilevanti sul punto, già più sopra richiamate, degli artt. 11 e 117, primo e secondo comma, lett. e), Cost., e dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana.

6) L’art. 4, comma 7, nella parte in cui prevede che i Comuni, «al fine di salvaguardare le forme e le capacità gestionali esistenti», possano «provvedere alla gestione in forma diretta e pubblica del servizio idrico, in forma associata, anche ai sensi dell’art. 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267», è incostituzionale per violazione dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana e dell’art. 117, comma secondo, lett. e), Cost., in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché degli art. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 14 e 106 TFUE.
Tale norma presenta profili di incostituzionalità sia in relazione alle modalità di affidamento del servizio, sia in relazione alla frammentazione dell’unicità della gestione nell’ambito. In questa sede viene in considerazione il primo dei due profili, rinviando la trattazione del secondo profilo al punto 8.
L’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 precisa che l’affidamento del servizio deve avvenire in una delle forme «previste dall’ordinamento europeo», nonché nel rispetto «della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica». La disposizione conferma (codificandola in una norma di diritto positivo) l’impostazione della giurisprudenza costituzionale, identificando le forme di gestione del SII in quelle stabilite dall’Unione Europea. Il riferimento all’“ordinamento europeo” implica che le forme di gestione del SII siano da individuare: a) nell’affidamento del servizio con procedura di evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea; b) nell’affidamento del servizio a società mista il cui socio privato sia scelto mediante procedura ad evidenza pubblica; c) nell’affidamento del servizio a soggetto interamente pubblico in house, purché l’affidatario disponga dei requisiti individuati dalla giurisprudenza dell’Unione Europea. Ciò esclude dunque la possibilità della gestione diretta del servizio, consentita invece dalla norma de qua.
Da quanto appena precisato deriva la violazione dell’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, posta dallo Stato in virtù del titolo della “tutela della concorrenza”, e quindi degli artt. 117, secondo comma, lett. e) e 14, comma 1, dello Statuto della Regione siciliana. Dal contrasto con norme di diritto dell’Unione Europea deriva, inoltre, la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
In via consequenziale ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, si ritiene che potrebbe essere dichiarato costituzionalmente illegittimo anche l’art. 5, comma 6, della legge regionale, che prevede che «nelle more dell’espletamento delle procedure di cui all’art. 4, i comuni afferenti ai disciolti Ambiti territoriali ottimali presso i quali non si sia determinata effettivamente l’implementazione sull’intero territorio di pertinenza della gestione unica di cui all’art. 147, comma 2, lette b), del decreto legislativo n. 152/2006 e successive modifiche e integrazioni, con deliberazione motivata da assumere entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, possono adottare le forme gestionali del comma 7 dell’art. 4».

7) L’art. 4, comma 8, nella parte in cui prevede che i Comuni «di cui al comma 6 dell’art. 1 della legge regionale 9 gennaio 2013, n. 2, possono gestire in forma singola e diretta il servizio integrato nei casi in cui la gestione associata del servizio risulti antieconomica», per violazione dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana e dell’art. 117, comma secondo, lett. e), Cost., in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché degli art. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 14 e 106 TFUE.
La disposizione presenta profili di illegittimità costituzionale sia per quel che riguarda l’effetto di “frammentazione” della gestione nell’ambito ottimale che determina, come si vedrà successivamente, sia per quel che concerne le modalità di affidamento. In particolare, la norma contrasta con le norme del diritto dell’Unione Europea concernenti le modalità di affidamento del servizio, nonché con l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, che a queste ultime esplicitamente rinvia, secondo quanto specificato al punto precedente. Da ciò la violazione dei parametri costituzionali sopra indicati.

IN MATERIA DI FRAMMENTAZIONE DELL’AMBITO OTTIMALE.

8) L’art. 3, comma 3, lettera i), in base al quale l’Assemblea territoriale «delibera, su proposta dei comuni facenti parte del medesimo ATO, la costituzione di sub-ambiti», e l’art. 4, comma 7, nella parte in cui prevede che i Comuni possano «provvedere alla gestione in forma diretta e pubblica del servizio idrico, in forma associata (…), anche attraverso la costituzione di sub-ambiti, ai sensi dell’art. 3, comma 3, lettera i), facenti parte dello stesso Ambito territoriale ottimale», sono incostituzionali per violazione dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana e dell’art. 117, comma 2, lett. e) ed s), Cost., in riferimento agli artt. 147, 149-bis e 172 del d.lgs. n. 152 del 2006 e all’art. 3-bis, commi 1 e 1-bis, del d.l. n. 138 del 2011.
Le disposizioni impugnate, consentendo la costituzione di sub-ambiti, si pongono in contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di “tutela della concorrenza” e di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.
La legislazione statale, nelle norme del Codice dell’ambiente sopra richiamate e all’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, mira ad assicurare l’unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale e l’integrazione – verticale e orizzontale – dei servizi, superando la frammentazione gestionale determinata dall’esistenza delle resilienti gestioni comunali (di dimensioni inadeguate rispetto alla mole di investimenti necessari, soprattutto per uscire dalle numerose procedure d’infrazione aperte nei confronti dell’Italia e riferite alla Regione siciliana) che la disciplina regionale mira a confermare. Si tratta di principi che vincolano il legislatore regionale, come affermato dalla Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 32 del 12 marzo 2015.
Più in particolare, l’art. 147 del d.lgs n. 152/2006, dispone che i servizi idrici siano «organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle Regioni», nel rispetto (tra gli altri) dei seguenti principi: i) garanzia dello svolgimento del servizio «secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità»; ii) «unicità della gestione»; iii) «adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici».
L’art. 3-bis, comma 1, del d.l. n. 138 del 2011 prevede che a tutela della concorrenza e dell’ambiente, le regioni definiscano il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei in modo da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio e istituendo o designando gli enti di governo degli stessi. Il comma 1-bis prevede che le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, di scelta della forma di gestione, di affidamento della gestione e relativo controllo siano esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 dello stesso art. 3-bis.
L’articolo 149-bis, al comma 1, afferma che l’ente di governo dell’ambito delibera la forma di gestione nel rispetto del principio di unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale. Al comma 2 lo stesso articolo fa riferimento al “gestore unico di ambito” e prevede che il servizio idrico integrato sia gestito dal soggetto affidatario “su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale”. Il principio dell’unicità della gestione è ulteriormente ribadito all’articolo 172, che regola le “gestioni esistenti”.
Il principio di unicità della gestione nell’ambito ottimale, posto dalle disposizioni appena richiamate, è evidentemente violato dalle disposizioni impugnate, che consentono l’istituzione di sub-ambiti in modo del tutto slegato dai principi che la legislazione statale pone per la modulazione degli ambiti. La «salvaguardia delle forme e delle capacità gestionali esistenti» cui è orientata la disposizione impugnata, infatti, non è necessariamente coerente con i criteri di «efficienza, efficacia ed economicità» e di «adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici» cui rinvia il menzionato art. 147.
Si noti infine che il comma 2-bis dell’articolo 147 prevede, quale unica possibile eccezione al principio di unicità della gestione nell’ambito, l’ipotesi secondo la quale quest’ultimo «coincida con l’intero territorio regionale»: nel qual caso è possibile, «ove si renda necessario al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio all’utenza», procedere alla costituzione di sub-ambiti. Risulta evidente che l’art. 4, comma 7, della legge della Regione siciliana n. 19 del 2015 si pone del tutto al di fuori di tale previsione.

9) Illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 8, della legge della Regione siciliana n. 19 del 2015, nella parte in cui prevede che i Comuni «di cui al comma 6 dell’art. 1 della legge regionale 9 gennaio 2013, n. 2, possono gestire in forma singola e diretta il servizio integrato nei casi in cui la gestione associata del servizio risulti antieconomica», per violazione dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana e dell’art. 117, comma secondo, lett. e), Cost., in riferimento all’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché degli art. 11 e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 14 e 106 TFUE.
L’art. 4, comma 8, della legge della Regione siciliana n. 19 del 2015 prevede quanto segue: «I comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti nonché i comuni delle isole minori ed i comuni di cui al comma 6 dell’articolo 1 della legge regionale 9 gennaio 2013, n. 2 possono gestire in forma singola e diretta il servizio idrico integrato nei casi in cui la gestione associata del servizio risulti antieconomica». Tale disposizione presenta profili di illegittimità costituzionale sia per quel che riguarda l’effetto di “frammentazione” della gestione nell’ambito ottimale che determina, sia per quel che concerne le modalità di affidamento. In questa sede viene in rilievo tale secondo profilo e si rimanda la trattazione del primo profilo al paragrafo 7.
L’art. 147, comma 2-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel disciplinare i casi di eccezione all’unicità della gestione nell’ambito ottimale, fa salve «le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti istituite ai sensi del comma 5 dell’articolo 148». La norma regionale de qua, come si è visto, aggiunge a tale ipotesi quella dei Comuni delle isole minori e quella dei comuni di cui all’art. 1, comma 6, della legge regionale n. 2 del 2013.
Nessun problema di costituzionalità sembra porsi per lo specifico riferimento ai Comuni delle isole minori, dal momento che la relativa previsione pare estendere la ratio che sostiene la norma eccezionale previsa per i Comuni montani di minori dimensioni. Diverse sono le considerazioni che suscita l’altra previsione, che estende la richiamata eccezione ai «i comuni che non hanno consegnato gli impianti ai gestori del servizio idrico integrato, continuano la gestione diretta» (art. 1, comma 6, della legge regionale siciliana n. 2 del 2013). Tale previsione appare completamente estranea alla ratio dell’eccezione stabilita dalla norma statale, e dunque in irrimediabile contrasto con la medesima. Il contrasto si determina anche in relazione alle norme del diritto dell’Unione europea concernenti le modalità di affidamento del servizio, nonché con l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, che a queste ultime esplicitamente rinvia. Da ciò la violazione dei parametri costituzionali sopra indicati.
In ogni caso, determina una violazione dei parametri indicati più sopra l’estensione della deroga regionale siciliana ai «casi in cui la gestione associata risulti antieconomica», da valutare discrezionalmente pro futuro, a fronte di una previsione statale concernente le sole gestioni già «esistenti».
Merita di essere evidenziato, inoltre, che l’art. 9, comma 1, della legge regionale de qua pare gravato da una illegittimità costituzionale consequenziale rispetto a quella appena evidenziata. Tale disposizione, infatti, prevede che i «finanziamenti previsti per l’adeguamento degli impianti di depurazione delle reti idriche» siano destinati anche «ai comuni di cui all’art. 1, comma 6, della legge regionale 9 gennaio del 2013, n. 2». Dovendo venir meno la possibilità di gestione del SII da parte di questa categoria dei comuni in seguito alla auspicato accoglimento della questione da ultimo prospettata, dovrebbe essere dichiarata l’illegittimità consequenziale ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, della norma da ultimo evocata, in relazione al profilo evidenziato. Si potrebbe dunque segnalare al Giudice costituzionale tale possibilità nel ricorso introduttivo del giudizio.
Pertanto, la disposizione regionale in esame risulta costituzionalmente illegittima solo nella parte in cui prevede che “(…) i comuni di cui all’art. 1, comma 6, della legge regionale 9 gennaio del 2013, n. 2” possono gestire in forma singola e diretta il servizio integrato nei «casi in cui la gestione associata risulti antieconomica» in quanto eccezioni non previste dalla normativa statale.

SULLA TARIFFA E SUL FONDO DI SOLIDARIETÀ

10) L’art. 11 attribuisce alla Giunta regionale il compito di definire e approvare, su proposta delle Assemblee territoriali idriche, i modelli tariffari del ciclo idrico relativi all’acquedotto e alla fognatura «sulla base di quanto disposto dall'articolo 154 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ossia che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata dalla qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento delle Assemblee territoriali idriche, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga"». L’ultima parte della disposizione, inoltre, individua direttamente uno dei criteri a cui deve attenersi la Giunta nel determinare la tariffa prevedendo che «in relazione al livello di qualità della risorsa idrica ovvero nei casi in cui la stessa non è utilizzabile per fini alimentari, la tariffa è ridotta in una misura pari al 50 per cento».
L’art. 5, comma 2, che disciplina il regime transitorio, prevede che le funzioni dei commissari straordinari e liquidatori delle soppresse Autorità d’ambito sono prorogate e che gli stessi continuano ad avvalersi del personale in servizio presso le stesse “con costi a carico della tariffa del servizio idrico”.
L’art. 7, comma 3, nel prevedere che il personale in servizio delle Autorità d'Ambito territoriali ottimali proveniente da pubbliche amministrazioni transita, unitamente alle funzioni, alle Assemblee territoriali idriche, pone i relativi oneri finanziari a carico dei proventi derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato, rimandando ad un decreto assessoriale le modalità di ripartizione dei predetti oneri a carico dei soggetti gestori del servizio idrico integrato.
Tali previsioni, attribuendo all’amministrazione regionale il potere di definire i criteri per la determinazione delle tariffe del SII e di approvare le tariffe medesime, violano il riparto di competenze stabilito dall’art. 117, comma 2, lett. e) ed s), della Costituzione, atteso che la materia relativa ai criteri per l’individuazione delle componenti di costo e per la determinazione delle tariffe per i servizi idrici e all’approvazione delle stesse è espressione della competenza esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, co. 2, lettere e (tutela della concorrenza) ed s (tutela dell’ambiente).
La Corte costituzionale, infatti, ha chiarito che le regioni non possono legiferare in materia di determinazione delle tariffe per i servizi idrici (v. ex multis sent. nn. 246/09, 307/09, 29/10, 142/10, 67/13), atteso che “dall’interpretazione letterale e sistematica degli artt. 154, 155 e 161 del d.lgs. n. 152 del 2006 si desume che la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua è ascrivibile alla materia della tutela dell’ambiente e a quella della tutela della concorrenza, ambedue di competenza legislativa esclusiva dello Stato” e che “le disposizioni regionali impugnate riservino a tali enti un’attività di approvazione e modulazione che, invece, dalle norme statali interposte, in particolare dall’articolo 10, comma 14, del d.l. n. 70 del 2011, risulta riservata allo Stato, nell’esercizio delle proprie competenze in materia di tutela dell’ambiente e di tutela della concorrenza”.
Gli artt. 154, commi 2 e 4, e 161, comma 4, del D.Lgs. n. 152/06, e l’art. 10, comma 14, del D.L. 70/11 (in combinato disposto con l’art. 21, comma 19, del D.L. 201/11 e con l’art. 3 del d.p.c.m. 20 luglio 2012), dunque, sono pacificamente qualificati dalla Corte costituzionale come norme-parametro interposte, la cui violazione determina dunque indirettamente la violazione dell’art. 117 Cost. (ex multis, sent. 29 del 2010, Considerato in diritto, punto 1).
A normativa vigente spetta dunque allo Stato – che nella fattispecie ha attribuito il relativo potere amministrativo all’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico (v. art. 10, co. 14, D.L. 70/11; art. 21, comma 19, D.L. 201/11; art. 3 dPCM 20 luglio 2012; art. 2, comma 12, L. 481/95) – la funzione di “predispo[rre] il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell'utilizzo delle risorse idriche e tenendo conto, in conformità ai principi sanciti dalla normativa comunitaria, sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e delle risorse, affinché sia pienamente realizzato il principio del recupero dei costi ed il principio "chi inquina paga" (..)” (art. 10, comma 14, D.L. 70/11), nonché il compito di “e) approva[re] le tariffe predisposte dalle autorità competenti”, verificando dunque ex post il rispetto dei criteri tariffari dalla stessa definiti.
Ad ulteriore asseverazione di quanto sopra esposto, occorre sottolineare che il decreto legge n. 201/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 214/11, nell’attribuire all’Autorità “le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici”, ha precisato che tali funzioni “vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all’Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481” (art. 21, comma 19, D.L. n. 201/2011). Ebbene, le disposizioni della legge n. 481/95, legge quadro sulla regolazione economica indipendente in Italia, devono ritenersi certamente, peraltro al pari di quelle del decreto-legge n. 70/11 (con particolare riferimento all'art. 10, comma 11 e ss.) e del decreto legge n. 201/2011 (con particolare riguardo all'art. 21, comma 19), norme di grande riforma economico-sociale della Repubblica, al cui rispetto è chiamata anche la Regione Siciliana, nell’esercizio delle proprie competenze legislative esclusive, ai sensi dell’art. 14 del proprio Statuto speciale. A conferma di ciò, il chiaro disposto dell’art. 1, comma 1, della legge n. 481/95, che individua le finalità dell’azione delle Autorità indipendenti di regolazione nella necessità di garantire la “promozione (..) dell'efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità (..) nonché adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi (..) assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori”.
L’esercizio dei poteri di regolazione indipendente intestati all’Autorità è infatti funzionale a garantire livelli minimi delle prestazioni e dei servizi pubblici “sull’intero territorio nazionale”, livelli minimi per il cui rispetto e raggiungimento sono previsti specifici poteri di regolazione e controllo a tutela degli utenti, compreso l’importante potere di irrogare sanzioni nei confronti di tutti gli esercenti i servizi che si rendono responsabili di violazioni della regolazione o di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti (art. 2, comma 20, legge 481/95).
Per i motivi suesposti, le disposizioni censurate, nella parte in cui attribuiscono alla Giunta Regionale il compito di definire e approvare i modelli tariffari del ciclo idrico relativi all'acquedotto e alla fognatura violano le competenze esclusive dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente previste dall’art. 117, comma 2, Cost. (lett. e e s), invadendo la potestà del medesimo in ordine alla determinazione delle tariffe per i servizi idrici tramite la lesione delle menzionate norme interposte.
Né si può ritenere che le disposizioni censurate siano legittime alla luce della circostanza che la Regione Siciliana si configura come una Regione a Statuto speciale.
Da una parte, infatti, non si rinviene nello Statuto della Regione una disposizione che stabilisca o fondi la competenza legislativa esclusiva della Regione per la disciplina della materia tariffaria, strettamente connessa alla tutela della concorrenza e dell’ambiente, come conferma la circostanza che in Sicilia ha sempre trovato applicazione la disciplina statale in materia di determinazione delle tariffe del SII (con particolare riferimento al Metodo Tariffario Normalizzato di cui al DM 1° agosto 1996 e, ancora prima, ai provvedimenti del CIPE). Dall’altra, in subordine rispetto alla censura principale in precedenza formulata - nella pur denegata ipotesi in cui si ritenesse che alla Regione Siciliana debbano essere riconosciute particolari forme di autonomia in materia di determinazione della tariffa in coerenza con quanto affermato dalla Corte costituzionale in relazione alla Regione autonoma Valle d’Aosta (sentenza n. 142/2015) - la disposizione impugnata sarebbe comunque illegittima nella parte in cui non prevede che i provvedimenti regionali debbano comunque “conformarsi alle direttrici della metodologia tariffaria statale”, come prescritto dalla Corte Costituzionale nella sentenza 142/15, all’imprescindibile fine di assicurare “una regolazione stabile e idonea a garantire gli investimenti necessari, un servizio efficiente e di qualità, nonché la tutela degli utenti finali”.
La legge regionale, infatti, omette di prevedere, nello spirito di quanto evidenziato dal Giudice delle leggi, il necessario rispetto, da parte dei provvedimenti regionali, delle direttrici della metodologia tariffaria statale definita dell’AEEGSI, in forza degli artt. 10, co. 14, D.L. 70/11; 21, comma 19, D.L. 201/11; 3, comma 1, dPCM 20 luglio 2012; nonché 2, comma 12, L. 481/95.
Occorre sottolineare, peraltro, che il riconoscimento di una competenza esclusiva della Regione in materia di determinazione delle tariffe del SII, potrebbe generare gravi effetti critici sulla finanza pubblica.
Si potrebbe sostenere, infatti, che nei bienni 2012/2013 e 2014/2015 gli utenti abbiano erroneamente versato ai gestori del SII – in maggioranza enti pubblici o s.p.a. partecipate da enti pubblici – tariffe calcolate in base a provvedimenti dell’AEEGSI risultati poi improduttivi di effetti per difetto assoluto di attribuzione.
Se si accede, infatti, alla tesi secondo cui la materia della determinazione delle tariffe del SII rientra nella competenza legislativa esclusiva regionale ex art. 14 dello Statuto, occorre allora rilevare che fino all’adozione della l.r. 19/2015 la materia è stata regolata in Sicilia dall’art. 69 della l.r. 10/1999, nella parte in cui ha previsto (comma 2 lettera h), che “ove non già disciplinato da specifiche norme regionali, si applicano le disposizioni di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36 e successive modifiche ed integrazioni”. Dunque, facendo propria la prospettiva esegetica sottesa alla legge regionale n. 19 del 2015, nel territorio della Regione avrebbero dovuto trovare applicazione, in materia di tariffe del SII, anche per le annualità in parola, le disposizioni e i provvedimenti attuativi della legge n. 36/1994 (poi trasposta nel d.lgs. 152/2006) ivi compreso il Metodo Tariffario Normalizzato di cui al DM 1° agosto 1996 – peraltro poi inciso dall’abrogazione referendaria ad opera del dPR 116/2011 – non riscontrandosi alcuna disposizione regionale che abbia inteso estendere alla Sicilia l’efficacia delle disposizioni del D.L. 70/2011, del D.L. 201/2011 e del dPCM 20 luglio 2012, da cui derivano i poteri dell’Autorità nel settore.
Ciò potrebbe generare rilevanti richieste di restituzione di quanto erroneamente versato, in forza dei provvedimenti dell’Autorità, per i bienni 2012/2013 e 2014/2015.
Inoltre, aderendo alla tesi suesposta risulterebbe che ad oggi, nelle more dell’adozione, da parte della Giunta regionale, del nuovo modello tariffario, non sarebbe possibile individuare con certezza la tariffa applicabile nel territorio regionale, posto che la disposizione impugnata non precisa quali norme siano applicabili fino all’approvazione del/i modello/i tariffario/i regionale/i e che contestualmente lo Stato sarebbe privo del potere di normare la materia poiché rientrante nella competenza esclusiva regionale. Da ciò deriverebbe anche la possibilità, per gli utenti siciliani, di contestare il pagamento delle tariffe ad oggi erroneamente applicate in forza dei provvedimenti dell’AEEGSI.
Ad aggravare tale situazione vi è la circostanza che la Regione Siciliana si configura oggi come la porzione di territorio italiano maggiormente interessata dalle procedure di infrazione pendenti contro l’Italia in materia di depurazione delle acque reflue prima del rilascio nei corpi idrici, per mancato rispetto degli standard ambientali stabiliti a livello europeo (Cfr. Documento per la consultazione 339/2013/R/idr e, in particolare, la Tav. 3 (pag.10) recante la “Localizzazione degli agglomerati per i quali l’Italia è stata condannata con sentenza 19 luglio 2012 in causa C-565/10”).
Ebbene, una situazione di incertezza e vuoto normativo e regolatorio, quale quella causata dalla disposizione impugnata, potrebbe rendere ancor più difficoltosa la realizzazione degli investimenti necessari al superamento delle criticità infrastrutturali poste alla base della procedura di infrazione, con conseguenti condanne contro l’Italia, stimate in circa 500/700 milioni di euro.
Si segnala infine che l’impossibilità di applicare la regolamentazione dell’Autorità sul territorio della Regione Siciliana priva gli utenti di quella Regione delle tutele e dei livelli minimi delle prestazioni previsti per tutti gli utenti presenti in Italia, anche tenendo conto che, come ben chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 41/13), “l’istituzione di un’Autorità indipendente è tesa a ridurre le criticità che potrebbero derivare dalla commistione, in capo alle medesime amministrazioni, di ruoli tra loro incompatibili, introducendo una distinzione tra soggetti regolatori e soggetti regolati”.
11) In tema di tariffa del SII l’art. 11 della legge regionale siciliana n. 19 del 2015 prevede quanto segue: «La Giunta regionale, su proposta delle Assemblee territoriali idriche, approva i modelli tariffari del ciclo idrico relativi all’acquedotto ed alla fognatura, compreso quello gestito da Siciliacque S.p.A., sulla base di quanto disposto dall’articolo 154 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ossia che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata dalla qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento delle Assemblee territoriali idriche, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio ‘chi inquina paga’. In relazione al livello di qualità della risorsa idrica ovvero nei casi in cui la stessa non è utilizzabile per fini alimentari, la tariffa è ridotta in una misura pari al 50 per cento. Tutte le quote delle tariffe del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo».
Tale disposizione, in gran parte, riproduce il contenuto dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006. Ciononostante alcuni aspetti risultano incostituzionali e meritano di essere impugnati, nei termini di seguito precisati. Sul punto è comunque opportuno premettere che, come ha evidenziato la Corte costituzionale in relazione ad analoga norma della Valle d’Aosta, la competenza in materia tariffaria dovrà comunque essere esercitata in conformità «alle direttrici della metodologia tariffaria statale» (sent. n. 142 del 2015). La legittimità dell’esercizio in concreto del potere conferito alla giunta è dunque subordinata alla conformità a queste ultime.

Per illustrare tale questione di legittimità costituzionale è necessario prendere le mosse dall’art. 141, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, ai sensi del quale «il servizio idrico integrato è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie». Tale norma colloca dunque con certezza, in modo inderogabile, il servizio di depurazione nell’ambito del SII (si veda, al riguardo, anche la delibera dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico 27 dicembre 2013, n. 642/2013/R/IDR). Il successivo art. 154 prevede quanto segue: «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’ente di governo dell’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo». Da ciò si desume chiaramente che la tariffa deve comprendere necessariamente una quota a titolo di corrispettivo anche per il servizio di depurazione (in tema cfr. la sent. n. 335 del 2008 della Corte costituzionale).
La disposizione normativa regionale di cui all’art. 11, invece, sembra prevedere modelli tariffari che escludono il segmento del servizio idrico relativo alla depurazione, prevedendo che «la Giunta regionale (…) approv(i) modelli tariffari del ciclo idrico relativi all’acquedotto ed alla fognatura». Tale conclusione potrebbe essere avvalorata dall’autonoma considerazione che la legge n. 15 del 2015 fa del servizio di depurazione, all’art. 27, comma 3, lett. e), attribuendo la competenza all’organizzazione del relativo servizio, in via sussidiaria, ai liberi consorzi di comuni, senza fare menzione alcuna degli ulteriori servizi che compongono il SII. L’art. 11 della legge della Regione siciliana in questione, ove dovesse essere interpretato nel senso di escludere il servizio di depurazione dall’insieme dei servizi il cui costo deve essere recuperato mediante la tariffa, sarebbe dunque in contrasto:
i) con gli artt. 119, 141, comma 2, e 154, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, che pongono il principio dell’intero recupero dei costi in relazione a tutti i segmenti del SII, nonché il principio “chi inquina paga”, e con l’ art. 10, comma 14, lett. d), del d.l. n. 70 del 2011, che impone il rispetto dei suddetti principi nella definizione del metodo tariffario, con conseguente violazione degli artt. 117, comma secondo, lett. e) ed s), e 14, primo comma, dello Statuto della Regione siciliana;
ii) con la direttiva 2000/60/CE (ed in particolare del suo Considerando n. 38 e del suo art. 9), che pone, nell’ambito del diritto dell’UE, i principi del recupero integrale dei costi e “chi inquina paga”, con conseguente violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
Da quanto sopra esposto, l’articolo 11, comma 1, primo periodo, risulta illegittimo nella parte in cui non prevede che la Giunta regionale (…) approv(i) modelli tariffari del ciclo idrico relativi ai servizi di depurazione oltre che quelli relativi all’acquedotto ed alla fognatura.

12) Oltre che per i motivi esposti al punto precedente, l’articolo 11 è affetto da incostituzionalità anche nella parte in cui prevede che «in relazione al livello di qualità della risorsa idrica ovvero nei casi in cui la stessa non è utilizzabile per fini alimentari, la tariffa è ridotta in una misura pari al 50 per cento». Analoghi profili di incostituzionalità viziano anche la previsione di cui all’art. 4, comma 6, secondo cui «per i disservizi di cui al comma 4, lettera b), prodotti dalle gestioni interamente pubbliche, le tariffe a carico degli utenti sono proporzionalmente ridotte». Le disposizioni censurate, lette in combinato disposto con gli artt. 1, commi 1 e 2, lett. c), e 4, commi 1 e 2, che stabiliscono il principio della non assoggettabilità a finalità lucrative della gestione delle risorse idriche, violano l’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana, l’art. 117, comma2 , lett. e) ed s), Cost., in riferimento agli artt. 119 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, ed all’art. 10, comma 14, lett. d), del d.l. n. 70 del 2011, nonché gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., in riferimento all’art. 9 della direttiva 2000/60/CE, e al Considerando n. 38 della medesima.
Per effetto delle norme (artt. 1, commi 1 e 2, lett. c), e 4, commi 1 e 2) che escludono esplicitamente qualunque finalità lucrativa nella gestione della risorsa idrica, le riduzioni tariffarie previste dalle disposizioni impugnate contrastano con il principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici, sancito all’art. 119, d.lgs. n. 156/2006, e ribadito all’art. 154, d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui la tariffa deve assicurare la «copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”». Inoltre, contrastano con quanto disposto dall’art. 10, comma 14, lett. d), d.l. n. 70 del 2011, concernente i criteri di predisposizione del metodo tariffario. Una lettura sistematica delle norme vigenti conduce necessariamente alla conclusione secondo la quale il principio della integrale copertura dei costi abbia carattere fondamentale e non sia in alcun modo derogabile nella determinazione della tariffa. Esso, infatti, oltre ad essere posto anche dalla direttiva 2000/60/CE, è certamente volto al fine di «evitare sprechi, favorire il rinnovo delle risorse, garantire i diritti delle generazioni future» (sent. n. 246 del 2009).
Il pur importante principio della modulazione della tariffa in ragione della qualità della risorsa, anch’esso previsto dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, deve essere coordinato con tale conclusione. Esso dunque potrà (e dovrà) operare, in relazione ai casi in cui la cattiva qualità della risorsa non sia responsabilità del gestore, solo ove il modello concretamente prescelto per la gestione del SII consenta la remunerazione del capitale di rischio e il perseguimento di finalità lucrative.
Avendo la legge della Regione siciliana de qua optato per un modello di gestione che in radice esclude la generazione di qualunque profitto, la medesima non può prevedere la riduzione del 50 per cento della tariffa ove la risorsa idrica non sia utilizzabile per fini alimentari anche in assenza di qualunque responsabilità del gestore, poiché in tal caso viene ad essere violato, evidentemente, il fondamentale principio della copertura dei costi. Da qui, dunque, la violazione dei parametri sopra indicati.
Analoghi profili di illegittimità costituzionale si riscontrano in relazione all’art. 4, comma 6, che prevede riduzioni tariffarie «per i disservizi di cui al comma 4, lettera b), prodotti dalle gestioni interamente pubbliche», riferendosi anche a disservizi non addebitabili a responsabilità del gestore.

13) L’art. 4, comma 12, nella parte in cui prevede che il Fondo di solidarietà ivi istituito sia alimentato «per il primo anno, attraverso le risorse derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato», e successivamente «mediante un accantonamento a carico del gestore, nella misura pari allo 0,2 per cento del fatturato complessivo annuo», è incostituzionale per violazione dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale della Regione siciliana, dell’art. 117, comma 2, lett. e) ed s), Cost., in riferimento agli artt. 119 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006 ed all’art. 10, comma 14, lett. d), del d.l. n. 70 del 2011, nonché degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., in riferimento all’art. 9 della direttiva 2000/60/CE, e al Considerando n. 38 della medesima.
L’art. 4, comma 12, prevede la istituzione di un Fondo di solidarietà a sostegno dei soggetti meno abbienti, destinato ad essere alimentato «per il primo anno, attraverso le risorse derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato», e successivamente «mediante un accantonamento a carico del gestore, nella misura pari allo 0,2 per cento del fatturato complessivo annuo». Da tali disposizioni risulta dunque evidente che la tariffa – unica fonte di approvvigionamento economico del gestore – dove servire anche a costituire ed alimentare il fondo in questione. Di conseguenza, la medesima dovrebbe essere determinata anche in ragione del finanziamento del Fondo di solidarietà, considerato alla stregua di un costo del servizio per la gestione del rischio di morosità. Tale circostanza, tuttavia, sembrerebbe contraddetta dall’articolo 11 della l.r. n. 19/2015, che sembra prevedere una determinazione della tariffa esclusivamente in ragione dei costi vivi del servizio, al netto di quanto occorre per finanziare il Fondo. Da questa interpretazione, deriverebbe l’inadeguatezza della medesima, al netto degli accantonamenti per finanziare il Fondo di solidarietà, a realizzare una effettiva integrale copertura dei costi, e pertanto si determinerebbe la violazione dei parametri costituzionali sopra indicati.

SULLA PROPRIETÀ DELLE RETI

14) L’art. 1, comma 2, lett. c), secondo cui «gli acquedotti, le reti fognarie, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato (…) sono proprietà degli enti locali», determina effetti espropriativi generalizzati nei confronti dei beni che, alla data della entrata in vigore della disposizione, siano in proprietà di privati e quindi, eccedendo dalle competenze statutarie , viola gli artt. 3, comma 1; 42, comma 3; 117, commi 1 e 2, lett. l), Cost., e l’art. 1 del primo protocollo CEDU.
Si tratta di una previsione che viola:
a) l’art. 3, comma 2, e 42, terzo comma, Cost., nella misura in cui la generalizzazione e la indeterminatezza degli effetti espropriativi rendono impossibile valutare se sussistano i «motivi di interesse generale» in ciascuno dei casi coinvolti che soli, ai sensi dell’art. 42, terzo comma, Cost., possono giustificare un provvedimento espropriativo, caratterizzando in tal modo la norma in questione in senso profondamente irragionevole, in violazione dell’art. 3, primo comma, Cost;
b) il provvedimento (legislativo) espropriativo, in ogni caso, non prevede alcun indennizzo, in violazione dell’art. 42, terzo comma, Cost., nonché dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, e dunque in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.
c) la norma, inoltre, conformando il diritto di proprietà, esorbita dal limite del diritto privato posto alle leggi regionali siciliane, violando la competenza oggi riconosciuta al legislatore statale in materia di “ordinamento civile”, dovendosi interpretare la materia “espropriazione” di cui all’art. 14 dello Statuto della Regione siciliana come riferita esclusivamente agli aspetti amministrativistici del tema, al più comprensivi della disciplina inerente la determinazione dell’indennità di esproprio.
In relazione a quanto esposto da ultimo, è però necessario tener conto della sent. n. 95 del 1966, nella quale – in tema di usufrutto – si è ritenuta la citata disposizione dello statuto regionale siciliano in grado di legittimare norme direttamente espropriative, in quanto non incidenti sui regimi giuridici dei diritto oggetto di traslazione. Tale precedente deporrebbe nel senso della infondatezza della questione di legittimità costituzionale appena menzionata. Qualche elemento in suo favore, invece, è desumibile dalla precedente sent. n. 49 del 1961, nella quale si afferma che la normativa regionale che destina «i terreni (…) a qualsiasi titolo appartenenti al patrimonio degli “enti pubblici”» ad «enfiteusi perpetua ai lavoratori agricoli, che in atto li coltivano», contrasta «con la legislazione statale in materia di contratti agrari, che non prevede la conversione ex lege di detti contratti in enfiteusi perpetua».
Pertanto la norma regionale in esame risulta costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede che «gli acquedotti, le reti fognarie, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture e dotazioni patrimoniali afferenti al servizio idrico integrato (…) sono proprietà degli enti locali.

« Indietro